Oggi al Consiglio dei ministri la riforma del lavoro

Pubblicato il 23 Marzo 2012 in da redazione grey-panthers

Le aperture

La Repubblica: “Monti: sull’articolo 18 vado avanti. Anche la Cisl chiede modifiche. Dal premier garanzie sui licenziamenti abusivi. Fornero: oggi il Cdm inizia solo l’esame del testo. Palazzo Chigi la corregge: sarà approvato ‘salvo intese’. Diventa legge il decreto sulle liberalizzazioni”. A centro pagina: “Squinzi presidente ma Confindustria si spacca. Designato con appena 11 voti di scarto su Bombassei. Imprenditori mai così divisi, cresce il ruolo dei ‘pubblici'”.

Il Corriere della Sera: “Monti va avanti sul lavoro”. “Oggi la riforma in Consiglio dei ministri, poi tocca al Parlamento. Possibili interventi sugli statali. ‘Ma niente abusi sull’articolo 18’. I sindacati uniti: non basta”. Il titolo di apertura è per Confindustria, che “sceglie: Squinzi è presidente. ‘Ho vinto in volata. 93 a 82 su Bombassei”. A centro pagina: “Ora la Francia che il killer di Tolosa poteva essere salvato. Freddato dal colpo di un cecchino sotto assedio”.

Il Sole 24 Ore: “Articolo 18, eviteremo abusi”, parole del presidente del Consiglio. “Monti: la norma sarà precisata. Marcegaglia: no a retromarce. Oggi la riforma in Consiglio. Fornero: non torniamo indietro. Napolitano: salvaguardare la coesione sociale”. Di spalla: “Vertice Confindustria, designato Squinzi: sarò il presidente di tutti”. A centro pagina: Spread ancora in tensione. Il differenziale Btp-Bund si allarga a quota 318. Dubbi sulla Spagna e frenata cinese frenano i mercati. Piazza Affari perde l’1,7 per cento”.

Il Giornale: “Bersani disperato. Articolo 18, Monti non si ferma. Il governo non rinuncia al decreto e mette il Pd nell’angolo. O farà cadere il premier o perderà gli elettori. La Cgil va alle crociate: scioperi e cortei, tiera già aria di rivolta”.

Per Libero “Monti rischia il posto. Scendono in campo i vescovi  e la Cisl si sfila, mentre il Pd, pressato dalla Cgiil, fa le barricate”. Un articolo di Giampaolo Pansa, corredato da una caricatura che raffigura il segretario del Pd e quella della Cgil, sintetizza: “Bersani in trappola: nel suo partito comanda la Camusso”.

La Stampa,oltre che della riforma del lavoro e del nuovo presidente di Confindustria, parla in prima pagina di Lampedusa: “L’isola teme la follia degli sbarchi di un anno fa. Lampedusa, dove il bel tempo fa paura”.

Lavoro

L’approvazione della riforma del lavoro da parte del consiglio dei ministri sarà oggi con la formula “salvo intese”, spiega il Corriere della Sera. Significa che si vuole rimarcare che il progetto è stato approvato, ma verrà materialmente scritto e rifinito dai ministri competenti anche nei giorni successivi alla approvazione. Saranno dunque possibili “limature, piccole modifiche, ulteriori scorci di trattative”, ma “Monti lascerà domenica l’Italia alla volta dell’Asia avendo chiuso la vicenda. Il provvedimento non dovrà tornare in consiglio dei ministri.

