Alla scoperta dell’immensa Russia: la taiga della repubblica Buriata, di Giorgio Vanni

Pubblicato il 26 Settembre 2019 in Outdoor Viaggi
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Il giorno dopo l’arrivo burrascoso a Irkutsk, lo splendore del lago Baikal mi aveva ampiamente ripagato delle difficoltà incontrate per raggiungerlo. I successivi cinque giorni, avevo organizzato un soggiorno in una fattoria in un villaggio sulle sponde del lago; un posto che prometteva una completa immersione nella natura e nella realtà rurale siberiana. Il soggiorno lo avevo organizzato tramite Ilja, un ragazzo russo che vive a Bologna, e suo zio Volodia era venuto a prendermi all’ostello. Volodia, come la maggior parte della popolazione, era di etnia buriata. Un’etnia oggi inserita nella omonima repubblica, ma che nel passato aveva contribuito a costruire l’impero mongolo.
Una veloce visita d’Irkutsk, e avevamo preso la strada per il Baikal; allontanandoci dalla città, le terre coltivate cedevano lo spazio alla taiga. Spesso comparivano piccoli luoghi di culto e Voloida, dichiarandosi osservante dei riti sciamanici, non perdeva occasione per fermarsi, pregare e omaggiare gli spiriti del luogo spargendo e bevendo del tarasun, una bevanda alcolica buriata meno forte della vodka e spesso prodotta in casa; cominciavo a domandarmi se non era questo il forte incentivo alla religiosità, ma forse ero troppo cinico.
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A inizio pomeriggio ci eravamo fermati a un posto di ristoro per un piatto di ottimi buuz e una zuppa borsht. I buuz sono dei ravioloni al vapore ripieni di carne o verdure diffusi in gran parte dell’Asia; ovviamente con nomi diversi. Si devono prima mordere di fianco e berne il gustoso brodo e poi addentarne il ripieno. Già le cameriere avevano tratti e costumi mongoli, il mondo slavo cominciava a cedere il passo. A una quarantina di chilometri dal villaggio, avevamo deviato dalla strada principale e ci eravamo inoltrati in una pista in terra battuta. Qui non c’erano più segni di coltivazioni, solo la taiga e qualche spazio per la pastorizia. Infine eravamo arrivati al villaggio e al lago. Pomeriggio sulle sponde del Baikal per un primo incontro col “mare sacro russo”, una camminata nella taiga, la cena e poi, mentre l’oscurità della notte avanzava, la sauna disintossicante. Questa sarebbe stata la routine della vita sul Baikal, pienamente in linea con la promessa di una immersione nella vita siberiana e nelle suggestioni della natura. Il giorno dopo ci eravamo diretti all’isola di Okholon, luogo sacro alla cultura sciamanica. Il tragitto lungo la maestosità della taiga e l’Immensità della steppa mi aveva fatto riflettere sulla contrapposizione tra la natura favolosa e la realtà dei villaggi che mostravano una incuria e uno squallore che spiegavano come si potesse facilmente scivolare nella depressione e nell’alcolismo. La sacralità dell’isola raggiunge il suo top presso la “Roccia dello sciamano”, un promontorio sacro in quanto considerato uno dei cinque centri di energia della cultura sciamanica. Ad Almaty, in Kazakistan, mi avevano parlato di un posto simile nella steppa in direzione del Kirghizistan. Sia quello che sia, il posto era davvero magico e il paesaggio inebbriante. Le rocce scendevano a picco nelle acque profonde, e la pineta terminava in un lungo spiaggione di sabbia. Anatoli, un altro parente, nei giorni successivi mi aveva accompagnato con la sua spartana ma robusta jeep russa UAZ. Eravamo andati alla foce del fiume Buguldeika e in una località dove vi erano resti di vecchie yurte abbandonate. Osservandole, riflettevo come anticipavano i tempi dato che il russiatetto in erba è oggi proposto in Occidente come una soluzione ecologica e funzionale. Avevo avuto anche il piacere d’incontrare suo padre, un personaggio! Sembrava un apache, una conferma vivente che gli indiani di America provengono dalla Siberia. Interessante era stato pure raggiungere un villaggio di abitanti di sola etnia russa, un posto ancora più remoto su per una stretta vallata su un percorso lungo e disagiato. Dal loro comportamento e dalle costruzioni, si scorgeva una realtà isolata e nostalgica del passato sovietico. Chissà come e quando vi erano arrivati? Un pomeriggio avevo avuto anche il piacere di un’intervista con la radio nazionale australiana SBS, che mi aveva contattato incuriosita dalla mia avventura.
Una chiacchierata molto piacevole, potenza della tecnologia; anni fa considerate le distanze e il luoghi, sarebbe stato impossibile. Infine ero tornato a Irkutsk e avevo un po girato la città, visitando la casa museo dei decambristi; rivoltosi che nel 1825 avevano tentato un colpo di stato contro lo zar per chiedere riforme e che per questo erano stati esiliati in Siberia. Suggestivo vedere come pur se esiliati e a migliaia di chilometri da San Pietroburgo, avevano saputo ricreare un raffinato mondo culturale. L’indomani mattina ero partito per Ulan Ude. Sul treno avevo incontrato due scozzesi che continuavano per Vladivistok per raggiungere il Giappone e assistere al mondiale di rugby. Alla stazione a Ulan Ude dopo sette ore di viaggio, mi aveva accolto Olya, una nipote di Volodia, per portarmi all’appartamento che mi avevano affittato. La famiglia mi aveva praticamente adottato. Ulan Ude capitale della repubblica Buriata, città di monasteri senza cuore in quanto ricostruiti dopo la caduta URSS, di simboli del passato come l’ enorme statua di Lenin, e nei nomi delle vie. Bello il museo etnografico, un grande spazio aperto dove hanno ricostruito un tipico villaggio russo di fine ottocento. Peccato pero vedere le condizioni come sono tenuti gli animali nell’adiacente zoo. Insomma sono stati giorni molto intensi sul Baikal! Mi aspettano domani ventisei ore di viaggio: treno per la Mongolia e poi bus da Ulan Bator per raggiungere Karakorum, l’antica capitale dell’impero mongolo. Vi è un poco di ansietà per il prosieguo dell’itinerario: il passaggio confine Russia-Mongolia, il biglietto del treno Ulan Bator-Pechino che ancora non riesco ad acquistare… Vedremo.


Nell’anima non ho neanche un capello bianco. – Vladmir Majakovskij –
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