La sanità digitale è davvero già qui?

Pubblicato il 20 Ottobre 2015 in da redazione grey-panthers

Il Governo ha impegnato 46 miliardi per i prossimi anni, per colmare il digital divide e portare servizi informatici efficienti a disposizione della popolazione. Secondo una indagine del Politecnico di Milano, solo il 30% dei medici d famiglia oggi ha una connessione internet veloce, e se siamo allineati col resto d’Europa per la diffusione della banda larga, l’esperienza comune è che non si vada oltre il minimo della banda. Ha senso parlare di telemedicina e teleassistenza, con queste infrastrutture?

Oggi tutti noi viviamo una vita “digitale” che non definiamo tale ma è semplicemente la nostra vita. Usiamo la posta elettronica, whatsapp, facebook, facciamo le ricerche su google vediamo e condividiamo video ed immagini, e molta parte anche della nostra vita professionale non più fare a meno della Rete. E tutto questo lo facciamo con la connessione Internet attuale. Oggi il 90% dei medici  che esercita la professione ( e non solo medici di famiglia) dispone di un smartphone , dunque è connesso ad Internet e a casa ed in mobilità tutti usano regolarmente la Rete. Tutti o la maggior parte dei medici di famiglia devono fare i “certificati elettronici di malattia” e la “ricetta elettronica” (pur con i limiti che questi servizi ancora hanno) e non potrebbero farli se non avessero la Rete. “Work the way you live” lavora nello stesso modo in cui vivi, dice un famoso venditore di servizi Cloud, ma il concetto è perfettamente applicabile al lavoro del medico.

La Telemedicina e la Teleassistenza non sono un fine, uno scopo, ma solamente uno strumento per continuare a fare sempre il solito mestiere. Curare, guarire, se possibile, alleviare le sofferenze. Oggi con la sanità elettronica può crescere enormemente il concetto di prendersi cura , aggiungere al curare il prendersi cura, una maggiore vicinanza medico paziente nei luoghi dove il paziente vive, i suoi dai disponibili anche durante una visita domiciliare, non solo Google e Wikipedia. Un prendersi cura favorito dagli strumenti di sanità elettronica, che aiutano e potenziano l’interazione tra il medico ed il paziente. Ha senso parlare oggi, con questa Rete italiana, di telemedicina e teleassistenza ? Assolutamente si, la banda a mio parere è un problema futuro, ulteriori opportunità nascerebbero dal potenziamento e dalla diffusione ubiquitaria della stessa ma è a mio parere non un limite attuale critico.

Molte zone d’Italia sono ancora alla fase di sperimentazione, per la ricetta elettronica. La tessera sanitaria continua ad essere usata solo come codice fiscale, per il fascicolo sanitario elettronico a Giugno è arrivata un’altra proroga. Vede delle resistenze al cambiamento, e da parte di chi?
Diceva Niccolò Machiavelli ne “il Principe “: “E debbasi considerare come non v’è cosa più difficile a trattare né più dubbia a riuscire né più pericolosa a maneggiare che farsi capo ad introdurre nuovi ordini. ” E  oggi le motivazioni delle resistenze al cambiamento sono ancora le stesse. Nelle scuole di management si insegna che la frase più pericolosa da ascoltare è quella di chi dice “abbiamo fatto sempre così e le cose sono andate bene. Continuando a fare nello stesso modo le cose continueranno ad andare bene”.
Questi concetti purtroppo sono alla base delle resistenza al cambiamento anche in medicina. La strategia per introdurre la Telemedicina nei processi di diagnosi e cura deve essere un misto di formazione, per far comprendere bene le tecnologie in modo da rendere facile applicarle, poi disegnare molto bene i percorsi ‘elettronici’, non sempre digitale e’ meglio, il digitale mal fatto e’ peggio dell’analogico affinato in molti anni, poi verificare continuamente i risultati e con questi modificare ed affinare i percorsi, con tutti coloro che sono coinvolti, medici, infermieri, pazienti, direzioni sanitarie, regioni. In molte realtà si cerca di reinventare la ruota, affidandosi ai cosiddetti “esperti” che lo sono magari solo per le competenze informatiche, ma nella medicina il percorso e’ sempre lo stesso: partire da una esperienza solida e costruire su di essa un percorso, da adattare man mano.

Per questo sono state elaborate le “Linee di indirizzo Nazionali per la Telemedicina”, approvate nel 2014 dalla Conferenza Stato Regioni, che definiscono i modelli operativi per fare una “buona” telemedicina, che sia veramente in grado di migliorare il lavoro del medico, il servizio ai pazienti, con contenimento degli sprechi ed efficienza della spesa. Danno indirizzi forti sul modo di attuare il cambiamento e le verificheremo anno per anno sull’applicazione da parte delle regioni e sui risultati. L’amministrazione Obama ha ottimamente esemplificato la strategia nel sito Healtit.gov: Collect, Share, Use. raccogliere, condividere ed usare le informazioni sanitare; l’uso deve essere un “meaninful use” deve essere un uso significativo, in altre la tecnologia deve contribuire in modo decisivo al miglioramento del sistema. Senza l’uso significativo tutto il resto è solo una esibizione di muscolatura tecnologica, assolutamente fine a se stessa. Le linee di indirizzo nazionali per la telemedicina possono essere scaricate dal sito del Ministero della Salute.

