NAPOLITANO: BASTA SCONTRO CIECO Il Presidente della Repubblica chiede dialogo e riforme che rispettino la Costituzione

Pubblicato il 26 Aprile 2011 in da redazione grey-panthers

Le aperture

Il Corriere della Sera: “Anche l’Italia bombarderà in Libia. ‘Via ai raid mirati richiesti dalla Nato, informeremo il Parlamento’. Apertura del Pd: ‘Ma il governo spieghi la svolta’. L’annuncio di Berlusconi a Obama, che esprime ‘grande apprezzamento'”. L’editoriale: “Non più nel mezzo'”. A centro pagina: “Muro della Lega sulla guerra. Calderoli: non darò il voto”. In evidenza anche, con una foto delle manifestazioni del 25 aprile: “Fischi per i politici di governo e di opposizione. L’appello di Napolitano: dialogo, non scontro cieco”.

La Repubblica: “Libia, anche l’Italia bombarderà. Il premier cambia linea dopo una telefonata con la Casa Bianca. ‘Raid mirati’. Frattini: ce lo hanno chiesto gli insorti. Sì di Berlusconi a Obama. L’ira della Lega: noi votiamo contro”. A centro pagina: “Economia, Tremonti avverte il Pdl: la crescita non si fa con il deficit”. E poi: “Napolitano: basta scontro cieco, le riforme rispettino la Carta”.

La Stampa: “L’Italia bombarderà la Libia. Oggi il vertice con Sarkozy. Maroni propone di accogliere non più di 50 mila immigrati. Strage in Siria, l’esercito spara sui rivoltosi. Annuncio di Berlusconi dopo una telefonata con Obama. La Lega: no all’intervento”. In alto la festa della Liberazione: “Richiamo di Napolitano. ‘Serve responsabilità, basta scontri ciechi’. ‘Riforme senza ledere la Costituzione’. Il Presidente nella cerimonia per la celebrazione del 25 aprile”.

Europa: “Ora siamo davvero in guerra ma la Lega gela il Cavaliere. Calderoli: ‘Non avranno il mio voto’. Oggi a Roma l’incontro con Sarkozy”.

Il Foglio: “Ora anche l’Italia bombarda. Il Cav inserisce nuova confusione nella stolta guerra di Libia”. E poi: “Damasco manda i carri armati a schiacciare la protesta. Un altro colpo a favore dell’Arabia Saudita”. Di spalla il quotidiano parla delle inchieste di Palermo: “Cosa resta del rigoroso ‘approccio laico’ del pm Ingroia a Ciancimino Jr. A Parlemo riprende il processo al generale Mori. Senza il figlio di don Vito e con una lista farlocca in meno”.

Il Fatto quotidiano, con immagine di Antonio Ingroia: “Vogliono eliminare quest’uomo. Il bersaglio è il PM Antonio Ingroia. Per lui Ferrara e i berluscones chiedono il carcere. Con la scusa del falso Ciancimino vogliono bloccare le inchieste che coinvolgono il padrone, e non solo”.

Il Giornale: “Liberateci da questi. DI Pietro, Bocca, e l’ultrà anti-Cav vogliono il golpe, altro che festa di riconciliazione. Bersani: mai Silvio al Quirinale. Ma lo sa che decide il Parlamento?”. A centro pagina, un richiamo al vertice di oggi tra Berlusconi e Sarkozy: “Italia-Francia, si gioca su Draghi e immigrati. Da Parigi primo ok per il nostro candidato alla Banca centrale”.

Libero: “Pannoloni e moschetto. I nonni della Patria in marcia su Arcore. Napolitano chiede pace ma Scalfari, Bocca e compagni incitano alla rivolta. Fischi e insulti verso il Pdl: il 25 aprile è ancora tradito”. A centro pagina: “La Lega candida il Cav al Quirinale”. Si dà conto delle dichiarazioni del capogruppo della Lega alla Camera Reguzzoni che, ospite di Lucia Annunziata, ha detto che Berlusconi può “tranquillamente essere eletto presidente della Repubblica”. In prima anche un richiamo al vertice Italia Francia: “La proposta indecente di Sarkozy. Draghi in Europa e i vu cumprà in Italia”.

Il Riformista apre con le amministrative: “Profondo Napoli. I democrat rischiano di fare gli spettatori al ballottaggio. Incubo amministrative. Guerra di cifre a tre settimane dalle elezioni. Lettieri in testa, secondo è De Magistris, Morcone fuori gara. Il Pd smentisce ma cresce la paura nel partito. Che potrebbe dividersi anche sulla scelta da fare per il secondo turno”. A centro pagina: “Anche il Cavaliere bombarda Gheddafi. Il rais nel mirino Nato, Berlusconi fa sapere a Obama che l’Italia è pronta a colpire la Libia”.

