Se la Sicilia fa default

Pubblicato il 18 Luglio 2012 in da redazione grey-panthers

La Repubblica: “Palermo, i pm convocano Berlusconi. Chiamato a testimoniare per i soldi a Dell’Utri, l’ex premier oppone il legittimo impedimento”. E poi: “Assolto l’ex ministro Romano”.
Sulla questione intercettazioni: “Stato-mafia, la Severino: restino segrete le telefonate di Napolitano”. A centro pagina le valutazioni contenute nel Bollettino della Banca d’Italia: “la crisi finisce nel 2013. Ma Bernanke gela le Borse: l’Europa può peggiorare. Draghi accusa le agenzie di rating”.

Il Corriere della Sera: “Monti teme il crac della Sicilia. I timori per il dissesto delle finanze regionali. Il governatore: lascio, i conti sono a posto. Rischio bancarotta. “Lombardo chiarisca sulle dimissioni”.
A centro pagina: “La Banca d’Italia vede la fine della recessione solo all’inizio del 2013″.
Ancora in prima, con foto, la notizia della nomina del nuovo presidente ed Ad di Yahoo: è Marissa Mayer, 37 anni, “aspetta un bimbo”: “Yahoo si affida alla (futura) mamma”.

La Stampa: “Sicilia sull’orlo del default”. “Il premier chiede a Lombardo di confermare le dimissioni. Il governatore: lascio, ma conti a posto. Martedì il faccia a faccia. Monti: gravi preoccupazioni. Vertice con Grilli e Visco: manovra estiva se necessario”.

Libero: “La Sicilia è fallita”, “Monti a valanga”, “Ultimatum a Lombardo: ‘Dimettiti subito’”. “Finalmente, dopo la denuncia di Libero, il premier si prepara a commissariare la Regione che a forza di sprechi è arrivata sull’orlo della bancarotta”.

Il Giornale: “La Sicilia è fallita”, “un debito da 5 miliardi, scandali, assunzioni per gli amici e fondi Ue mal gestiti: Monti ‘licenzia’ Lombardo”. Il quotidiano la definisce “la Grecia d’Italia”. Poi un riferimento alle parole di Draghi (del 2011): “Draghi demolisce Moody’s & C: ‘Conflitto di interessi per le agenzie di rating’”. A centro pagina grande foto dell’ex ministro Saverio Romano, assolto ieri dall’accusa di concorso esterno: “Chi difende Napolitano dava del mafioso a un ministro innocente”, “la sinistra che adesso si indigna per le intercettazioni chiese le dimissioni di Saverio Romano. Oggi le accuse cadono, il fango resta, e il partito dei pm è sempre più solo”.

Il Sole 24 Ore apre con le parole di Ben Bernanke: “Preoccupa lo scandalo Libor”.  “Bernanke: il sistema è difettoso. Draghi ai pm di Trani: c’è il conflitto tra agenzie di rating e società”. “La Fed: così si mina la fiducia. Il Senato Usa rivela: Hsbc riciclava”. A centro pagina il vertice Monti-Visco-Grilli: “Monti-Visco: recessione lunga, essenziale lo scudo anti-spread”.

Il Fatto quotidiano: “Rita Borsellino: ‘Schiaffo da Napolitano’, a venti anni da via d’Amelio la sorella del giudice assassinato accusa il Colle: ‘Iniziativa grave contro i pm antimafia, non ce l’aspettavamo, non vogliamo corone di fiori dallo Stato’. Dal coro dei ‘corazzieri’ si dissocia Di Pietro”.

L’Unità punta sulle cifre Istat: “Più poveri nell’Italia della crisi”, “per l’Istat a rischio 8 milioni di persone: più colpiti i giovani e il sud. Da Bankitalia allarme disoccupazione”. “Festività: sindacati e Anpi contro l’ipotesi del governo di abolire 1 maggio e 25 aprile”.

