Due no: referendum e Cosentino.

Pubblicato il 13 Gennaio 2012 in da redazione grey-panthers

Le aperture

La Repubblica: “No ai referendum, ora la riforma”. “Delusione dei promotori. Di Pietro attacca il Quirinale: è il regime. Solo Berlusconi e Bossi difendono il Porcellum. La Consulta boccia i quesiti. Napolitano: subito nuova legge elettorale”. In evidenza anche il titolo sul voto alla Camera: “Schiaffo ai Pm, la Camera salva Cosentino”. Il commento è firmato da Roberto Saviano: “Il patto scellerato”. A centro pagina: “I Bot vanno a ruba, cade lo spread. Crollano i rendimenti, la Borsa festeggia. A Roma i primi blocchi dei taxi contro le liberalizzazioni”:

Il Corriere della Sera: “Cosentino salvo, Lega nel caos. Negato con 309 voti (298 a favore) l’arresto del deputato. Protesta la base del Carroccio. Berlusconi soddisfatto, Pdl in festa. Alta tensione Bossi-Maroni”. Il titolo di apertura è per la decisione della Corte Costituzionale: “Bocciati i referendum. Il Colle: rivedere la legge. Di Pietro parla di regime. Ira di Napolitano. Sistema elettorale, no della Consulta ai quesiti”. In prima pagina anche una notizia della cronaca di Milano, dove un vigile “ferma un Suv ma viene travolto e ucciso”. “Investito durante un controllo e trascinato per 300 metri. Nella notte la caccia al colpevole”.

Il Giornale: “Il vaffa di Bossi a Maroni. La Lega segue il capo e vota con il Pdl per salvare Cosentino da una ingiusta detenzione. Bocciati i referendum elettorali. Di Pietro perde la testa e attacca Napolitano”.

Libero: “Cosentino salvo, la Lega no. Parte del Carroccio si oppone all’arresto del deputato Pdl e fa esplodere lo scontro tra Bossi e Maroni. Questa volta non si torna indietro: il partito rischia. E nel centrodestra nulla sarà più come prima”.

Il Sole 24 Ore: “Tassi BoT dimezzati, scende lo spread. Rendimenti al 2,73 per cento per i titoli annuali. Il differenziale con i Bund si abbassa a 479 punti. L’FMI promuove la manovra Monti. Draghi: subito il nuovo trattato Ue”. A centro pagina: “Liberalizzazioni, il no delle categorie”. “Da Milano a Napoli blocco dei taxi, ma per il Garante scioperi illegittimi”.”Governo avanti sulla bozza, proteste da petrolieri e farmacie. Sindacati: stop sull’articolo 18″.

Cosentino

Libero offre un colloquio con Cosentino, che parla di “gioia immensa” per il voto della Camera. “Non mi sento un privilegiato, perché subisco una violenza mediatica e giudiziaria da anni, ma non mollo. Intendo difendermi in tribunale, davanti a un giudice terzo”. Dice di aver apprezzato “l’intervento dell’onorevole Luca Paolini, che si è letto tutte le carte della mia inchiesta, perché era nella giunta per le autorizzazioni a procedere  e da subito ha detto che non c’erano gli estremi per la misura cautelare. Detto questo, è il Parlamento che, senza tante distinzioni tra i partiti, ha recuperato di nuovo una posizione di centralità”. Sulle accuse: “Mi accusano del voto di scambio. Ma io sono un parlamentare nominato, non ho bisogno di chiedere voti. Sono sempre stato blindato. Perché avrei avuto bisogno di chiedere voti alla camorra. Sono un coglione? Certo, sono di Casal di Principe, nato lì, ho cominciato a fare politica lì. Ho pure parenti che si chiamano Schiavone come il  boss Sandokan, ma qui si sono  fidati di due pentiti che hanno fatto il mio nome per farsi perdonare i loro crimini”.

La Stampa intervista il deputato radicale Maurizio Turco, che, con i suoi cinque colleghi a Montecitorio, ha votato contro l’autorizzazione all’arresto. “Noi non dobbiamo decidere se Cosentino sia colpevole o innocente, non lo stiamo tutelando dal processo. Dobbiamo solo capire se il fatto che sia un deputato influisce o meno sulla richiesta di custodia in carcere”, dice. “E aggiunge che nella richiesta della magistratura napoletana “c’è una lettura forzata delle cose”. “Sa quante pagine ci arrivano di solito? 20, 30. Stavolta ce ne sono arrivate 1171, il 90 per cento delle quali definisce il contesto”. “Noi non votiamo per convenienza. E non votiamo col passamontagna, perché abbiamo detto come avremmo votato”. “Abbiamo votato secondo scienza e coscienza, non vorrei essere criminalizzato per questo”.

Referendum

Secondo un “dietro le quinte” del Corrriere della Sera il doppio no della Corte costituzionale era “largamento previsto”, ma ha dovuto “affrontare un percorso accidentato, soprattutto per quel che riguarda la sua motivazione. E non è finita qui, perché ora la Corte costituzionale si è data tempo fino al 23 gennaio per leggere e approvare definitivamente la sentenza”. E secondo il Corriere la motivazione potrebbe contenere alcuni “avvertimenti” al Parlamento sugli aspetti costituzionalmente più discutibili della cosiddetta legge porcata. Secondo il quotidiano, più di un giudice avrebbe proposto una terza via: fermo restando che l’ammissibilità dei due quesiti ha avuto scarse quotazioni fin dall’inizio, è stato suggerito di sospendere il giudizio sul referendum e di sollevare una questione di costituzionalità sul Porcellum e in particolare sul premio di maggioranza previsto dalla legge Calderoli, attraverso il meccanismo della cosiddetta autorimessione. Altri giudici avrebbero sostenuto che questo sistema elettorale contrasta la Costituzione perché consente ai cittadini di eleggere sì il Parlamento, ma non i singoli parlamentari. Una parte minoritaria della Corte avrebbe voluto dare un “ultimatum” al Parlamento a fare sul serio la legge elettorale, ma è prevalso il fronte della prudenza, e così la Corte ha dato dieci giorni al relatore Sabino Cassese per poter valutare con calma se inserire questo avvertimento.
Nelle pagine dedicate alle reazioni alla sentenza della Consulta, ampio spazio viene dato alle polemiche dichiarazioni del leader di Italia dei Valori Antonio Di Pietro, tra i promotori della consultazione popolare: “Quella della Corte non è una scelta giuridica ma politica, per fare un piacere al Capo dello Stato, alle forze politiche e alla maggioranza trasversale e inciucista che appoggia Monti: una volgarità che rischia di farci diventare un regime”. Il quirinalista del Corriere Marzio Breda dà conto delle reazioni della presidenza della Repubblica che – con un comunicato – ha parlato di “insinuazioni volgari e gratuite che denotano solo scorrettezza istituzionale”.
Ieri il Capo dello Stato è tornato ad incontrare i presidenti di Camera e Senato per invitare il Parlamento all’elaborazione di una nuova legge elettorale: Breda ricorda che le parole di Di Pietro ignoravano deliberatamente molte prese di posizione del Quirinale sulla necessità di arrivare ad un “diverso meccanismo elettorale” che, come ha ricordato anche il 30 settembre scorso, “è necessario per determinare un ritorno di fiducia”.

Stefano Folli sul Sole 24 Ore sottolinea come ieri il governo Monti, tanto con il no all’arresto di Cosentino che con la sentenza della Consulta, abbia segnato due punti: il sì all’arresto dell’ex sottosegretario avrebbe fatto esplodere il Pdl (mentre invece i conflitti intestini sono stati scaricati sulla Lega) e quanto alla sentenza della Consulta, “fa male Antonio Di Pietro a scagliarsi con tanta veemenza contro i giudizi e a mancare di rispetto anche al Presidente della Repubblica”. Adesso il vero problema non è lacerarsi, ma utilizzare il tempo in Parlamento per cambiare il Porcellum: “E’ un po’ strano che autorevoli rappresentanti di forze rappresentate alla Camera e al Senato ritengano che l’unico modo per cambiare una legge sia quello di passare per un referendum”, il “Parlamento è il luogo per eccellenza adatto al compito”, e quindi “non stupisce il monito di Napolitano”. Quel che dovrebbe esser chiaro è che esiste “un obbligo morale verso i cittadini – scrive Folli – siano essi firmatari del referendum o no: restituire al popolo il diritto di scegliere i propri rappresentanti”. Un invito analogo viene dalla prima pagina del Corriere della Sera ed è firmato dal costituzionalista Michele Ainis: “Che cosa resta allora di questo referendum? Restano un milione e 200 mila firme raccolte in un battito di ciglia, a testimoniare l’odio popolare verso una legge che sancisce il divorzio dei rappresentanti dai rappresentati”.

Secondo La Repubblica il pressing del Colle per una nuova legge elettorale ha coinvolto ieri anche i Presidenti delle Camere, cui il capo dello Stato avrebbe detto in sintesi: “Anche voi dovete contribuire. Potete farlo mettendo subito in calendario le proposte già presentate”. Ma poiché i partiti sono decisivi in questa battaglia, i due presidenti hanno sottolineato che è necessario che i tre segretari della maggioranza – Alfano, Bersani e Casini – trovino una intesa.

Ma secondo il Corriere l’intesa tra i partiti è lontana (“Udc, prima ridurre i parlamentari. Democratici divisi. Le incognite dell’alleanza Lega-Pdl”, si sintetizza nel titolo).
Roberto D’Alimonte sul Sole 24 Ore sottolinea che la nuova legge sarà scelta sulla base delle alleanze, in particolare per quel che riguarda il Pdl e la Lega. Ieri Berlusconi ha commentato così la sentenza della Consulta: “Ho sempre pensato che l’attuale legge elettorale sia una buona legge che mira alla governabilità del Paese e può essere migliorata soprattuto per quanto riguarda il premio di maggioranza in Senato”. E Bossi: “La migliore legge elettorale è quella che c’è”. Se sopravvive la vecchia alleanza Pdl-Lega, certamente il sistema elettorale migliore per loro resta il Porcellum, magari con qualche aggiustamento sul premio di maggioranza e la reintroduzione delle preferenze per superare il sistema delle liste bloccate. Ma, come sottolinea D’Alimonte, se la Lega decide per la corsa solitaria, il Pdl sarebbe spinto verso il modello tedesco, gradito anche a parte del Partito Democratico, per “agganciare Pierferdinando Casini”. Il Pd secondo D’Alimonte non ha mai fatto una scelta chiara. L’aveva fatta con Veltroni, ma al momento in Parlamento c’è una proposta di legge ispirata al modello ungherese, frutto di un incerto compromesso tra diverse anime del partito. Prima di questo, la posizione semi-ufficiale era per il doppio turno.

Internazionale

Federico Rampini offre ai lettori de La Repubblica una intervista con il candidato alle primarie Repubblicane Usa Mitt Romney, in aereo (charter) per la South Carolina, nuova tappa della turnè elettorale: in South Carolina sono forti i fondamentalisti protestanti, quegli evangelici che a lungo hanno considerato i mormoni – cui appartiene Romney – una setta eretica o addirittura demoniaca. La posta in gioco per Romney è alta: è la speranza di inanellare nella South Carolina la terza vittoria consencutiva, che potrebbe blindare in anticipo la sua nomination. I suoi rivali Gingrich e Perry lo hanno definito un “capitalista-avvoltoio”, colpevole di avere smembrato aziende e licenziato migliaia di lavoratori, come leader del gruppo di private equity Bain Capital: e proprio in questo Stato ha sede una delle aziende fatte a pezzi dalla Bain Capital. Qui il tasso di disoccupazione al 9,5 per cento è più alto della media nazionale. Qui, nel profondo sud, ha messo radici il Tea Party, il cui populismo di destra non ama Wall Street e l’alta finanza. Gingrich, Perry e Santorum hanno chiesto che Romney renda pubbliche le sue dichiarazioni dei redditi, cosa che non è tenuto a fare fino a che non è eletto. La definiscono un “capitalista avvoltoio, cosa risponde?”. “Mi aspettavo attacchi del genere da sinistra”, “alla Bain Capital abbiamo sostenuto tante aziende che complessivamente hanno creato oltre 100 mila posti. La Stampa ha parlato di casi in cui ci sono stati licenziamenti, per alcune migliaia. Ogni licenziamento è una tragedia, però nel settore privato ci sono aziende che crescono ed hanno successo, altre che per sopravvivere devono ridimensionarsi”, in queste elezioni è in gioco “non solo la rinascita della nostra economia, ma anche l’anima dell’America, un Paese capitalista, una economia di mercato. Obama vorrebbe trasformarci in uno Stato assistenziale all’europea”. Perchè cita sempre l’Europa come modello negativo, Italia e Grecia in particolare? “Se si confronta il reddito medio degli americani con quello della Ue, il nostro è superiore del 50 per cento. La ragione è semplice, va cercata nei principi fondamentali della nostra economia. Obama ha in mente una società “dove i cittadini dipendono dallo Stato”, dove il settore pubblico si prende cura di ciascuno dalla culla alla tomba. La forza dell’America è sempre stata un’altra: siamo la nazione della libertà e delle opportunità”. “Obama istiga alla lotta di classe” quando parla di redistribuzione e disuguaglianza. Fallimentare Obama anche sul piano della politica estera, basti un esempio: forse la maggiore minaccia attuale per la sicurezza mondiale è un Iran in grado di costruirsi armi nucleari. Questo presidente non è riuscito ad impedirlo. Quando un milione di iraniani sono scesi in piazza contro il regime lui è rimasto in silenzio”, Reagan non lo avrebbe mai fatto e forse neanche Bill Clinton, secondo Romney: “Questo è un presidente che sente il bisogno di chiedere scusa per l’America, io non lo farò mai”.

Il Corriere della Sera (Lorenzo Cremonesi) intervista il vicepresidente sunnita iracheno, Tariq Al Hashimi, costretto alla fuga nel nord del Paese, nella regione del Kurdistan, dopo che il premier sciita Nouri Al Maliki ha firmato un mandato di arresto nei suoi confronti: “l’Iraq chiede aiuto all’Europa per fare sponda contro l’Iran”, dice Al Hashimi. “Gli americani, dopo oltre nove anni di occupazione fallimentare, ci hanno abbandonato in mezzo al guado. Altro che lavoro terminato!”. “Di fatto stiamo diventando una provincia iraniana”.  Ribadisce di essersi impegnato per il dialogo intercomunitario, e specialmente per la cooperazione tra sciiti e sunniti. Chiede di non esser processato a Baghdad, perché non si fida del sistema giudiziario centrale. E dice che in Kurdistan i tribunali sono molto più puliti, a differenza delle corti corrotte dominate dalla politica della capitale. Secondo Al Hashimi  “l’Iran cerca di salvare il regime di Bashar Al Assad in Siria, suo alleato storico, e l’Iraq diventa merce di scambio” poiché Teheran minaccia l’occidente in questi termini: “se non cessate di lavorare per il cambiamento del regime in Siria, noi stravolgeremo l’Iraq”. E secondo il vicepresidente sunnita il messaggio è rivolto non solo a Washington e alle cancellerie occidentali, ma soprattutto alla Turchia, che sempre più sta tessendo un ruolo di difensore degli interessi arabo-sunniti.

Si trova in Iraq come inviato Bernardo Valli, il cui reportage si trova alle pagine R2 de La Repubblica: “Viaggio nella città senza marines”, da meno di un mese i soldati americani hanno lasciato Baghdad, ma le sorti dell’Iraq non sono cambiate. Dilaga il conflitto tra sciiti e sunniti e non passa giorno senza un attentato. Chi c’è dietro questi attentati, ora che l’Iraq è diventato terreno di scontro tra varie forze non solo irachene? Valli interpella deputati sciiti e sunniti, che si rinfacciano le responsabilità: gli ultimi atti di terrorismo hanno colpito, tra l’altro, i pellegrini diretti a Najaf e Kerbala, ma tra gli interpellati, un deputato sunnita dice che l’Iran gioca tutti contro tutti e userebbe terroristi sciiti anche contro gli sciiti, per arroventare la situazione e spingere il primo ministro sciita verso una svolta autoritaria, avvicindando sempre di più l’Iraq all’Iran in termini di influenza.

DA RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini