Contro il Parkinson, nuovi neuroni dalle staminali

Pubblicato il 7 Novembre 2011 in , da redazione grey-panthers

Una nuova tecnica consente di trasformare le cellule staminali degli embrioni umani in neuroni capaci di rimpiazzare quelli distrutti dal morbo di Parkinson. Una volta trapiantati in animali, questi neuroni sono capaci di sopravvivere a lungo integrandosi bene con le altre cellule nervose. Lo dimostra uno studio statunitense co-finanziato dal consorzio europeo di ricerca NeuroStemCell. Da oltre un decennio si usano le staminali per produrre in laboratorio i neuroni dopaminergici, quelle cellule del cervello che producono una molecola-segnale chiamata dopamina che scarseggia nei malati di Parkinson. I neuroni così ‘rigenerati’ sono stati finora incapaci di sopravvivere e integrarsi nel cervello dopo il trapianto, e hanno mostrato la pericolosa tendenza a crescere in modo incontrollato, con il rischio di generare tumori. Per superare questo problema, i ricercatori americani hanno sfruttato le nuove conoscenze sullo sviluppo del sistema nervoso guidando il programma genetico delle staminali verso la trasformazione in ‘autentiche’ cellule dopaminergiche, praticamente indistinguibili da quelle presenti nel cervello umano. Una volta trapiantati in tre modelli animali affetti dal morbo di Parkinson (topi, ratti e scimmie), i neuroni hanno dimostrato di poter sopravvivere a lungo termine e di integrarsi con le altre cellule nervose creando nuove reti di comunicazione. Inoltre, non proliferano in modo incontrollato, scongiurando così il rischio di tumori. In topi e ratti affetti da Parkinson, infine, il trapianto è riuscito addirittura a contrastare alcuni sintomi della malattia. La disponibilità di queste nuove cellule costituisce un importante passo avanti per la ricerca e sembra poter aprire nuove strade per la lotta alle malattie neurodegenerative anche se si tratta ora di produrre queste cellule in condizioni adatte per gli studi clinici. Un processo che richiede quindi adattamenti complessi e tali per cui i primi studi sui pazienti non potranno iniziare che tra 3 o 4 anni.