Sicilia

Due giorni fa il siciliano Ivan Lo Bello, vicepresidente di Confindustria, aveva lanciato l’allarme: “Il governo Monti deve subito mettere mano ai conti della Regione Sicilia”, prospettando il rischio default. Ieri una lettera di Monti al governatore Raffaele Lombardo, che si era impegnato a dimettersi il 31 luglio. Secondo il Corriere il senso della lettera è che se Lombardo non si dimettesse, scatterebbe l’ipotesi di un diretto intervento di Palazzo Chigi. In una nota si legge: “Le soluzioni che potrebbero essere prospettate per una azione da parte dell’esecutivo non possono non tener conto della situazione di governo a livello regionale, ma anzi devono essere commisurate ad essa, in modo da poter utilizzare gli strumenti piìù efficaci ed adeguati. Per gran parte del mondo politico è un invito a lasciare Palazzo d’Orleans. Il diretto interessato ha immediatamente telefonato al Presidente del Consiglio: “Mezz’ora al telefono – dice – gli ho spiegato che c’è in corso una interessata ed erronea campagna mediatica sui conti da noi messi a posto, che non deve lasciarsi fuorviare. Porterò i  conti al premier, lo convincerò, e se ci riuscirò allora non ci sarà nemmeno bisogno di dimettermi”. La Stampa ricorda che era stato proprio Ivan Lo Bello a parlare della Sicilia come “Grecia d’Italia”, chiedendo a Lombardo di fare chiarezza sui bilanci. La Repubblica parla esplicitamente di una ipotesi commissariamento, e riferisce le parole di Lo Bello a commento della lettera di Monti: “In un mondo normale si deve consultare una società di revisione per la valutazione del bilancio della Sicilia. Se ciò non avviene è giusto che intervenga il governo”. Il governatore: “C’è un attacco spietato all’autonomia”. Per descrivere il personaggio LOmbardo e la sua vicenda, su La Repubblica Attilio Bolzoni scrive: “Passerà alla storia come il siciliano che ha dato il colpo di grazia alla Sicilia. Un po’ se l’è meritato, ma la colpa non è solo di questo governatore che ha sempre giocato col fuoco. Lui, Raffaele Lombardo, ci ha messo di suo una antica furbizia di democristiano d’origine, il resto lo hanno fatto 66 anni di malintesa autonomia che hanno trasformato la Sicilia nel Paese di Bengodi”. E si cita uno dei tanti record: “Nel 2011 ingaggiati 13 nuovi consulenti al mese, dieci volte più del Lazio”. Nicola Porro su Il Giornale dice che la Sicilia è a un passo dal fallimento, non ci sarebbe più un euro in cassa: solo per i suoi dipendenti si spendono più di 1,7 miliardi di euro, ovvero 20 volte il costo della Lombardia”. Poi si snocciolano cifre sulle migliaia di dipendenti, dirigenti, la prossima stabilizzazione di 20 mila precari: la Regione ha certificato debiti per 5,3 miliardi, “ma la cifra di quelli fuori bilancio, quelli per cui un imprenditore andrebbe in galera, è difficile da stabilire”.
Maurizio Belpietro su Libero ricorda che il quotidiano ha già proposto di “farla finita con lo Statuto speciale che consente alla Regione guidata da Lombardo di spendere e spandere”. Giuseppe Verde, costituzionalista dell’Università di Palermo, intervistato dal quotidiano, spiega che è molto difficile arrivare al commissariamento, che è possibile in presenza di violazioni dello Statuto il cui accertamento richiederebbe tempo: “Che i conti approvati siano falsi lo sanno anche le statue. Il governo potrebbe nominare un “commissario ad acta” per gestire i fondi europei o tamponare buchi di bilancio, in caso di bancarotta, ma la giunta e il consiglio resteranno in carica.
Il Corriere della Sera parla di un “Piano B del governatore”: “autosospendersi per rimanere in sella”. Un piano B per “evitare di mollare le leve del potere il 31 luglio”, centrato sulle 100 nomine delle ultime settimane per un rigido controllo di ospedali, aziende ed enti regionali, ma anche sull’incarico eccellente affidato a Massimo Russo, il magistrato che è stato incoronato come vicepresidente cinque giorni fa. Potrebbe avere un ruolo centrale, lo sospetta anche il sindaco di Palermo Orlando: Lombardo potrebbe autosospendersi lasciando al timone proprio Russo e tutta la squadra di assessori, in buona parte cambiati nelle ultime settimane.