Il Sole 24 Ore: “Wall Street, tornano i titoli a rischio”. Il quotidiano apre con una inchiesta di Claudio Gatti: “La lezione Lehman sembra dimenticata: banche e hedge a caccia di strumenti speculativi che rimettono in pericolo la stabilità finanziaria. Etf, Cov-lights, Abs garantiti da prestiti auto: regulators in allarme sui nuovi derivati”. L’editoriale del direttore Roberto Napoletano è titolato: “Perché non deve ripetersi”. A centro pagina la notizia sulla Libia: “Berlusconi, la nostra aviazione bombarderà la Libia. L’annuncio del premier in una telefonata a Obama. La Lega: voteremo no”.

Libia, Italia, Francia

“La missione in Libia è iniziata tardi e sta andando peggio”, scrive Il Foglio in un editoriale sottolineando che il cappello dell’Onu “diventa sempre più sgangherato”, la missione è completamente cambiata rispetto alle sue motivazioni iniziali, che il quotidiano considerava già discutibilissime. “Questa guerra stolta si è fatta stoltissima”, sottolinea ancora Il Foglio, scrivendo che “è diventato un ‘regime change'”.

Se ne occupa anche in prima pagina su La Repubblica Renzo Guolo, in una analisi dal titolo “L’alleato riluttante”: “L’Italia non può respingere le pressioni degli Stati Uniti che, affidata la missione agli europei, chiedono un maggiore coinvolgimento militare del nostro Paese”. L’Italia – secondo Guolo – si allinea “nel peggiore dei modi”: “Non per scelta autonoma, frutto di ponderata valutazione strategica, né per convinzione, per difendere gli insorti, ma per il richiamo dell’alleato di sempre. E per il commentatore è un ennesimo esempio “dell’occasionalismo della politica estera del governo”. Peraltro la scelta “comporta l’ennesima divaricazione sulla politica estera, con la Lega, nettamente ostile fin dall’inizio all’intervento della coalizione a guida Franco-Britannica”.

Il Corriere si occupa del no opposto dalla Lega e già esplicitato dal ministro Calderoli. Posizione che non sarebbe affatto isolata, visto che lo stesso ministro ha affermato che il suo “sconcerto è quello di tutta la Lega”. Pd e Italia dei Valori contestano la scelta del governo e chiedono il voto in Aula: per votare l’autorizzazione a bombardare non può certo bastare una semplice informativa, dice il Pd Gasbarra. La capogruppo pd al Senato Finocchiaro dice: “Il nostro riferimento continua ad essere la risoluzione 1973 dell’Onu. Se verranno confermati i confini di quella risoluzione, il Pd non farà mancare il suo assenso”.

Il Ministro Frattini, intervistato da La Stampa, dice invece che la risoluzione 1973 è chiarissima, autorizza a fare tutto quello che è necessario per proteggere la popolazione libica. Per cui “non occorre alcun voto“. Precisa che l’Italia bombarderà “obiettivi mirati” come batterie anticarro, carri armati, depositi di munizioni, insomma “obiettivi pianificati dalla Nato, che ce li indicherà di volta in volta”. Quando si è deciso di partecipare ai bombardamenti? “Sabato scorso, quando è stato informato il Presidente della Repubblica, che è solidale con questa decisione”. Sarebbe caduto dalle nuvole, dopo l’annuncio al telefono del ministro della Difesa La Russa, anche il leghista Roberto Maroni, secondo La Stampa, che sottolinea come si annunci, per il governo, “un passaggio da brivido”. Scrive La Stampa che la formula adottata (aumentare la flessibilità operativa dei velivoli) è sufficientemente ambigua per lasciare margini al compromesso; inoltre le Camere verranno solo “informate”, dunque non ci sarà teoricamente bisogno di un voto in Aula. Probabilmente lo scontro politico passerà attraverso le commissioni, dove decisivo sarà il ruolo dell’opposizione e in particolare dei centristi. Ma lo schiaffo al Carroccio è di quelli destinati a lasciare il segno, tanto più che la Lega è convinta che la svolta bellicista dal Cavaliere non sia stata imposta da Obama, ma adottata in previsione del vertice odierno con Sarkozy: in vista cioé di un ‘do ut des’ affinché si arrivi al lasciapassare dell’Eliseo a Mario Draghi, governatore di Bankitalia, candidato a guidare la Bce.