Il ministro Lorenzin e la conferenza Stato-Regioni su questo tema hanno nominato ed insediato a Settembre 2015 la Commissione paritetica “Telemedicina – Linee di indirizzo nazionali”. con il compito di monitorare eventuali profili critici connessi ad aspetti normativi e regolamentari conseguenti all’introduzione della Telemedicina e di formulare proposte, anche di tipo normativo, al Ministero della Salute. Le regioni e le province autonome si impegnano a comunicare alla commissione gli eventuali profili critici La commissione trasmette annualmente al Ministero della salute e alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome una relazione sui profili critici eventualmente emersi nell’applicazione delle Linee di indirizzo. Il recepimento delle Linee di indirizzo da parte delle regioni e province autonome è valutato in sede di verifica annuale degli adempimenti regionali da parte del Comitato permanente per la verifica dei Livelli essenziali di assistenza. Questa commissione  può essere molto utile come leva contro le resistenze al cambiamento.

I medici di famiglia della FIMMG sostengono che per compilare al computer la ricetta elettronica occorrano più di 5 minuti, tempo che moltiplicato per il centinaio di pazienti che vedono ogni giorno sottrae molto tempo alle visite. E’ colpa dei software, per altro diversi da professionista a professionista, o c’è da cambiare la propria forma mentis, lasciando perdere carta e penna?

Prima di tutto si tratta di avere a disposizione strumenti ben fatti, il software dei medici di famiglia è frutto di anni di affinamento, loro sono “informatizzati” ormai da molto tempo e la ricetta elettronica invece è tutt’altro che ottimizzata, dunque, perfettibile, ma non credo che sia il solo problema. I medici devono imparare a lavorare in gruppo, non aver paura di condividere la propria idea uscire da un isolamento informatico in cui la tecnologia, quando si chiamava solamente IT, tecnologia dell’Informazione, ci aveva messo. Usare il “computer” è stato un grande passo in avanti ed i medici di famiglia sono stati i primi nel sistema sanitario nazionale ad informatizzare la gestione dei pazienti. Poi e’ arrivata la C, comunicazione e IT è diventata ICT, tecnologia dell’informazione e comunicazione. Certamente l’arrivo della Rete genera nuove preoccupazioni, eccesso di controllo miope, intromissione cel rapporto medico-paziente e nella cura, sicurezza, privacy, larghezza di banda, ma molti usano ormai da molto tempo l’home banking. Le soluzioni ci sono, sono semplici ma per lavorare in rete un “immigrato digitale” deve cambiare il modo di ragionare. Siamo tutti “immigrati digitali” veniamo da una cultura di lavoro singolo alla scrivania, del fare una cosa per volta, dell’uso minimo delle immagini e delle banche dati, dell’interazione (consulenza) in differita, con un rapporto esclusivo e personale. I giovani invece sono nativi digitali, sono abituati a lavorare in gruppo, in rete, a trarre il massimo vantaggio dal fare le cose in parallelo, dividendosi i compiti. Bisogna che gli immigrati digitali prendano un po’ di quello che i nativi digitali hanno da insegnare.

D’altro canto, però, i medici hanno il diritto di chiedere di essere parte della progettazione , revisione, correzione dei software dedicati realizzati dai fornitori nazionali, ad esempio una ricetta dematerializzata senza valore legale è un problema in caso di contenzioso, un certificato telematico di malattia da rifare a mano se viene coinvolta una compagnia di assicurazione o un infortunio, un certificato di invalidità telematico che le commissioni richiedono di avere ripresentato in forma cartacea perché quello telematico non ha i requisiti di un documento legalmente valido, un fascicolo sanitario elettronico dove le patologie possono essere nascoste se il paziente lo richiede (oscuramento) e il fatto che siano state nascoste non deve apparire (oscuramento dell’oscuramento) non aiutano i medici nel loro lavoro e  non semplificano la vita ai pazienti, oltre a generare “anticorpi” contro l’informatizzazione dei processi sanitari. Tutto questo è perfettibile, bisogna intanto partire.