Pdl

La Repubblica è il quotidiano che dedica più spazio alle notizie che riguardano la convocazione dell’ex premier Berlusconi a Palermo, dove è stato chiamato come teste in un nuovo filone di indagine che coinvolgerebbe il senatore Marcello Dell’Utri e la trattativa Stato-mafia. Formalmente è stato convocato per la vendita della villa di Dell’Utri a Como: i nomi di Berlusconi e Dell’Utri riemergerebbero mano a mano che si sviluppa l’inchiesta sulla trattativa che vede indagato anche l’ex ministro Mancino.
Berlusconi ha però deciso di opporre il legittimo impedimento, poiché lunedì scorso era impegnato a villa Gernetto per un workshop sulla crisi finanziaria, con economisti europei ed americani. “L’ex premier prepara il contrattacco”, scrive il retroscena de La Repubblica, sintetizzando così il suo pensiero: “E’ripartito il circo giudiziario per svergognarmi prima del voto”, “non mi fido di quella Procura, vogliono incastrarmi”.
Libero parla di un “Silvio d’assalto”, che propone: via l’Imu ed Equitalia. La prima casa non si può toccare e le tasse vanno abbassate. Bisogna chiudere l’esattoria di Stato”.
E sulla prima pagina di Libero una lettera firmata dagli ex An Gasparri e La Russa, rivolta a Berlusconi: “Lo sosteniamo, ma Forza Italia se la scorda”.
Su Il Giornale: “Avviso di Berlusconi: nessuno mi detta legge”, “il leader Pdl agli ex An sul caso Forza Italia: la partita si gioca al centro, la destra non sarà protagonista”.

Napolitano

Ieri Antonio Di Pietro è tornato a commentare la decisione del Capo dello Stato di sollevare conflitto di attribuzioni innanzi alla Corte Costituzionale contro la Procura di Palermo in relazione alle intercettazioni che coinvolgerebbero lui e il suo consigliere giuridico, nelle telefonate con l’ex ministro Mancino sulla presunta trattativa Stato-mafia.
Telefonate “captate ma non distrutte” dalla procura di Palermo, come ricorda La Repubblica, ricordando che si è riaperto, con particolare asprezza, lo scontro antico di Di Pietro con il Colle. In un videomessaggio il leader di Idv ha detto: “Si rende conto Napolitano che una scelta così drastica non nobilita le istituzioni ma le mortifica? Noi dell’Idv invitiamo a giudici di Palermo a ‘resistere, resistere, resistere’”.

Sulla stessa pagina de La Repubblica si riferiscono le parole del Procuratore aggiunto palermitano Antonio Ingroia, a difesa dei magistrati di Palermo. In riferimento all’iniziativa del Quirinale Ingroia dice: “Per la verità non ce l’aspettavamo, sia perché ritenevamo di aver applicato la legge nel migliore dei modi, sia per non aver leso in alcun modo le prerogative del Capo dello Stato. Non è uscita neanche una riga né sul contenuto delle intercetteazioni né sul numero delle intercettazioni telefoniche di cui si discute”. Poi evidenzia che a suo parere c’è “un vuoto di disciplina legislativa, sul quale il Parlamento non ha mai legiferato, anche se sollecitato nel lontano 1997. Ci auguriamo che la Corte Costituzionale possa dirimere ogni dubbio ulteriore”. In Procura si attende la comunicazione della data della udienza alla Consulta e ci si prepara alla nomina di un pool di avvocati. Ma intanto i pm di Palermo hanno incassato la presa di posizione del Procuratore nazionale Grasso: “i magistrati di Palermo hanno agito in buona fede”, “ora la questione è in buone mani, alla Consulta”, “il nostro ordinamento non prevede una norma specifica”, “il capo dello Stato non può essere intercettato. Se è accaduto è stato in modo occasionale”.