Libero, in prima pagina, titola: “La proposta indecente di Sarkozy”. E spiega come “Draghi in Europa” comporterà lo scambio con “i vu cumprà in Italia”. Il ragionamento di Sarkozy sarebbe il seguente: “Tu non mandarmi più immigrati tunisini alla frontiera di Ventimiglia, e io aprirò la dogana per far uscire Draghi e portarlo al vertice della Bce”. Insomma, Sarkozy si rivenderà il suo sì a Draghi a peso d’oro, secondo Libero, poiché fra i due Paesi è in corso anche “una partita finanziaria di rilevanti proporzioni”: la Francia farà la voce grossa su Lactalis, bloccata dal governo nella scalata a Parmalat, e metterà sul piatto la questione Edison, dove i francesi hanno fatto sentire la voce del padrone licenziando il manager italiano Umberto Quadrino.

Secondo Il Corriere della Sera dal vertice Sarkozy Berlusconi potrebbe sortire una lettera dei due Paesi, indirizzata al presidente della Commissione Ue Barroso e a quello del Consiglio Van Rompuy, per la revisione del trattato di Schengen.

Esteri

Siria, carri armati nelle città in rivolta”, sintetizza il titolo del Corriere della Sera. I carri armati avanzano soprattutto nella città simbolo della rivoluzione siriana, Deraa, 75 mila abitanti, nel sud del Paese. 4000 uomini in mimetica o in nero, un misto di soldati e di paramilitari, noti come shabiah, avrebbero sparato sulla gente in uscita dalla moschea. La Stampa scrive che ci sarebbero stati almeno 25 morti. Fonti governative hanno assicurato in tv che le operazioni sono state decise per evitare che a Deraa venisse creato un emirato islamico comandato da un emiro salafita. La Giordania sostiene che è stato chiuso il valico di frontiera, anche se Damasco smentisce. E nel Consiglio di sicurezza Onu circolava da ieri sera una bozza di risoluzione di condanna delle violenze. Gli Usa hanno detto di voler valutare “una gamma di possibili opzioni, comprese sanzioni mirate” contro “esponenti del governo siriano”.

Il Corriere della Sera intervista il filosofo politico americano Michael Walzer, che considera l’idea di rovesciare Assad un salto nel buio: “Gli Stati Uniti, l’Ue e l’Onu – dice – devono condannare la crudele repressione in Siria. Ma non credo che debbano appoggiare l’insurrezione. Noi non sappiamo chi tra siano i ribelli e quale fazione prevalga”. La situazione in Siria è molto diversa da quella in cui Mubarak cadde in Egitto, o alla LIbia. Usa, Ue e Onu devono premere quanto più possibile su Assad e sull’opposizione per una soluzione politica della crisi. Devono mediare, promuovere negoziati con tutti i mezzi a loro disposizione, dalle sanzioni all’assistenza economica. Dalla stabilità della Siria dipende la stabilità di buona parte del Medio Oriente, a cominciare da Israele e Palestina”. Walzer sottolinea che “il nostro obiettivo non deve essere tanto la nascita delle democrazie ovunque, bensì la nascita di regimi migliori degli attuali, quelle che chiamavamo democrazie guidate, cioé in evoluzione, passibili di riforme democratiche”. A Walzer la crisi siriana non sembra affatto “frutto di una sollevazione popolare, di massa, almeno sinora”. Gli appare piuttosto “un moto frammentato”. E se per l’Egitto sembra stia iniziando una “controrivoluzione”, in Libia “l’opposizione ha ottenuto il controllo di una parte del Paese, e questo ha permesso l’intervento” (che peraltro il filosofo ritiene sbagliato). Insomma, il successore di Assad potrebbe essere peggiore, e anche Israele è in ansia perché sa che senza l’Egitto un accordo sulla Palestina è molto più difficile, e senza la Siria è molto più difficile un accordo sulle alture del Golan. Obama deve mobilitare la Lega Araba.

Su La Repubblica due intere pagine sono dedicate alle ultime rivelazioni di Wikileaks: “Abusi su vecchi e ragazzi, ecco i segreti di Guantanamo“, sintetizza il quotidiano. La Casa Bianca reagisce definendo superate le informazioni, che parlerebbero di tortura di innocenti ma anche della liberazione di veri terroristi, poiché vanno dal febbraio 2002 al gennaio 2009, sostenendo che “in seguito ogni detenuto è stato oggetto di un riesame del suo dossier di accuse”. I file di Wikileaks sono stati consegnati, tra gli altri, al Washington Post, a La Repubblica, a L’Espresso. I casi di cui si parla: il libico Ahmed Hamuda, rilasciato dopo cinque anni a Guantanamo, è riapparso tra i leader anti Gheddafi dei ribelli; un contadino afghano di 89 anni, malato di demenza senile, deportato a Guantanamo solo perché trovato in possesso di numeri telefonici sospetti; un 14enne detenuto a Guantanamo per la sua “possibile” conoscenza di leader Taliban; un pastore afghano tenuto a Guantanamo per tre anni, nonostante fin dai primi interrogatori i militari americani lo avessero scagionato; la tortura eseguita sul ventesimo dirottarore dell’11 settembre,il saudita Qahtani, tenuto al guinzaglio come un cane e sottoposto a umiliazioni sessuali.

