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Pubblicato il 10 Aprile 2017 in

Il vissuto degli italiani

Mancanza di informazione, percezione errata della malattia, situazioni psicofisiche gravemente compromesse, limitazioni sociali, di ruolo e fisiche, sono solo alcuni degli elementi messi in luce da una ricerca commissionata dalla Fondazione italiana continenza per fare il punto sull’incontinenza in Italia e dare evidenza al reale impatto della malattia sulla qualità della vita. La “Fondazione italiana continenza”, ente senza fini di lucro nata con l’obiettivo di contribuire a sensibilizzare e ad informare l’opinione pubblica circa le tematiche dell’incontinenza, ha commissionato una ricerca dedicata all’incontinenza urinaria, focalizzata sul vissuto della malattia, sulla percezione e sulle modalità di rapportarsi alla malattia stessa. L’indagine di tipo quali/quantitativo ha coinvolto un campione di 3000 soggetti, rappresentativo della popolazione italiana compresa tra i 18 e i 70 anni, residente in tutto il territorio nazionale.

INTERESSA IL 7% DELLA POPOLAZIONE TRA I 18 E I 70 ANNI – Dai dati della ricerca condotta da SWG , complessivamente, l’incontinenza urinaria interessa il 7% della popolazione italiana di età compresa tra i 18 e i 70 anni, mentre nella popolazione più anziana (55-70 anni) la percentuale raggiunge il 10%. Il disturbo colpisce prevalentemente le donne (12%) e, in misura minore, gli uomini (2%). Fra le diverse tipologie di incontinenza urinaria, quella da sforzo viene indicata dagli intervistati come la più diffusa; tuttavia, la forma di incontinenza urinaria che rivela le conseguenze più problematiche sia dal punto di vista psicofisico che gestionale è l’incontinenza mista, che affligge il 2% degli italiani. Uno dei dati più rilevanti, riguarda i livelli di informazione relativi alla malattia. Solamente un quarto circa degli intervistati ha infatti ammesso di avere qualche informazione in merito, percentuale che sale di pochissimo (28%) fra le persone che soffrono di Incontinenza Urinaria e che dichiarano di possedere informazioni sulle conseguenze del disturbo e i trattamenti disponibili per affrontarlo.
(L’indagine commissionata dalla Fondazione italiana continenza è stata condotta, nel novembre 2005, dall’istituto di ricerca SWG su un campione di 3000 italiani tra i 18 e i 70 anni rappresentativo dell’intera popolazione.)

MALESSERE – Il proprio disturbo viene classificato dal campione di intervistati non come una vera e propria malattia, bensì come un malessere le cui cause ipotizzate si basano, nella stragrande maggioranza dei casi, sul passaparola, su esperienze analoghe da parte di qualche familiare o, addirittura, su speculazioni personali; gli ambiti ai quali vengono ricondotte tali cause sono di carattere fisico, mentale o pratico e vengono imputate all’invecchiamento del tono muscolare, allo stress, a una presunta mancanza della volontà sufficiente ad arginare il problema, oppure, infine, al limitato numero di volte in cui si va in bagno.
A conferma di un diffuso pregiudizio, chi non soffre direttamente di incontinenza dichiara che il problema insorge prevalentemente nelle fasce anziane della popolazione; dato che cambia notevolmente fra coloro che soffrono di incontinenza urinaria che, dotati di maggiore consapevolezza grazie alla loro esperienza diretta, affermano che il disturbo si presenta anche nelle persone più giovani: oltre il 40% di questi soggetti ritiene, infatti, che l’incontinenza urinaria colpisca anche le persone sotto i 65 anni. Tre gli aspetti significativi che emergono in relazione al vissuto della malattia e degli atteggiamenti emotivi e psicologici sollecitati dall’incontinenza urinaria: la percezione della gravità della malattia, il pudore e la propensione – scarsa – a parlarne con il medico

PERCEZIONE DELLA GRAVITÀ – La percezione della gravità della malattia è, significativamente, più bassa nella donna e più alta nell’uomo. In particolare, la donna sembra avere una minore soglia di attenzione rivolta al disturbo e tollera, in misura maggiore dell’uomo, la malattia perché la riconduce a un evento concettualmente simile al ciclo femminile, relativo ad una zona del proprio corpo – quella genitale – con elevata frequenza di piccoli disturbi e la giudica un evento al quale è già pronta a reagire in maniera pratica. Gli uomini, invece, dimostrano una diversa percezione dell’evento e lo etichettano come molto grave, in particolare gli uomini sotto i 55 anni, il cui atteggiamento, se il disturbo è conclamato, assume i toni della disgrazia. Complessivamente, superata la preoccupazione iniziale e adottato un atteggiamento di relativa rassegnazione compromesso da eventuali peggioramenti, i pazienti appaiono molto pessimisti in merito alle prospettive future.

PUDORE – Totalmente diversi gli atteggiamenti di uomini e donne quando si va a toccare la sfera del pudore nei confronti della malattia: mentre l’uomo è poco restio a parlarne con un medico e prova relativamente vergogna per la malattia – atteggiamento probabilmente legato a un minore pudore culturale per aspetti intimi del proprio corpo – la donna appare più pudica e ha maggiori difficoltà nell’affrontare il problema. A mostrare livelli più elevati di pudicizia sono le donne al di sopra dei 55 anni, e questo nonostante un atteggiamento relativamente rassegnato in relazione al progressivo decadimento del proprio corpo. In tutto il campione, tuttavia, emerge nettamente un profondo e ingiustificato senso di colpa legato all’imbarazzo e alla vergogna, dovuto a diversi fattori dinamici inconsci quali: aspetti sociali, senili e volitivi. In pratica, l’incontinenza viene connessa al mondo della sporcizia, del divieto e dell’errore (aspetti sociali); denuncia l’incipiente vecchiaia, esternandosi con perdite urinarie che rimandano all’infanzia (aspetti senili e regressivi); e suggerisce una perdita di controllo del proprio corpo (aspetti volitivi). Il dato più grave che emerge dagli intervistati è che tutti gli aspetti appena citati concorrono a trasformare la patologia fisica in una mancanza psicologica irrazionalmente ricondotta a un proprio errore.

PROPENSIONE A PARLARNE CON IL MEDICO Anche in questo caso, gli uomini sembrano dimostrare una maggiore apertura e, nel 63% dei casi, cercano un confronto con il medico in tempi decisamente più rapidi rispetto alle donne (40%) che, invece, tendono a rimandare il consulto sino a che il disturbo non diventa impedente. Le più giovani in particolare allungano i tempi e dimostrano una maggiore difficoltà nell’accettazione del problema e, spesso, nascondono il problema dietro altre richieste, tendono a sottostimare i sintomi e cercano soprattutto un conforto psicologico.
(Fonte: Corriere Salute – www.corriere.it- 29 febbraio 2008)

Incontinenza da urgenza: il rimedio c’è
Perché le persone che ne sono colpite si sentono bloccate nel chiedere aiuto?
Innanzitutto per la paura di un giudizio negativo. L’incontinenza “sporca” (nonostante le molte protezioni esterne che oggi si possono usare), violando il paradigma del pulito che è, almeno in teoria, un principio essenziale della vita personale e sociale. La perdita di urina “sporca” non solo i vestiti. Simbolicamente, e più profondamente, dal punto di vista inconscio e della percezione di sé, sporca l’integrità sacra del corpo, rendendolo oscuramente impuro (ecco la violazione del tabù dell’integrità personale). Da oggetto sano e prezioso lo trasforma in qualcosa di macchiato, che evoca una scarsa cura di sé, l’invecchiare, l’inadeguatezza personale a controllare gli stimoli e gli impulsi corporei. Pensiamo al significato della parola continenza: nel linguaggio comune, indica la capacità di controllare impulsi, stimoli, pulsioni, non solo sessuali. L’incapacità di farlo, anche limitatamente a una funzione fisiologica primaria, evoca allora un giudizio morale, che stigmatizza l’intera persona: come se fosse una colpa, e non una malattia, non riuscire più a controllare appropriatamente la propria vescica. Si torna bambini, nel senso peggiore del termine, perché viene meno uno dei tre pilastri su cui si fonda la capacità stessa di autonomia: linguaggio, abilità motoria e, per l’appunto, continenza sfinterica. L’autostima ne esce profondamente ferita: se non si è più capaci di controllo, nemmeno per una funzione elementare, si teme di non essere più capaci di controllare gli aspetti più complessi della vita. Ecco perché tante persone in questa condizione si sentono umiliate da questo disturbo, di cui peraltro non hanno alcuna colpa, e che è possibile curare tanto meglio, quanto più precoce è la diagnosi.
(Fonte: Oggi -RcS- 3 maggio 2006- Prof.ssa Alessandra Graziottin- Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano)

Come funziona la nostra vescica
Nelle 24 ore produciamo circa un litro e mezzo di urina che eliminiamo mediamente ogni 4-5 ore, e quindi 5-6 volte al giorno. Il ciclo della minzione si divide in due fasi: quella del riempimento vescicale e quella dello svuotamento.
Riempimento vescicale – La vescica funziona da serbatoio: mano a mano che i reni filtrano urina, questa, attraverso gli ureteri, passa nella vescica e vi si accumula lentamente. La vescica, grazie all’elasticità delle sue pareti, si adatta al progressivo riempimento e si dilata in modo da mantenere all’interno una bassa pressione. Contemporaneamente, lo sfintere uretrale, un anello muscolare che circonda il tratto iniziale dell’uretra, si contrae, bloccando la fuoriuscita di urina dalla vescica. Stessa funzione svolge il pavimento pelvico, cioè il piano muscolare che sostiene la vescica e l’uretra. Così, poco a poco la vescica si riempie senza che si avverta alcun disturbo o stimolo.
Svuotamento vescicale o fase minzionale – la vescica, a un certo punto, non è più in grado di incamerare liquido; questo stimola certi “interruttori” nervosi localizzati nella parete vescicale che inviano così al cervello il messaggio di avvenuto riempimento vescicale. Ecco che si avverte lo stimolo della minzione. Se ora si va in bagno, lo sfintere uretrale e il pavimento pelvico si rilasciano, aprendo l’uretra, e i muscoli vescicali si contraggono, stringendo la vescica e espellendo all’esterno l’urina. Questa defluisce fino a che la vescica non è completamente vuota. Al termine della minzione tutti gli attori di questa funzione ritornano ai “blocchi” di partenza: il pavimento pelvico si contrae, lo sfintere uretrale si chiude e si riduce la pressione endovescicale. Così, la raccolta di urina può cominciare di nuovo.
(fonte: DIPARTIMENTO DI PEDIATRIA, OSTETRICIA E MEDICINA DELLA RIPRODUZIONE- Ambulatorio di Urologia Ginecologica- Università degli Studi di Siena – Sezione di Clinica Ostetrica e Ginecologica)