Re Giorgio conta i giorni

Pubblicato il 5 Luglio 2012 in da redazione grey-panthers

Il Corriere della Sera, come quasi tutti gli altri quotidiani, dedica il titolo di apertura alle nomine bloccate sulla Rai, e allo “scontro Fini-Schifani”: un senatore e membro della Commissione di vigilanza Rai del Pdl ha annunciato che avrebbe votato per eleggere un membro del cda diverso da quello indicato dal suo partito, che ne ha chiesto la sostituzione al presidente Schifani. Schifani lo ha sostituito, lasciando il posto ad un senatore del gruppo Coesione Nazionale, che da tempo chiede di essere presente in Commissione di vigilanza. Fini ha definito di “inaudita gravità” la scelta di Schifani.
La Stampa: “Nomine Rai, Fini-Schifani ai ferri corti”.
L’Unità: “Rai, colpo di mano di Schifani”.
Il Giornale: “Fini rifà il furbo. Ci risiamo: il presidente della Camera tenta il blitz per occupare viale Mazzini insieme con Pd e Idv. Ma il piano salta e lui attacca Schifani. Così il suo tornaconto politico apre una crisi istituzionale”.

La Repubblica riserva alla notizia un richiamo in prima, perché apre con una conversazione con Napolitano, firmata da Eugenio Scalfari: “Perché l’Italia deve farcela. Il capo dello Stato: nel vertice di Bruxelles l’Europa ha aperto una nuova strada. Sul caso Mancino il mio comportamento sempre corretto”. Napolitano avrebbe anche definito “buona idea” quella di eleggere una assemblea costituente per fare le riforme istituzionali. “Ma nel 2013 io lascio”.

Il Sole 24 Ore, sulla revisione della spesa: “Gli ospedali e i tribunali sotto esame. Slitta la riduzione delle Province. Stretta sugli affitti degli uffici pubblici. Oggi i decreti al Consiglio dei ministri: l’elenco delle strutture sanitarie e giudiziarie per le quali è prevista la chiusura”. A centro pagina l’incontro Monti-Merkel: “Monti: ‘non ci servono aiuti’. Restano le distanze sullo scudo blocca spread. La Cancelliera: ‘in Italia fatte riforme fondamentali’”.

Napolitano

Il fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari è andato nella residenza di Castel Porziano a intervistare il Presidente della Repubblica, in una calda domenica d’estate. Il colloquio tra i due si è articolato sui temi che ruotano intorno alla figura del Presidente della Repubblica in Italia. “Sai – dice Napolitano – in questi sei anni al Quirinale ho potuto meglio comprendere come il Presidente della Repubblica italiana sia forse il capo di Stato europeo dotato di maggiori prerogative. I Re, dove ancora ci sono, sono figure importanti storicamente ma essenzialmente simboliche. Gli altri capi di Stato ‘non esecutivi’ hanno in generale poteri molto limitati. Il solo al quale, oltre a rappresentare l’unità nazionale, la Costituzione attribuisce poteri in vario modo precisi e incisivi è quello italiano. Naturalmente il Presidente francese ha prerogative di rilievo molto maggiore, ma in Francia c’è una forma di presidenzialismo. La nostra invece è una repubblica parlamentare, la cui Costituzione però ha riservato al Quirinale un peso effettivo. Penso sia stata una scelta molto meditata dei padri costituenti.
Scalfari ricorda le prerogative del Capo dello Stato, e ci si sofferma in particolare su quella di nomina del Presidente del consiglio e – su proposta di quest’ultimo – dei ministri. Poi ricorda che il primo ad esercitare questo potere è stato Luigi Einaudi allorché, nel 1953, chiamò Giuseppe Pella comunicandogli che lo aveva nominato presidente del Consiglio. Ricorda ancora Scalfari che la Dc fu presa alla sprovvista, votò la fiducia a Pella ma definì “governo amico” quello da lui presieduto. Fu una forma di distacco? Risponde Napolitano: “Il governo non può mai essere una pertinenza esclusiva di un partito. E’ una istituzione, il governo, e risponde a tutti gli italiani”. “Naturalmente deve avere la fiducia di una maggioranza parlamentare, che lo consideri un governo da sostenere attivamente. Quando non fosse più così, le Camere lo sfiducierebbero. Questo è il funzionamento corretto di una democrazia parlamentare: il Capo dello Stato nomina tenendo presente che il governo dovrà avere la fiducia del Parlamento”. Chiosa Scalfari che la Costituzione, per quel che riguarda la nomina del Capo del Governo, è stata rispettata “solo quattro volte”.
Poi Scalfari lo sollecita sulla questione partitocrazia, e Napolitano risponde: “Pressioni abnormi dei partiti sono state a lungo esercitate, più che per l’individuazione del capo del governo, per la nomina dei ministri (già con Einaudi presidente) e soprattutto per la spartizione degli incarichi negli enti pubblici e nel sottogoverno, in una condizione – per di più – di democrazia bloccata fino agli anni 90″.
Scalfari sottolinea di aver avuto la sensazione che Napolitano, da Presidente, sia più attento al pensiero di Einaudi, il quale era convinto che uno dei suoi compiti fosse quello di trasmettere intatte le prerogative costituzionali del Capo dello Stato ai suoi successori. Napolitano dice di contare i giorni alla rovescia fino al maggio 2013, data in cui terminerà il suo mandato, secondo Scalfari disapprova totalmente che si possa passare dalla repubblica parlamentare a quella presidenziale con un emendamento nel quadro delle modifiche previste dall’articolo 138 della Costituzione. Poi ricorda che è appena stata presentata la proposta della elezione di una assemblea costituente, e che dopo trent’anni di tentativi abortiti di riforma, “non si può negare che questo approccio abbia una sua motivazione. Tocca al Parlamento valutare quella e le altre proposte”.

E poi

Su tutti i quotidiani lo “storico annuncio” del Cern di Ginevra:è stato “individuato il bosone di Higgs”, la cosiddetta “particella di Dio” ritenuta all’origine della materia dell’universo. Su La Stampa commentano la notizia un prelato (monsignor Sgreccia) e un filosofo (Gianni Vattimo). Su Il Giornale è Antonino Zichichi a parlare della “briciola di Dio che ci spiega la Creazione”, mentre sul Corriere il filosofo della scienza Giulio Giorello parla di Peter Higgs, lo scienziato britannico che nel 1964 aveva “espresso la convinzione dell’esistenza di una nuova particella”, che poi sarebbe stata nota come “bosone di Higgs”, e racconta anche “l’equivoco sull’Onnipotente” che si trascina ancora oggi.

Su Europa una analisi del voto possibile dei “post-millennial” alle presidenziali Usa: si tratta dei giovani tra i 18 e i 24 anni, un blocco consistente di nuovi elettori, figli della crisi. 17 milioni di votanti che potrebbero fare la differenza tra Obama e il candidato repubblicano Romney. Nel 2008 il voto giovanile fu una forza dirompente e determinante per Obama, ora questi neoelettori sembrano meno entusiasti, sono più propensi ad identificarsi come conservatori, almeno stando a quel che sostiene Susan Saulny sul New York Times, commentando un recente studio condotto dall’Harvard Institute of politics.
Non che quel blocco elettorale stia passando totalmente dall’altra parte, ma il vantaggio rispetto a Romney tra i giovani tra i 18 e i 24 anni è di soli 12 punti (41 per cento contro 29), mentre nel 2008 lo scarto rispetto a McCain rispetto a questa categoria di elettori era di 53 a 32. Quel vantaggio di dodici punti, poi, svanisce del tutto tra gli elettori bianchi.
Sulla stessa pagina di Europa si racconta come Mitt Romney, candidato repubblicano e mormone, stia per recarsi in Israele per conquistare il voto degli ebrei in patria. Prova cioé a sedurre la comunità ebraica scontenta della politica di Obama in Medio Oriente. Lo stesso Romney ieri ha deciso di attaccare frontalmente la Casa Bianca sull’Obamacare, dichiarando che essa si traduce in una tassa e che quindi Obama “ha infranto la sua promessa elettorale” di non alzare la pressione fiscale sui ceti medi americani.

Sul Corriere della Sera viene pubblicato in anteprima un ampio brano di un saggio del politologo Charles Kupchan, che uscirà sul prosismo numero di Aspenia. “L’Occidente deve imparare a dialogare con il nemico. E’ l’unica via di salveezza di Stati Uniti ed Europa”. “La necessità di un confronto più aperto con tutti i paesi ‘avversari’. “Osservatori e politici occidentali – scrive Kupchan – dovrebbero deporre l’illusione che la diffusione della democrazia in Medio Oriente implichi automaticamente l’affermazione dei valori occidentali. E’ anche probabile che la voglia di riscatto e dignità che è stata alla base della richiesta di democrazia si traduca in uno spirito di rivalsa nei confronti degli Stati Uniti, dell’Europa e di Israele: in un sondaggio effettuato nellla primavera 2011 (dopo la caduta di Mubarak), ad esempio, oltre il 50% degli egiziani si diceva favorevole ad annullare il trattato di pace stipulato con Israele nel 1979. In una regione come il Medio Oriente, a lungo dominata da potenze straniere, più democrazia può benissimo comportare una drastica riduzione della cooperazione strategica con l’Occidente”.

Sullo stesso quotidiano Giorgio Pressburger racconta come i cittadini musulmani austriaci abbiano celebrato la ricorrenza del centenario della legge varata nel vecchio impero austro-ungarico, che dava ai cittadini di religione islamica gli stessi diritti dei cattolici, dei protestanti, degli ebrei, dei buddisti. Il modello di tolleranza religiosa che risale dunque al 1912, si concretizzò dopo l’annessione della Bosnia Erzegovina da parte dell’impero, un crogiuolo multietnico.

Su tutti i quotidiani le notizie relative al presunto avvelenamento di Yasser Arafat con il polonio. L’Anp, come riferisce La Stampa, ha chiesto di riesumare il corpo: “In un medio oriente cui primavere e guerre hanno strappato i connotati di quell’ormai lontano 2004 (anno della morte di Araft) un Arafat avvelenato è una buona carta propagandistica per riaccendere tensioni utili a dirottare verso obiettivi antichi (e però in questo momento marginali) la rabbia furiosa di popoli che oggi appaiono frustrati nelle loro impazienti attese di una palingenesi epocale”. Dietro la rivelazione di un avvelenaemnto al polonio nei confronti dell’ex leader Anp sta la tv araba Al Jazeera, che ha condotto una vera inchiesta poliziesca sulla morte del capo dello Stato palestinese.
Il Giornale scrive che si tratta di un “siluro contro Israele” e Fiamma Nirenstein scrive che i palestinesi vogliono accusare il Mossad, ma Tel Aviv non aveva interesse ad eliminarlo.