Dormire non è sempre sinonimo di riposare

Pubblicato il 31 Ottobre 2011 in da redazione grey-panthers

Più ne scopriamo i benefici, più lo maltrattiamo: è il destino del sonno, toccasana per memoria, cuore, prestazioni atletiche e anche mantenimento della linea (una carenza prolungata innesca un gioco di ormoni che può portare all’obesità). Il nostro meritato riposo è vittima della voglia di non spegnere mai l’interruttore e di gadget luminosi e rumorosi che sempre più colonizzano la stanza da letto. Ora il cambiamento di stagione e il passaggio all’ora solare rischiano di diventare la goccia che fa traboccare il vaso all’interno di un equilibrio che è tanto facile rompere quanto difficile rimettere insieme. Dagli anni ’80 a oggi abbiamo ridotto il tempo dedicato al riposo notturno di un’ora e mezza. Le dormite domenicali non bilanciano infatti il mancato riposo durante la settimana, e in generale l’indulgere a letto di mattina dopo una notte travagliata non fa altro che peggiorare l’insonnia della sera successiva.
Più che una somma di ore, dimostrano infatti gli studi più recenti, il buon sonno è frutto di un equilibrio molto delicato. Ed è favorito dall’armonia fra i nostri orari abituali e i ritmi circadiani dell’organismo. Questo nuovo paradigma – insieme alla scoperta di farmaci che sono comunque ancora in fase di sperimentazione – ha portato a tecniche più raffinate per la cura dell’insonnia. Disturbo di cui soffre circa una persone su tre. I farmaci raramente ormai vengono prescritti senza l’uso combinato anche delle tecniche cognitivo-comportamentali. Le più collaudate sono la restrizione del sonno e il controllo dello stimolo. La prima consiste nell’accumulare un debito di sonno tale da “crollare” la sera successiva, all’ora stabilita, in un sonno profondo, riposante, a onde lente. La seconda si fonda sul principio che è meglio alzarsi dal letto e dedicarsi ad altro se non si riesce a dormire, e che la sveglia mattutina va rispettata anche se la nottata è stata disastrosa. Se queste tecniche hanno il vantaggio di favorire processi di addormentamento che sono del tutto naturali, il requisito del loro successo è una dose non scontata di forza di volontà. Laddove l’igiene del sonno non basti a ritrovare il riposo perduto, il ventaglio dei medicinali (un mercato da 200 milioni di euro all’anno solo in Italia) potrebbe allargarsi presto a una nuova classe: quella dei farmaci che agiscono sui recettori dell’oressina, un ormone incaricato di stabilizzare le fasi di sonno e veglia (e anche, non a caso, di regolare l’appetito). Nate per curare problemi più gravi come la narcolessia, queste medicine potrebbero finire anche sul comodino dei normali insonni quando avranno terminato un percorso sperimentale che dura di solito una manciata di anni. Per tutte le categorie degli inquieti notturni, la medicina del sonno ha comunque messo a punto una regola d’oro: non cedere alla stanchezza nelle ore “tabù” per il nostro riposo: quelle della mattina. Grosso modo dalle otto del mattino in poi, i nostri ormoni si settano su uno stato di veglia. Il sonno in quegli orari è innaturale, non fisiologico. E quindi poco riposante.