La Stampa scrive che sulla questione lavoro “frena anche la Cisl”. A sinistra si è scatenata la gara a chi chiede modifiche, scrive il quotidiano, riferendo che a metà pomeriggio il leader Cisl Bonanni ha annunciato: “stiamo cambiando la norma sui licenziamenti economici”. Ecco perché Monti rettifica: “Ci sarà una formulazione per evitare gli abusi”. La questione che il quotidiano considera “caldissima” è se comprendere nell’articolo 18 anche i dipendenti statali e degli enti locali. Il governo ha dato versioni diverse, secondo La Stampa, poiché prima ha annunciat che sarebbe stato applicato a tutti, mercoledì ha escluso categoricamente che avrebbe riguardato gli statali, e ieri il ministro Fornero è apparsa più cauta: “Il governo valuterà cosa va fatto sul pubblico impiego, ma sono ordinamenti diversi”, cui non si possono applicare le stesse norme, “ma questo non vuol dire che non si interverrà, vuol dire che se ne occuperà il collega Patroni Griffi”.
Alberto Bisin, su La Repubblica, in una analisi dal titolo “perché nessuno tocca gli statali”, scrive che “il settore pubblico vive con il supporto della politica tutta, ed ha rappresentanti che capiscono bene che gli interessi dei lavoratori pubblici sono spesso opposti a quelli del privato. Loro la guerra tra poveri la sanno fare; anzi, l’hanno essenzialmente vinta. Solo oggi la Cisl difende l’articolo 18-; dopo aver compreso come la sua parziale rimozione sarebbe potuta servire da chiavistello per una operazione simile nel settore pubblico. E’ vero che questa riforma del lavoro, nel pubblico, non avrebbe senso. In cosa consisterebbe, allo stato delle cose, un licenziamento per motivi economici nel settore pubblico? Ma questo non toglie che il cuore della questione sia proprio lì, in un settore pubblico ipertrofico e spaventosamente inefficiente che drena risorse nel settore privato”.
Secondo Bisin qui sta una questione economica fondamentale, poiché “il carico fiscale di cui il settore pubblico gode è una delle ragioni fondamentali per cui il settore privato non riesce a competere nei mercati internazionali”. Non solo, ma l’inefficienza del settore pubblic (si pensi alla giustizia civile, ai trasporti, ma anche alla scuola) è una delle principali ragioni per cui le imprese straniere non  si sognano di investire in Italia.
Guido Gentili su Il Sole 24 Ore (“La zona franca degli statali”) scrive che “logica vorrebbe che per la pubblica amministrazione (gli impiegati sono 3,5 milioni, di cui 3,1 stabilmente assunti in ruolo, circa il 15 per cento dell’occupazione totale e il 23 per cento dei lavoratori subordinati) valgano le stesse regole ipotizzate per i lavoratori delle imprese private”. Il goverrno ha avvertito che non si possono applicare le norme ipotizzate per il privato eppure – sottolinea Gentili – il testo unico che disciplina il lavoro pubblico, ovvero il Dl 165 del 2001, afferma che “la legge 20 maggio 1970 numero 300, lo Statuto dei lavoratori, e successive integrazioni e modificazioni, si applica alle Pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti”. Questo testo unico è stato riformato dalla legge Brunetta del 2009 e poi dalla legge 183 del 2011, la quale prevede, per le PA, che “hanno situazioni di soprannumero o rilevino comunque eccedenze di personale, in relazione alle eccedenze funzionali o alla situazione finanziaria, la possibilità di licenziamenti, compresi quelli individuali. Dopo un periodo di mobilità, cui può seguire una sospensione per un massimo di due anni retribuita con l’80 per cento dello stipendio, il contratto di lavoro può essere risolto. Gentili ricorda anche che la sezione lavoro della Cassazione nel 2007 ha ritenuto applicabile l’articolo 18 dello Statuto ai lavoratori pubblici, dirigenti compresi.
Quanto alla questione dei” licenziamenti economici”, rimandiamo alle pagine de La Stampa, de Il Sole 24 Ore e del Corriere della Sera per gli approfondimenti relativi all’indicazione data da Monti sui ‘paletti’ per ‘evitare abusi’. La Stampa, per spiegare come saranno orientati tali ‘paletti’ spiega che l’azienda dovrà dimostrare perché si licenzia un lavoratore anziché un altro; non potrà sostituire il licenziato nella sua mansione con un altro collega; non potrà assumere un nuovo dipendente per un certo lasso di tempo. Cambierebbe anche la procedura: l’azienda, anziché limitarsi ad una comunicazione al lavoratore e agli uffici del Ministero del lavoro, dovrà avviare una sorta di ‘conciliazione’, consultando un comitato misto impresa-sindacati o affidandosi ad arbitro imparziale che confermi che il licenziamento è ‘oggettivo’. Il Corriere ricorda che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (motivi economici) è quello legato all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro: crisi dell’impresa, venir meno delle mansioni, impossibilità di ricollocamento ad altre mansioni. Finora il lavoratore poteva andare dal giudice se riteneva insussitenti i motivi del suo licenziamento: al giudice era preclusa la valutazione sui criteri di gestione dell’impresa, doveva limitarsi al controllo sull’effettiva sussitenza delle motivazioni del datore di lavoro, su cui gravava l’onere di provare la fondatezza delle cause addotte per il licenziamento. La novità starebbe ora nel fatto che l’inesistenza del giustificato motivo oggettivo, se accertata dopo la procedura di conciliazione da un tribunale, determinerebbe il pagamento di un’indennità tra le 15 e le 27 mensilità e non più il reintegro.
Anche su Il Sole 24 Ore un approfondimento in cui si spiega che nelle cause non si discuterà più solo della legittimità del recesso: diventerà importante capire se il datore di lavoro ha collocato il licenziamento nella tipologia corretta, poiché vi sono regimi di tutela diversi (a seconda che si tratti di licenziamenti economici o disciplinari).