Se ne occupa ampiamente anche Il Foglio: “Guantanamo secondo Assange”, “tra i nuovi leaks c’è anche la ragione che costringe Obama a non chiudere il supercarcere”. Sottolinea il quotidiano che “l’ipersemplificazione dei liberal, la superbase a Cuba come male assoluto creato da George W Bush, esce sbriciolata dai file segreti”: i documenti illuminano la stessa complessità ineluttabile che Obama si era illuso di appiattire enunciando il solito sillogismo liberal secondo cui Guantanamo è il male, quindi va chiuso.

“Chi decide il futuro della Russia” è il titolo di una analisi di Mark Franchetti che compare oggi su La Stampa. E’ naturalmente dedicato al tandem tra il primo ministro russo Putin e il presidente Medvedev. Franchetti riferisce di un giudizio che si considera pressoché unanime degli esperti politici moscoviti,secondo cui a meno di un anno dalle prossime presidenziali, tra i due vi è una crescente spaccatura. Si ripercorrono quindi le tappe della divaricazione (dalle valutazioni sull’intervento in Libia alle questioni che riguardano proprio le candidature alle presidenziali). Ma lo stesso Franchetti resta “profondamente scettico”, anche perché solo un uomo ha l’ultima parola su chi sarà il presidente della Russia, e questo è Vladimir Putin. Se è vero che Medvedev vuole avere un secondo mandato, è pur vero che se il suo mentore gli chiederà di rinunciare, il primo si farà da parte. In seguito a una modifica costituzionale, peraltro, il prossimo presidente della Russia resterà in carica per sei anni, anziché per quattro.

“Putin-Medvedev, diarchi a Mosca” è invece il titolo dell’analisi di Sandro Viola, che compare su La Repubblica. Qui si analizza la novità vissuta negli anni Medvedev, in cui alcuni giudici hanno rimesso in discussione la legittimità della condanna dell’ex patron di Yukos Khodorkovsky, laddove l’asservimento dei tribunali russi al potere esecutivo è stato uno degli aspetti più scandalosi del regime di Putin presidente. I contrasti tra i due sono proseguiti con le diverse valutazioni sulla guerra in Libia, ma anche con la decisione del presidente Medvedev di escludere i ministri dai consigli di amministrazione dei grandi monopoli. Misura, quest’ultima, che colpisce direttamente l’entourage di Putin. Insomma, la diarchia ha funzionato perfettamente nel primo anno, ha avuto qualche sobbalzo nel secondo, mentre in quest’ultimo anno ha visto forme di contrapposizione sempre più vistose. Le elite economiche, militari e politiche sono nervose, devono decidere da che parte situarsi, visto che al vertice del potere sembrano ormai esserci due partiti: quello di Putin, radicato nell’alta burocrazia, nelle forze armate e nei servizi segreti, e il partito modernizzatore di Medvedev, sostenuto dalla parte più evoluta della società, consapevole della grave arretratezza. Insommma, “un disgelo politico” rispetto alla compattezza del regime di Putin.

Restiamo a La Repubblica per segnalare le pagine dell’inserto R2, dedicato all’Ungheria, considerato da molti analisti “il laboratorio delle nuove destre” europee. Con un richiamo anche alla situazione in Finlandia, dove avanzano gli xenofobi.

Economia

La Repubblica ha un colloquio con il ministro dell’Economia Tremonti. Dice che considera “superate” le polemiche legate alle dichiarazioni del ministro Galan, amplificate dai giornali che fanno riferimento alla famiglia del premier, e sostiene di non averle mai lette come una “manovra” contro di lui ispirata dal Presidente del Consiglio. Tremonti sta preparando il decreto sviluppo, che sarà varato entro la prima metà di maggio, e di questo si occupa gran parte del colloquio: dice che non sarà “una svolta epocale”, e torna a sottolineare che bisogna “evitare le illusione, supponendo una presunta alternativa tra rigore e crescita: la crescita non si fa piiù con i deficit pubblici”. E’ convinto che con il decreto sviluppo si inizierà a ridurre l’oppressione fiscale sulle imprese, soprattutto attraverso misure di semplificazione, che riguardano gli adempimenti sugli studi di settore e, per le famiglie, l’eliminazione dell’obbligo di inoltrare ogni anno al fisco il quadro aggiornato dei familiari a carico per avere le detrazioni; Inoltre, sgravi parziali per la ristrutturazione edilizia, misure di agevolazione per la rinegoziazione dei mutui con le banche, avvio della fiscalità di vantaggio per il mezzogiorno…

(Fonte: Rassegna Italiana di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)