L’avventura di Giorgio Vanni prosegue, nuova tappa raggiunta: Pechino

Pubblicato il 11 Ottobre 2019 in Outdoor Viaggi
Pechino

Ero già stato a Pechino nel ’93 alla fine di un viaggio sulla ”Via della seta” e ora la rincontravo alla conclusione della Trasmongolica. Mi aspettavo una metropoli profondamente cambiata, ma la realtà era ben oltre l’aspettativa. La città apparteneva ormai a un’altra epoca, a un contesto che richiedeva tempi e metodi inconciliabili col passato. Se per la Mongolia l’aggettivo immenso si adattava alle distanze geografiche e alle manifestazioni della natura, a Pechino esso si declinava invece con la dimensione e la quantità delle opere umane. Il cambiamento lo avevo notato particolarmente nell’impatto dello sviluppo tecnologico e nelle abitudini quotidiane. Gli scooter erano solo elettrici; la metropolitana aveva ventidue line ed era facile da usare grazie alle doppie scritte in inglese e alla carta elettronica per i pagamenti; non vi erano più prezzi differenziati per stranieri e cinesi; la dieta era considerevolmente cambiata – ad esempio i latticini erano ampiamente consumati – e di conseguenza l’altezza media della popolazione era cresciuta.

La sicurezza era sempre ottima, addirittura in metropolitana vi era una guardia per ogni vagone, e comunque non si percepiva nessun segno di aggressività o rischio di microcriminalità. In compenso invece attraversare la strada rimaneva un rischio, dato il non rispetto della precedenza ai pedoni sulle strisce. Del resto i segni della modernizzazione e dell’efficienza li avevo già percepiti alla frontiera con la Mongolia, dove al controllo delle impronte digitali con quelle memorizzate alla richiesta del visto, vi era un apparecchio che scannerizzando il passaporto, elencava le istruzioni nella lingua di origine del viaggiatore. Oppure quando alla stazione avevo ritirato i biglietti per le altre tratte ferroviarie semplicemente mostrando alla biglietteria i codici della prenotazione online. Per combinazione, il soggiorno era coinciso con la settimana delle festività d’ottobre e con l’anniversario dei settant’anni di fondazione della Repubblica Popolare Cinese. Di conseguenza l’affluenza di visitatori per celebrare l’evento era impressionante; in certi momenti non si camminava, ma si galleggiava trasportati dalla massa. L’evento era molto sentito e oltre alle bandiere esposte ovunque e alle scritte patriottiche, gli incroci erano spesso abbelliti con eleganti composizioni floreali.

Pechino

Un’altra piacevole sorpresa era stata la gentilezza e la disponibilità delle persone. Dove era la rudezza di carattere, la scontrosità verso gli stranieri di cui mi avevano riempito la testa? Bastava che stessi qualche minuto fermo per strada a guardare la mappa e qualcuno si avvicinava per chiedermi se avevo bisogno di aiuto. Altro mito sfatato era l’assoluta mancanza di conoscenza dell’inglese: tutti i giovani a cui avevo chiesto informazioni lo conoscevano abbastanza per comunicare e cavarmi d’impaccio. Una di queste Pechinooccasioni era stata la ricerca di una SIM card. Avevo avuto dalla reception un indirizzo dove recarmi, ma dalla metropolitana era stato difficile capire dove proseguire. Quindi dopo una camminata senza alcun risultato, avevo fermato due ragazzi mostrandogli l’indirizzo. Da lì era iniziata una lunga camminata con Jerry e Jack, nomi che avevano scelto per navigare nei social, due studenti universitari super disponibili non solo a mostrarmi il posto ma a deviare dal loro percorso per condurmici. Inoltre arrivati a questo distributore di proprietà statale, come tutte le società di comunicazione, avevano negoziato per me la tariffa e settatto il telefono. Il minimo che potevo fare era invitarli per uno snack in un buon ristorantino. Una bella occasione per scambiare opinioni e informazioni sulle rispettive società. Nei giorni seguenti avevo curiosato per la città privilegiando i luoghi non ancora visitati; arrivando dalle solitudini delle steppe mongole, il contrasto non poteva essere più notevole. La sera dell’arrivo girando per la vecchia Pechino, ero capitato nella piazza tra la Drum Tower e la Bell tower, scoprendo un happening di luci, musica e colori! Questa era la zona degli Hutong, i vicoli dove la gente viveva ancora nelle vecchie case a corte e dove si respirava aria da villaggio. Un amplificatore diffondeva musica tradizionale e gli abitanti ballavano armonicamente in gruppo. Continuando lungo il lago, avevo incrociato una folla felice, giovane e festante che si godeva serenamente la serata in un carosello di negozi che cucinavano e vendevano cose per me inusuali Mi ero goduto la passeggiata mangiando un gelato al the verde e accettando l’invito di un venditore di strada ad acquistare del cibo che a prima vista non ero riuscito a identificare, ma che poi si erano rivelati dei gustosi granchi fritti. Immancabile la visita in mezzo a una fiumana umana, della piazza Tienamen. Vi era talmente tanta gente che le contigue stazioni della metropolitana erano state chiuse e la polizia ci incanalava come pecoroni. A un lato della piazza, in un enorme edificio in stile sovietico era ospitato il museo nazionale. Una imponente rappresentazione delle dinastie imperiali e della Cina rivoluzionaria. Una notevole raccolta storica, con pero le mappe sulla estensione geografica della Cina antica manipolate. Girovagando ero arrivato al quartiere creato per le olimpiadi del 2008. Spazi da agorafobia con edifici arditi tra cui spiccava lo stadio olimpico, detto il bird nest. Vicino vi era il parco-museo delle etnie, costruito per propagandare l’unita della nazione nella diversità etnica. Zona con pochissime persone, atta a qualche film di distruzione post nucleare: una vera rarità per Pechino. Sto scrivendo questi appunti mentre sono alla stazione in attesa del treno e mi chiedo: se Pechino mi ha cosi stupito per i suoi cambiamenti, cosa mi serberà la prossima meta? Shanghai la più grande e dinamica città cinese, quella che vive sempre un passo avanti a tutte le altre, cosa mi offrirà?

Nell’anima non ho neanche un capello bianco. – Vladmir Majakovskij –

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