Pd

Scrive Stefano Folli sul Sole 24 Ore che una “scissione nel segno della riforma del lavoro sarebbe il suicidio del Pd. Una fetta andrebbe a ingrossare le file del ‘terzo polo’, un segmento forse lascerebbe la politica e una parte non piccola sarebbe calamitata da Vendola, avendo la Cgil come il sole intorno a cui abitare. Sarebbe necessario un numero imprecisato di anni prima di ricostruire una forza riformista capace di attrarre anche gli elettori moderati”. Ma è anche vero che se il Pd non riuscisse ad “accettare la riforma Monti-Fornero” la stabilità del governo sarebbe “scossa dalle fondamenta”. Folli spiega che non per il Pd la priorità e “ricucire lo strappo” e ridurre le tensioni operando attraverso il “lavoro parlamentare”, lavoro non difficilissimo visto che “lo strumento sarà una legge delega e non il decreto”. Insomma: “Quando c’è la convenienza politica a trovare una intesa,è difficile che la situazione sfugga di mano”.

La Stampa intervista Rosy Bindi (“Monti forte con operai e pensionati, deboile con televisioni e avvocati”), che dice tra l’altro: “Noi del Pd siamo assolutamente convinti di aver fatto la scelta giusta su Monti e su questo governo. Vogliamo rinnovarla fino alla scadenza naturale della legislatura. Chiediamo soltanto che si rispettino la dignità, la sensibilità, il punto di vista di tutte le forze politiche”. Quanto all’ultimatum lanciato al governo, dice Bindi: “No, è il rovescio: noi non accettiamo diktat”. “Anche sull’articolo 18 si cerchino i punti di incontro”.

Confindustria

La Giunta di Confindustria ha designato ieri l’imprenditore milanese Giorgio Squinzi alla presidenza per il dopo Marcegaglia. Ha ottenuto  voti contro gli 82 di Alberto Bombassei, il patron della Brembo. Guido Palmieri su Il Sole 24 Ore descrive Squinzi così: il campione del Made in Italy con la passione del ciclismo. E racconta che il carattere, insieme globale e familiare dell’azienda da lui fondata, la Mapei, si riconosce immediatamente al centralino telefonico dell’azienda che – in tutto il mondo – ripete la celebre canzone My way, che Paul Anka ha riscritto per la famiglia Squinzi, di cui è amico di vecchia data. L’azienda Mapei, fondata dal padre nel 1937, ha conservato negli anni tutte le caratteristiche di una azienda familiare in un contesto globale. Vi lavorano i familiari, affiancati da 150 manager a livello mondiale, tutti reclutati sul posto. L’intuizione di fare dell’impresa una “multinazionale tascabile” scatta nel 1976, quando vince l’appalto per realizzare la pista olimpica di Montreal. Ha una forte specializzazione, poiché si occupa solo di chimica per l’edilizia, ed ha partecipato a costruzioni e restauri tra i più prestigiosi al mondo. Dice Squinzi: uno dei risultati più significativi nella mia carriera imprenditoriale è di non aver mai effettuato licenziamenti e di non aver mai chiesto la cassa integrazione. Presidente di Federchimica dal 97 al 2003, e poi dal 2005 al 2011, ha firmato con tutte le sigle sindacali sei rinnovi contrattuali senza un’ora di sciopero. Accordi che hanno introdotto flessibilità e diventati apripista. E’ il primo presidente di Confindustria proveniente dal settore chimico. “Coro di consensi da politica e sindacati per la scelta di Squinzi” – scrive Il Sole, che riferisce il commento di Susanna Camusso, la quale ha auspicato che “l’atteggiamento costruttivo e responsabile dimostrato negli anni alla guida di Federchimica sia un punto di riferimento per la costruzione di relazioni sindacali positive, nel segno dell’accordo interconfederale del 28 giugno scorso”.