Sanità digitale vuol dire anche telemedicina e teleassistenza, la possibilità per il medico di base di trasferire o ricevere diagnostica e referti magari da un ospedale di un’altra regione. In certe zone d’Italia alcune ASL non compilavano neppure i bilanci, tuttora in molti ospedali anche grandi sono gli infermieri a portare a mano la cartella del malato, se deve essere consultata da specialisti diversi da quelli che lo hanno in cura nel reparto: realisticamente vede una sanità a diverse velocità anche per questo aspetto? E a proposito d comunicazione: c’è un sistema comune che permetta di scambiarsi dati sul territorio regionale e fuori regione?

Nelle tecnologie dell’informazione, ma anche in medicina la standardizzazione è un punto chiave per il lavoro. Una TAC refertata a Trieste viene tranquillamente letta ed interpretata a Palermo in un modo analogico (scritta su carta) mentre far viaggiare il dato digitale è più complesso. Il dato digitale per essere condiviso deve rispettare standard condivisi e le regole per il fascicolo sanitario elettronico (FSE) definiscono gli standard sovraregionali. In molte regioni comunque anche da oggi i referti degli esami al domicilio del paziente stanno diventando una realtà di routine.

Il rischio è che senza l’applicazione delle regole del FSE si creino dei servizi non compatibili tra regioni limitrofe o, come accade già oggi senza un confronto in sede LEA, che un paziente in una regione abbia una cura in completamente differente perch’ mancante della parte in telemedicina. Basti pensare alle reti per l’infarto miocardico acuto STEMI (con sopraslivellamento del tratto ST) . Avere un infarto STEMI in Toscana o in Puglia (ed altre regioni con la rete attiva) vuol dire avere sopravvivenza migliore rispetto alla stessa patologia nel Lazio. Questo anche perché un queste regioni sono attive reti di telemedicina dell’emergenza infarto ancora non attive nel Lazio (ed in altre regioni Italiane ) che consentono di ridurre la mortalità e le conseguenze dell’infarto miocardico Oggi, per citare un paradosso, l’unico sistema semplice comune per scambiarsi le informazioni ed i dati interregionali è la posta elettronica, o addirittura whatsapp, con tutti i problemi legali e di privacy che questo comporta. Molte regioni hanno reti avanzate di scambio di informazioni ma i cittadini non percepiscono il vantaggio reale in termini di facilità di accesso al sistema, qualità delle cure, vicinanza degli specialisti al proprio domicilio. Ci sono reti in cui il controllo di gestione della sanità regionale fa da padrone sulla cura. Nulla da dire, anche per questo le regioni più efficienti riescono tenere sotto controllo la spesa ma come cittadino e come medico vorrei che queste informazioni fossero usate meglio per erogare quei servizi che in altri paesi stanno diventando uno standard. In Danimarca sta partendo una rete nazionale di Telemedicina per il trattamento delle ferite difficili, delle piaghe da decubito e del piede diabetico (attiva in alcune zone del Lazio) che arriva a casa dei pazienti. Con grandi risparmi economici e la riduzione dei tempi di guarigione delle lesioni.

Fonte Rai news http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Niente-paura-e-standardizzazione-2b28f01f-fea0-4db1-a97a-a23f32346c6c.html

2 thoughts on “La sanità digitale è davvero già qui?

  1. Io credo che prima di parlare di Tele(xxxx) ed e.yyyy occorre fare alcune considerazioni di base molto importanti.
    1. E’ vero che la copertura italiana di banda larga è a macchia di leopardo, ma è anche vero che tra rete mobile (quella dei telefonini e smartfone) e rete fissa “vecchia” c’è una copertura con banda sufficiente per trasmettere documenti. Sarebbe bello avere una banda larghissima ovunque per fare tante cose che Internet rende possibile, ma per fare il necessario siamo attrezzati.
    2. In Italia usano internet e la rete meno del 40% degli italiani ed in questo 40% sono compresi quelli ce la usano meno di una volta al giorno.
    Su queste basi sono assolutamente pretestuose TUTTE le difficoltà che i medici raccontano.
    Due sono gli azpetti che occorre considerare pe la telemedicina:
    1. Aspetto burocratico, cioè tutte le attività relaative al Servizio Sanitario Nazionale (prescrizioni, ricette, registrazione prestazioni, etc. che possono tranquillamente viaggiare sulla attuale rete per almeno il 90% e con ovvi vantaggi di risparmio e controllo costi
    2.Aspetto medico clinico, cioè l’ausilio della rete per consulti a distanza. In questo caso una banda larga può essere necessaria quando si devono trasmettere immagini come radiografie, TAC etc. Per questi aspetti sarebbe logica una sperimentazione avanzata quantomeno nelle zone già servite da banda larga.
    Importante è che la cultura dell’uso della rete diventi una abitudine mentale …anche per semplicemente trovare un film!
    I più giovani già lo fanno, ma non possiamo aspettare 20 anni che i bimbi di oggi crescano e nel frattempo comportarci come “il dito e la luna” …e se volete saper cosa vuol dire, cercatelo in INTERNET!

Comments are closed.