Scrive Stefano Folli sul Sole 24 Ore che Di Pietro ha deciso di attaccare Napolitano per sfidare il Pd: E’ stato lesto ad approfittare del conflitto tra Napolitano e Procura di Palermo per guadagnare visibilità e porsi al centro della scena. Perché intorno al Quirinale, secondo l’analista, si decide anche il futuro del centrosinistra di governo. Tra Beppe Grillo, Di Pietro e Vendola, ci sono sintonie: ma sono altrettanto forti le rivalità all’interno di questo arcipelago, dove Grillo ha offuscato da tempo Di Pietro, forse non in termini di sottrazione di voti(o forse non ancora) ma sicuramente gli ha rubato la leadership dell’area protestataria, “insofferente verso ogni istituzione, tentata dalla ribellione antisistema e perciò tifosa di una certa magistratura”.  Grillo e Di Pietro pescano nello stesso elettorato, sanno “che destabilizzare le istituzioni rappresenta per loro il mezzo più veloce per guadagnare spazio e attenzione mediatica”, proprio mentre il Pd si sta costruendo, “non senza fatica”, il profilo “di una forza di governo in grado di interloquire con i ceti moderati”. La difesa della Procura di Palermo, fatta da Di Pietro con toni di asprezza inusitata, va molto al di là del merito della questione, Diventa un pretesto per attaccare Napolitano sul piano politico e offenderlo sul piano personale. Quell’appello a resistere, che riecheggia la famosa invocazione di Borrelli, cade in una situazione in cui non c’è una linea del Piave da difendere, a meno di non sostenere che è il Presidente della Repubblica a minacciare lo stato di diritto. Ecco perché “Bersani dovrà fare attenzione”.

Il Corriere della Sera mette a confronto due diversi pareri sulla questione. Piero Alberto Capotosti, ex presidente della Consulta, dice: “Il testo delle telefonate del Presidente continua ad essere agli atti del processo di Palermo, e già questa è una enormità. In secondo luogo i magistrati hanno valutato la rilevanza o meno delle conversazioni del Presidente: e questa è un’altra enormità,. Terzo fatto: adesso dovrà essere il Gip a stabilire se quelle telefonate, secondo le norme generali, dovranno essere o no distrutte. Secondo l’articolo 271 del Codice Penale, “quelle intercettazioni dovranno entrare in udienza in camera di consiglio a disposizione delle parti e in contraddittorio tra le parti. Potrebbe essere infatti che i difensori dell’ex ministro Mancino abbiano interesse a che non vengano distrutte, perché potrebbero dimostrare l’innocenza del loro assistito. Ma tutto questo mi sembra contrario alla legge”.
Di diverso avviso è Franco Cordero, costituzionalista, che sottolinea come l’ascoltato fosse Mancino. Per questo gli inquirenti erano in regola e non c’è divieto assoluto di ascolto dei nastri.
Il Fatto intervista Rita Borsellino, alla vigilia dell’anniversario della strage di via d’Amelio: “Non ce l’aspettavamo dal capo dello Stato una presa di posizione così netta e grave nei confronti della Procura di Palermo nel momento in cui quest’ultima sta cercando di fare chiarezza tra depistaggi e sentenze indotte. A pochi giorni dall’anniversario della strage, di ci viene detto che delle intercettazioni tra Mancino e il Presidente la gente non deve sapere nulla.

La Stampa intervista il magistrato Giuseppe Di Lello, che fece parte del pool di Falcone e Borsellino: “Chi ha intercettato deve distruggere le intercettazioni e non lo può fare con l’udienza camerale di valutazione, alla presenza delle parti e dei difensori”, “quelle intercettazioni già non dovrebbero esistere più”. Sulla trattativa, riconfermato che la considera assolutamente “immorale”, sottolinea che essa va inquadrata “anche guardandola dal punto di vista politico”: “Come extrema ratio di un governo per far uscire il Paese da una situazione di estremo pericolo in cui era in gioco l’incolumità di tutti. Ricordo che per la mancata perquisizione del covo di Riina gli stessi pm di Palermo hanno invocato la politicità di quella scelta”.

Internazionale

Il Corriere della Sera si occupa del nuovo parlamento libico, nato dalle elezioni del 7 luglio. Sarà il Polo liberale a fare la parte del leone, forte della maggioranza relativa guadagnata sugli 80 seggi destinati ai partiti. Ma è ancora lunga la strada per arrivare alla soglia dei 100 seggi più uno necessaria a garantire la governabilità: e i Fratelli Musulmani potrebbero lavorare di sponda, cercando consensi tra la pletora di candidati indipendenti. Gli eletti come indipendenti sono infatti 120.
Il quotidiano intervista Mohamed Savan, capo dei Fratelli Musulmani in Libia: “Sotto il nostro governo le donne saranno libere di scegliere se coprirsi il capo con l’hijab o meno. L’islam è un modo di vivere completo e coerente, ma noi non intendiamo imporlo con la forza, anche se riteniamo evidente che la sharia sarà la base della prossima legislazione”. Come spiega il vostro scarso successo elettorale come partito? “Nostro punto di forza sono i candidati indipendenti, molti di loro sono in verità schierati con noi”, “probabilmente la maggioranza degli eletti nelle liste individuali. E comunque noi ci siamo piazzati bene a Misurata e nel sud, siamo stati molto contenti delle elezioni, abbiamo tutti i numeri per guidare il prossimo governo coalizzati con gli indipendenti.
E non pensa a un governo unitario con Jibril? “E’ una possibilità che non scartiamo, ma va esplorata”. Sawan è certo che i successi dei Fratelli Musulmani in Egitto e Tunisia influenzino la Libia. “Abbiamo la stessa ideologia ci rafforziamo a vicenda”. Poi parla dello smantellamento delle milizie, dice che sarà “un processo lento e graduale”, e che “ai miliziani verrà offerto di far parte delle forze di sicurezza, senza diffrenze tra esercito e polizia”.

Alle pagine dell’economia La Repubblica riferisce delle accuse emerse da un dossier di 400 pagine del Senato Usa nei confronti del colosso bancario inglese Hbsc: il denaro della seconda banca più grande del mondo sarebbe arriverato dai conti dei narcotrafficanti messicani e dai terroristi di Al Qaeda, sarebbe circolato attraverso i canali proibiti dei paradisi fiscali, e avrebbe finito per alimentare le casse degli ayatollah iraniani che giocano con la bomba atomica.

Anche sulla seconda pagina del Sole 24 Ore si racconta come i manager della Hsbc ieri, “con il capo chino”, abbiano chiesto scusa al Senato Usa per esser diventati banchieri dei terroristi e dei trafficanti e per aver di conseguenza messo a repentaglio la sicurezza americana. L’annuncio delle dimissioni dell’alto dirigente David Bagley, non saranno che l’inizio di un lungo calvario per la banca finita anche nel mirino della giustizia Usa: secondo i calcoli degli analisti la Hsbc rischia multe per almeno un miliardo di dollari. Avere aiutato l’Iran, la Corea del Nord e il Sudan ad evadere le sanzioni imposte dal governo Usa, cancellando nomi o altri dati che avrebbero potuto allertare le autorità bancarie americane.

Ancora su La Repubblica si riferisce delle rivelazioni del Wall Street Journal su uno scudo antimissile segreto in Qatar, che potrebbe costituire il terzo pilastro di un triangolo difensivo in funzione anti-Iran. Intanto a Damasco infuria la battaglia, oggi all’Onu verranno presentate le due bozze di risoluzione, ieri il mediatore Kofi Annan ha incontrato il presidente russo Putin: e una analisi di Renzo Guolo spiega perché la Russia e gli ayatollah iraniani, malgrado i massacri, continuino a spaventare il regime di Assad: “L’asse sunnita che spaventa Teheran”. Per il presidente iraniano c’è lo spettro di sauditi al confine. Mosca perderebbe le basi strategiche: in Siria a Tartous, oltre alla perdita dello storico ruolo di forniture militari. Un’asse sunnita Riad-Damasco-Ankara, costringerebbe l’Iran sulla difensiva: isolandolo proprio ora che la prospettiva di una attacco israeliano al nucleare diviene sempre più concreta.

Il Sole 24 Ore ricorda che l’opposizione siriana ha annunciato “l’operazione vulcano”, ovvero la battaglia di Damasco, con l’assalto al regime.  L’obiettivo è moltiplicare gli attacchi lanciati nei giorni scorsi nei sobborghi della capitale per tenere impegnate le forze governative anche nei quartieri centrali e tagliare i collegamenti con le principali arterie di comunicazione. Il Presidente Assad, secondo i servizi militari israeliani, avrebbe spostato una parte delle truppe dal Golan verso Damasco: Israele occupa le alture del Golan dal 1967 e sta monitorando con attenzione i movimenti su quello che fu uno dei fronti più caldi del Medio Oriente, ma dove da oltre 40 anni non si spara un colpo.

di Ada Pagliarulo e Paolo Martini