La Repubblica dedica all’elezione un “retroscena”: “Industriali mai così spaccati, cresce il ruolo dei big pubblici”. Lo scarto di appena 11 voti tra Squinzi e Bombassei ha – secondo il quotidiano – tracciato il solco della profonda spaccatura tra i due schieramenti, ed ha fatto emergere il ruolo delle aziende pubbliche ed ex pubbliche”. La Repubblica riferisce di quella che considera “la mossa plateale” dell’amministratore delegato di Eni Scaroni: “Noi abbiamo sei voti. Eni ha fatto la differenza votando per Squinzi”. All’interessato pare non sia piaciuta la mossa di Eni,ma la strategia che lo ha portato al vertice di Confindustria, messa in campo dal suo fedelissimo presidente di Unindustria Roma Regina, ingloba anche l’idea che non ci siano più le barriere tra pubblico e privato. Fulvio Conti, ad di Enel, è candidato alla delega del centro studi di Confindustria. Al Nord questo connubio piace poco e contribuisce a spiegare quella decina di voti che sono ieri mancati a Squinzi: il modello Roma, insomma. Fondere Roma con Assolombarda (Milano) non sarà cosa semplice, tanto più che Bombassei, come ha detto uno dei suoi grandi elettori off the record, ha raccolto i suoi voti dove si fa il 70 per cento del Pil nazionale.
Su La Stampa: “Eni, Assolombarda e Roma, ecco la formula del sorpasso”. Ferrovie, Enel e Telecom sono schierate con il nuovo presidente, solo Finmeccanica si è smarcata.

Tolosa 

Renzo Guolo su La Repubblica si occupa della strage di Tolosa e del suo autore, Merah, “qaedista delle banlieues”: ha vissuto la frustrazione diffusa tra le seconde e terze generazioni di immigrati che può generare la rivolta delle banlieues o la radicalizzazione islamista. Le prime generazioni dell’internazionalismo militante jihadista hanno combattuto i sovietici in Afghanista, la seconda ha fatto il suo pellegrinaggio due decenni dopo, per battersi contro gli americani e i loro alleati in Iraq o in Afghanistan. Merah è il classico “lupo solitario”, che si ideologizza nelle periferie delle città europee. Voleva sfuggire alla routine del lavoro in carrozzeria attraverso la riscoperta della religione come bricolage e della jihad online. Fa parte di quella schiera che combatte nelle terre del jihad per qualche mese o qualche anno per poi riprendere, mimeticamente, una vita all’apparenza normale, a migliaia di chilometri di distanza, restando “in sonno” fino a che l’impulso all’azione o un particolar emomento politco lo indurrà ad agire. Ed è un percorso “che rivela come l’ideologia qaedista possa sopravvivere alla stessa crisi di Al Qaeda”.
La Stampa intervista il suo avvocato, Christian Etelin (avvocato di anarchici, sans papiers, islamisti). L’ultima volta che ha visto Merah è stato il 24 febbraio scorso, quando era stato condannato a un mese di prigione senza condizionale perché pregiudicato per un incidente su una moto che guidava senza patente. Come è potuto accadere l’attentato di Tolosa? “Mi sembra un caso di doppia personalità, non riesco a spiegarmelo”, “credo che Mohamed si sia sentito rifiutato dalla società francese. Questo, naturalmente, non attenua le responsabilità ma forse aiuta a spiegarle. Abbiamo qualcuno che cresce in un quartiere difficile” e che viene ripetutamente condannato dal tribunale dei minori per piccoli reati, principalmente legati alla droga. Nella società “non c’è posto per lui”: primo rifiuto. Allora cerca di arruolarsi nell’Armée: dunque vorrebbe aderire ai valori della Répubblique, si sente legato alal Francia. Ma l’esercito non lo vuole. Nuovo rifiuto. Infine gli viene inflitta una condanna pesante, 18 mesi per lo scippo di una borsa in una banca: “un francese con le mie origini – ha pensato – non sarebbe stato punito così”. L’avvocato dice che non sembrava affatto un estremista islamico: “Beveva, usciva con gli amici, vestiva all’occidentale, non portava la barba”.

La pagina seguente de La Stampa si occupa dei riflessi sulla campagna per le presidenziali: “Sarko a tutta destra: ‘Vietare l’apologia del terrorismo’”. Si dice però anche che il ministro degli esteri Juppe sarebbe critico, convinto che i servizi segreti abbiano sbagliato, prendendosi per questo un rimbrotto del suo collega all’interno Guéant. Sarkozy ha proposto una riforma legislativa per rendere penalmente perseguibile chi segue corsi di addestramento al terrorismo all’estero o frequenta i siti che reclamizzano il terrore internazionale.

E poi

Il Sole 24 Ore offre ai lettori un inserto-Documenti che costituisce la “guida pratica al decreto legge liberalizzazioni” (dalle nuove regole sulla RcAuto alla vendita libera nelle edicole, dall riduzione Imu sui fabbricati invenduti al project financing sulla nautica da diporti. La terza parte sarà in edicola con il quotidiano domani.

DA RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini