Attacco all’Isis, i piani dell’Italia

Pubblicato il 7 Ottobre 2015 in da redazione grey-panthers

Il Corriere della sera: “Iraq, scontro sui raid italiani” . “Pinotti: valutiamo un nuovo ruolo per i caccia, poi riferiremo in Parlamento”. “Mattarella: collaborazione di tutti contro l’Isis. Grillo: non si entri in guerra”. “I doveri di una coalizione” è il titolo dell’editoriale di Franco Venturini.
Di spalla: “La sentenza della Corte Ue. La privacy che allarga il solco tra Usa e Stati Uniti”.
L’editoriale è firmato da Ernesto Galli della Loggia: “Religione e paletti. Il difficile rapporto con l’Islam”.
A centro pagina: “La ripresa c’è. Potete far meglio della Germania”. Si parla delle “previsioni al rialzo” del Fondo Monetario Internazionale.
A fondo pagina: “Torino non ospita Riad: cultura di regime”. “Il Salone del Libro cancella l’invito all’Arabia Saudita. E l’ambasciatore protesta”.
Da segnalare a fondo pagina una lettera del Commissario Expo Giuseppe Sala: “Dopo l’Expo tocca al turismo”.

La Repubblica: “Attacco in Siria, scontro Nato-Putin. L’Italia: sui raid decide il Parlamento”, “Il ministro Gentiloni: niente via libera all’intervento in Iraq. Mattarella: no a scelte unilaterali”.
E i commenti di Lucio Caracciolo (“La sindrome del Tornado”) e di Stefano Folli (“Dubbi, rischi e ragion di Stato”).
La foto a centro pagina è per l’attivista austriaco Max Schrems: “La Corte Ue gli dà ragione: privacy non garantita”, “Il ragazzo che ha battuto Facebook: ‘Non regalo la mia vita all’America”.
A centro pagina: “Spese, Marino smentito. Ora indaga la procura”.
Sulla colonna a destra: “Il medico cinese e il nemico occidentale”, “Pechino vince il Nobel proprio mentre i rimedi tradizionali sono in crisi”. Di Giampaolo Visetti.
A fondo pagina il richiamo all’intervista alle figlie di Leon Klinghoffer, ucciso a bordo dell’Achille Lauro nel 1985 da un gruppo di palestinesi: “Klinghoffer trent’anni dopo le figlie accusano: ‘Tradite dall’Italia’”. Di Federico Rampini.

La Stampa: “Attacco all’Isis, i piani dell’Italia”, “Il sì di Renzi a margine dell’assemblea Onu: servirà un voto del Parlamento”, “Si discute l’invio di bombardieri in Iraq. Gentiloni: nessuna decisione. Pinotti: stiamo valutando. Siria: scontro Turchia-Russia”.
Al tema è dedicata l’analisi di Roberto Toscano: “Ma il problema non sono i nostri quattro Tornado”.
A centro pagina: “Fmi, timori sulla crescita mondiale. Contratti, Squinzi: non trattiamo più”, “Riviste al ribasso le previsioni: promossi i conti di Roma”.
In prima anche un editoriale di Massimo Russo: “Che errore la sentenza Ue sulla privacy”.

Il Sole 24 ore: “Squinzi: ‘Sui contratti il capitolo è chiuso’. Vertice con le associazioni di categoria di Confindustria: per noi non ci sono margini di trattativa”. “’Le posizioni dei sindacati sono ormai irrealistiche’”. “Il coraggio che manca di un nuovo Di Vittorio” è il titolo dell’editoriale di Roberto Napoletano.
Di spalla: “Italia, sui raid anti Isis decide il Parlamento”. “Grillo: non entreremo in guerra”. “Mattarella: contro il terrorismo servono azioni comuni”.
A centro pagina: “Fmi: ripresa mondiale in frenata”. “Italia in controtedenza: Pil al rialzo dello 0,8 per cento. Renzi: è solo l’inizio”.

Il Giornale: “Pensioni, ecco tutte le ipotesi”. “Caos riforma”. “L’ultima idea del governo: riduzione del 30 per cento e via quattro anni prima”. “Canone Rai, ora spunta una nuova accisa”.
A centro pagina: “L’Italia in guerra in l’Irak ma lascia la Libia all’Isis”. “Su Greta e Vanessa Gentiloni e Pinotti continuano incredibilmente a tacere”.

Il Fatto: “Siamo in guerra (ma non si dice)”, “Pinotti (Difesa) ammette: ‘Possibili nuovi ruoli per i nostri raid aerei in Iraq’”.
“Pro e contro”: “Parlano Cecilia Strada, Fabio Mini e altri esperti”.
Più in basso: “Grandi riforme”, “Votano qualunque porcata. Pure l’impunità ai senatori”, “Immuni i consiglieri regionali nominati al Senato”, “A Palazzo Madama il governo continua, con i voti dei verdiniani, a difendere il testo della sua riforma Boschi. L’aula non avrà più il potere di far decadere i propri membri. Toccherà, nel caso, ai consigli regionali, ma solo dopo il terzo grado di giudizio”.

Il Manifesto: “Libia, 95 morti in mare. Erdogan gestirà i campi”.
E sul “Risiko siriano”: “Mosca bombarda. Obama arma i kurdi. Turchia all’angolo”.
Il titolo a centro pagina di maggiore evidenza: “Bello ciao”, “Dopo la stretta sul diritto di sciopero e il jobs act, la Confindustria accusa i sindacati e detta la linea al governo per l’eliminazione del contratto nazionale. Squinzi: capitolo chiuso. E Renzi pensa a un intervento d’autorità introducendo il salario minimo. Landini al ‘Manifesto’: la contrattazione non si tocca”.
Sulle riforme costituzionali: “Verdini indispensabile. Senato, nei voti segreti i sì scendono a 153”.

Isis

Il Corriere, che ieri aveva parlato della imminente decisone italiana di schierare i Tornado in Iraq, scrive oggi che “l’uscita della notizia ha complicato le cose”, che ieri è partita una “indagine per verificare la falla nel sistema informativo dell’esecutivo: se la scelta di un nostro coinvolgimento diretto nei bombardamenti contro l’Isis, su suolo iracheno, è diventata di pubblico dominio, grazie all’anticipazione del Corriere , prima ancora che una decisione compiuta fosse stata definita a livello istituzionale questo complica, e di non poco, la trattazione della materia”. La decisione del governo di cercare un “rafforzamento del nostro peso diplomatico”, scrive il quotidiano, sarebbe anche legata alla “corsa verso un seggio non permanente all’Onu, dopo anni di assenza”.
Il Giornale: “Corto circuito dopo le indiscrezioni. Il Colle: no ad azioni ulilaterali. E la Pinotti se la prende con Renzi”. Si cita una “amareggiata fonte di Palazzo Baracchini” che ieri avrebbe detto: “Come al solito tra noi e Palazzo Chigi c’è un problema di comunicazione”.

La Repubblica, pagina 2: “Siria, scontro Nato-Russia. L’Italia: ‘Nessuna decisione sui raid in Iraq’”, “’Basta colpire i ribelli anti-assad’. Mattarella: ‘Niente mosse unilaterali’. Gentiloni: ‘Coinvolgeremo le Camere’”. E il “retroscena” di Alberto D’Argenio: “Ma Palazzo Chigi non può dire di no all’azione militare chiesta dagli alleati”, “Roma sta combattendo una battaglia diplomatica per non essere esclusa dal nuovo team di mediatori che è in preparazione”.
La Stampa: “Bombardamenti contro l’isis in Iraq. Pinotti: ‘Valutiamo nuovi ruoli’”.
E il “retroscena” di Fabio Martini: “Quel sì di renzi agli Usa maturato al summit Onu”, “Iracheni e americani hanno chiesto un altro sforzo contro Isis. Via libera dal premier: ma subordinato al voto del Parlamento”.
“Ma il Pentagono è arrabbiato per la ‘gola profonda’”, si legge anche in un retroscena di Antonella Rampino anche in relazione alle indiscrezioni diffuse ieri dal Corriere della Sera (“Il sospetto che la notizia sia uscita per evitare l’intervento”).
Al tema è dedicato il commento di Lucio Caracciolo: “Che cosa accadrà se andremo a bombardare lo Stato islamico nei suoi territori iracheni? Sul terreno mesopotamico, nulla o quasi. Non saranno un paio di Tornado tricolori a spostare gli equilibri in una partita che comunque non verrà decisa dal potere aereo. Sul fronte della nostra sicurezza, innalzeremo di qualche grado il rischio di attentati terroristici per opera di cellule jihadiste o di ‘lupi solitari’” in vena di rappresaglie contro “i crociati”, “sul quadrante internazionale “gli americani accoglieranno con simpatia e buon umore la notizia, che per loro vale -forse- una nota a piè di pagina”.
Su La Stampa, l’analisi di Roberto Toscano: “come spesso accade nel nostro Paese, si scatenano reazioni polemiche rispetto a fatti che in realtà sono meno clamorosi di quanto si pensi. Il fatto è che l’Italia è già in guerra con lo Stato islamico o Daesh, non solo in quanto membro della coalizione che lo combatte, ma concretamente in quanto quattro Tornado e vari droni italiani partecipano alle operazioni aeree sopra le zone dell’Iraq sotto il controllo dei jihadisti”.
Su Il Fatto: “Tornado sul governo: ‘Colpiremo, ma non subito’”. E Giampiero Gramaglia firma un’analisi a pagina 3: “I jet pronti a uccidere: un’ora per divenire letali”, “Da ricognitori a bombardieri, il salto di qualità della nostra missione”.
Alla pagina seguente, le opinioni a confronto di Cecilia Strada (“Colpire a caso non è mai servito a risolvere conflitti”), Fabio Mini (“Ha senso intervenire solo con obiettivi strategici precisi”), Loris De Filippi, di Msf (“Intanto vorrei che il governo spiegasse il raid di Kunduz”), Paolo Magri, esperto di geopolitica all’Ispi (“L’operazione è legittima, ma rischia di essere inutile”) e Pietro Batacchi, direttore della Rivista Difesa (“ce lo chiedono gli Stati Uniti, noi però non siamo pronti”).
La Repubblica: “Arrivano i ‘volontari’, navi da sbarco russe in rotta verso la Siria”, “Mosca vuole replicare il modello Crimea, temuto dalla Nato. Un caccia di Putin e uno americano si incrociano nei cieli”.
Su Il Manifesto, pagina 7: “La Turchia sotto pressione”, “Raid russi anti-Isis e riarmo dei kurdi ordinato da Obama. Erdogan finisce all’angolo”
Il Corriere intervista Gui Verhofstadt, presidente dell’Alleanza dei liberal democratici per l’Europa, ex premier belga. Dice che “la situazione creata dalle incursioni russe è molto pericolosa. Attaccando soprattutto ribelli non legati all’Isis e Al Nusra, la Russia getta una cima di salvataggio ad Assad”. Cosa può fare l’Ue: “Ogni Stato membro ha delle forze militari che operano nella coalizione. Gli europei hanno esperienze della regione e godono della fiducia dei poteri regionali” ma “precondizione di ogni successo” è “una posizione comune della Ue, l’abilità di agire come un solo organismo e di gettare dietro questo sforzo il peso diplomatico e politico di tutti gli Stati-membri”. Il titolo è “Il contributo italiano sarà importante”.

Sul Corriere Franco Venturini si domanda: “Cosa doveva fare (da tempo) l’Italia, limitarsi alla ricognizione e all’addestramento mentre molti suoi alleati combattevano contro il comune nemico numero uno? La scelta annunciata ieri dal Corriere , che sarà ora perfezionata, di utilizzare i nostri Tornado anche per bombardare l’Isis non è soltanto il chiarimento di una linea che poteva sembrare ambigua, è anche una elementare applicazione dei nostri interessi nazionali tanto evocati e molto più raramente rispettati”. “Anche perché – si legge in chisura – in futuro potremmo dover chiedere noi il contributo altrui, per esempio in Libia”.

Il Giornale: “L’Italia va alla guerra con i raid sull’Irak. Ma lascia la Libia ai tagliagole dell’Isis”. “Il governo Renzi si muove al traino degli Usa e scalda i Tornado. Ma non riesce a convincere gli alleati ad agire a 400 chilometri dalle nostre coste”, scrive Gian Micalessin. Si legge che “aver fatto i compiti in Irak scanando gli scogli siriani” potrebbe “servire a Renzi per guadagnare un po’ di attenzione” sulla Libia

Ancora su Il Giornale una intervista a Serghei Reshtenikov, direttore dell’Istituto russo di studi strategici: “Inaccettabile per Putin cacciare Assad dalla Siria”. Per Mosca, spiega, sarebbe “inaccettabile” l’idea di una divisione della Siria in tre parti, una per gli alawiti, una al Kurdistan e una ai sunniti. Giusto invece combattere l’Isis e sostenere Assad. Solo dopo la cacciata dei jihadisti “possono iniziare cambiamenti sistemici nella vita politica” siriana.

Sul Sole Gianandrea Gaiani Gideon Rachman, in un articolo con copyright Financial Times, affrontano il tema delle “guerra per procura” che è in corso in Siria: “Dopo quattro anni, una guerra civile convenzionale avrebbe già potuto essersi spenta, offrendo ai siriani qualche possibilità di ricostruire le loro vite e il loro Paese. Tuttavia, con le potenze esterne che versano benzina sul fuoco del conflitto, è evidente che solamente una qualche forma di accordo internazionale può offrire una speranza per la conclusione delle ostilità”. E fino a quando non inizieranno a cooperare “lo strazio del popolo siriano continuerà”.

Riforme

La Repubblica: “Senato, le opposizioni si appellano a Mattarella, la maggioranza cala a 153”, “Il governo supera i voti segreti. FI, Lega, M5S e Sel: ‘Resistenza passiva’. GRasso: ‘Io Moreno? Offensivo'”. E il quotidiano intervista il capogruppo al Senato di Fi Paolo Romani: “Hanno ignorato ogni nostra richiesta, se non rispondono pronti all’Aventino”. Il “retroscena” è firmato da Tommaso Ciriaco: “Strappo del centrosinistra: quorum più basso per il Colle”. Dove si dà conto di una bozza di intesa che bersaniani e renziani si sterebbero scambiando freneticamente: riguarda il capitolo delle riforme relativo all’elezione del capo dello Stato: con cento delegati territoriali si allarga la platea dei grandi elettori, ma dal sesto scrutinio basterà la maggioranza assoluta e non più i tre quinti dei votanti, per individuare il nuovo inquilino del Colle.

La Stampa: “Senato, avanti ma sul filo dei voti”, Passa l’articolo 10, che modifica il procedimento legislativo. Ma a scrutinio segreto i sì scendono da 165 a 153. Il M5S a Grasso: è arbitro, sì, ma come Moreno”.

Sul Sole si legge che “a fare notizia sono gli scricchiolii avvertiti tra le fila della maggioranza sui due voti segreti all’articolo 10, la norma che disciplina le nuove funzioni delle Camere e sancisce la fine del bicameralismo perfetto” perché in tutti e due i casi “non si è infatti raggiunta la maggioranza assoluta”. I voti contrari agli emendamenti sono stati “sotto quota 161, che è appunto la maggioranza assoluta”. “Ci sono quindi una decina di voti che nel segreto dell’urna sono passati da una parte all’altra. Qualcuno punta l’indice sui verdiniani, che avrebbero così voluto sottolineare il loro peso. In ogni caso quando si è tornati allo scrutinio palese, i franchi tiratori si sono rimessi in riga”. Prossimo articolo con novità possibili è il 21, sul capo dello Stato. Si potrebbe arrivare a finire di votare già alla fine della settimana, per lasciare al 13 ottobre il voto finale.

Secondo Il Corriere ieri “il ministro Boschi ha incontrato in segreto i mediatori della sinistra pd, Chiti e Migliavacca, per cercare un’intesa complessiva, senza la quale l’accordo tra Renzi e Bersani sugli emendamenti Finocchiaro risulta scritto sull’acqua”. Si parla delle norme transitorie e si cita Massimo Mucchetti, senatore della minoranza Pd: “Se vogliono tirarci un bidone sul 39 rischiano, perché i numeri sono dalla parte di chi vuole modificarlo”.

Lega-Forza Italia

Ieri Silvio Berlusconi e Matteo Salvini hanno diffuso una nota per confermare che effettivamente si erano incontrati da Arcore domenica. Il Giornale scrive che i due “fin dalla prima frase tengono a chiarire che non è in discussione il percorso: si marcia uniti e non esiste la possibilità di navigazioni solitarie. Il comunicato, fanno sapere dai due fronti, è utile a smentire alcune cronache giornalistiche di divergenze e conflitti che i rispettivi staff giudicano ‘del tutto inesistenti, il clima è stato di piena collaborazione’. ‘Abbiamo sofferto entrambi per la sconfitta del nostro Milan ma sulle questioni politiche c’è stata piena sintonia su tutto’, spiegano i due leader che presto torneranno a incontrarsi”. Sulle prossime amministrative a Milano, “in stand-by Paolo Del Debbio (…) c’è sempre l’ipotesi dello stesso Salvini. Ma nell’ampia rosa di opzioni che vengono valutate spuntano anche Demetrio Albertini – che dopo la carriera calcistica ha iniziato un percorso importante come dirigente sportivo – e quella del professor Salvatore Carrubba, presidente del Collegio Universitario di Milano e personalità di rilievo del mondo culturale meneghino”.
Salvini poi, a Un Giorno da pecora, ha aggiunto: “Del Debbio ha detto no, quindi inutile insistere. Abbiamo fatto più di un nome, prima di comunicarlo però dobbiamo avere l’ok’. Farete le primarie? ‘A me piacerebbero’”.
Sul Corriere una intervista a Salvini. Alla domanda se abbia convinto Berlusconi ad uscire dall’euro risponde: “Ancora no. Ma per la prima volta siamo stati in piena sintonia sulla pericolosità di questa Europa, sulla sua invadenza. Io resto per la sovranità monetaria, lui ancora no. Ma ci arriveremo”. Su Milano: “Loro nei prossimi giorni sentiranno alcune persone, noi ne sentiremo altre e poi ne parleremo. Tutta quest’urgenza non la vedo: guardi come è messo il Pd. Che non farà le primarie: arriverà Renzi e deciderà, alla faccia dei discorsi sulla partecipazione”. Sulle primarie: “Io ho già detto di vederle bene. Però, anche di questo non abbiamo parlato: il modo di arrivare al candidato non importa, quel che conta è l’accordo sulle cose da fare. E poi, non c’è soltanto Milano”. Sull’Ncd, alleato di Maroni in Lombardia: “Maroni lo vedrò lunedì, non c’è nessun problema. Lui fa bene il governatore, io mi occupo di costruire un progetto stabile per il futuro”. E all’Ncd: “Io non accetto ricatti da nessuno, figuriamoci se li subisco da Alfano. Basta: partita chiusa”.
Per tornare al Corriere, spazio per anticipazioni dal libro “My way”, una biografia di Silvio Berlusconi scritta da Alan Friedman. Il titolo: “Lascerò solo dopo aver vinto ancora”.

Contratti, sindacati

Il Sole 24 ore dà spazio alle trattative sulla riforma del modello di contrattazione e all’annuncio del presidente di Confindustria Squinzi che ieri ha parlato alla fine di una riunione tenutasi presso la sede di Assolombarda con le categorie aderenti che hanno i contratti in scadenza o scaduti, molte. “’Per noi è un capitolo chiuso’”. “Le categorie andranno avanti con le proprie piattaforme e da Confindustria arriverà nei prossimi giorni un ‘decalogo’, come l’ha definito Squinzi, ‘di cose che si possono fare e non fare in eventuali trattative che ritenessero portare avanti. Le singole categorie sono libere, per chi ritiene di andare avanti l’autonomia c’è’”. “’Non abbiamo margini di manovra per poter proseguire un colloquio sui contratti nel modo tradizionale’”. “’Sono mesi, almeno da luglio, che ci prendono a schiaffoni e rinunciano a tutte le nostre aperture, ne prendiamo atto’”. “’Le posizioni del sindacato prima di tutto sono irrealistiche sul piano monetario e poi anche per il futuro del nostro paese’”.
Su Il Manifesto, pagina 2: “Squinzi detta la linea a Renzi”, “Il capo degli industriali riunisce le associazioni di categoria e manda all’aria il tavolo con Cgil, Cisl e Uil. ‘Capitolo chiuso’. Dal Pd si leva solo la voce di Damiano. E oggi la replica delle confederazioni”. Alla pagina seguente un’intervista al segretario della Fiom-Cgl: “Landini: ‘Salario minimo? Sì, ma lo stabiliscano i contratti”.
Su La Repubblica, pagina 14: “Imprese e sindacati rompono sui contratti. Li riscriverà il governo”, “Squinzi: ‘Non ci sono più margini di trattativa’. Landini: ‘Pronto a occupare le fabbriche’”.
Su La Stampa, alle pagine dell’economia, le parole del presidente di Confindustria Squinzi: “Dai sindacati solo schiaffoni”, “Stop alla riforma dei contratti. Impossibile trattare, capitolo chiuso”.
Il “retroscena” de La Repubblica è firmato da Roberto Mania: “Asse tra Confindustria e Palazzo Chigi per isolare Cgil, Cisl e Uil”, “Dopo la scelta degli industriali di lasciare il tavolo delle trattative va in crisi il modello di relazioni. E l’esecutivo torna in campo”, “La Camusso annuncia proposta sul modello di relazioni ma Squinzi la mette fuori gioco”.
Su Libero l’editoriale di Maurizio Belpietro è titolato “Ecco il piano Renzi per spianare i sindacati”. “Non sarà più possibile incrociare le braccia se non sono d’accordo almeno il 30 per cento degli iscritti. E il salario minimo legale eliminerà le trattative, togliendo potere a Camusso e compagni”.
Per tornare al Sole, il direttore Napoletano invoca un “nuovo Di Vittorio” perché “non si può competere nell’arena globale con un sistema di relazioni industriali del secolo scorso” e Di Vittorio, “bracciante figlio di bracciante e leader storico della Cgil, rivelò nel dopoguerra un coraggio ‘eretico’ che contribuì a porre le basi del miracolo economico italiano. Fece scelte audaci, a volte controcorrente, si ritrovò sempre a fianco nei momenti importanti di imprenditori come Angelo Costa e di uomini del fare del calibro di Pescatore, Menichella e Saraceno. Tutti insieme, con una politica che diceva come stavano le cose e prendeva le decisioni giuste, trasformarono in pochi anni un Paese agricolo di secondo livello in un’economia industrializzata”. “Siamo certi che oggi Di Vittorio scuoterebbe la testa e maltratterebbe i suoi successori”.
Su Il Giornale si dà conto delle trattative sindacali negli Usa tra Fca e Uaw: “Il sindacato americano dà l’ultimatum a Fca. La minaccia dell’Uaw: ‘Nuovo contratto entro mezzanotte o sarà sciopero”. “I neoassunti chiedono più soldi subito in busta”. Azienda e sindacato avevano siglato un accordo preliminare che è stato bocciato dai lavoratori. Si ricorda che all’epoca del salvataggio di Chrysler si firmò un accordo che prevedeva per i neoassunti salari molto più bassi rispetto a quelli dei lavoratori anziani. Oggi la richiesta è di una equiparazione. Sull’effetto dello sciopero: “Una settimana di fermo costerebbe al Lingotto un milione di dollari”.
Sul Corriere si legge che “è la prima volta, dal 1982, che i membri dell’Uaw respingono un accordo consigliato dai loro capi. Quattro anni fa era stata adottata un’informazione più diretta sulle pagine Facebook. Il social network è lo strumento utilizzato dai lavoratori per organizzare incontri a cui partecipano anche dipendenti di Ford e Gm. Il proseguimento della discussione è un segnale positivo, ma in assenza di accordo potrebbe essere indetto uno sciopero”.

Fmi

Sul Corriere una pagina è dedicata ai dati del Fondo Monetario Internazionale, secondo cui “l’Italia accelera un po’ rispetto alle previsioni” mentre il resto del mondo “rallenta”. “Finalmente un dato italiano in controtendenza sul fronte positivo, si commenta a Palazzo Chigi”. Il quotidiano ricorda che si tratta di “dati marginalmente migliori rispetto a quelli delle stime precedenti del Fondo monetario ma che rimangono inferiori a quelli della zona euro nel suo complesso e anche alle stime ufficiali su cui il governo basa la prossima Legge di stabilità”.
Sul Messaggero: “Fmi, per l’Italia crescita più alta. Può fare meglio della Germania”. Si dà conto anche delle parole di Carlo Cottarelli che definisce “credibili” le stime più alte previste nel Def italiano.

Sinodo

Il Corriere della sera: “Il Papa: non parliamo solo di divorziati”. Il Papa ha ricordato che il testo base su cui si discute è solo l’ Instrumentum laboris fondato sulla relazione finale del 2014, e che gli unici documenti ufficiali sono quella relazione e i suoi due discorsi. “Non dobbiamo lasciarci condizionare, e ridurre il nostro orizzonte di lavoro in questo Sinodo, come se l’unico problema fosse quello della comunione ai divorziati e risposati o no”.
Il Sole, con Carlo Marroni, spiega perchè il Papa “ha ribadito” un fatto noto e ricorda che il Sinodo si è aperto con la relazione del cardinale Erdo, “un porporato poco incline alle aperture” che ha “nei fatti chiuso a ogni ipotesi di soluzione per i divorziati risposati”, alla quale avevano risposto il cardinale tedesco Marx e l’Italiano Bruno Forte. Bergoglio insomma “ha abbassato i toni e ribadito: nulla è stato deciso, visto tra l’altro che è lui in caso a decidere”. Marroni cita anche un tweet di Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica: “Papa Francesco ha chiesto di non cedere all’ermeneutica cospirativa che è sociologicamente debole e spiritualmente non aiuta. Bisogna sempre stare attenti a che, con la scusa di difendere la fede, non si difendano solamente le proprie idee. Per me è importante che la Chiesa non cada nel complesso dell’accerchiamento di pochi puri da parte di un mondo ostile. È necessario che la Chiesa madre e maestra accolga i figli che alleva con la loro esistenza concreta”.

Il Corriere intervista Padre Adolfo Nicolas, padre generale della Compagnia di Gesù. Spiega che il Papa non ha interesse a fare “la star”, “vuole invece camminare con i vescovi, sapere che cosa pensano, convincerli attraverso queste esperienze sinodali”. Dice anche: “La mia impressione è che le aspettative che si stanno proiettando sul Sinodo gli siano estranee. Il Sinodo non è sui divorziati, non è sulle copie omosessuali, ma è essenzialmente sulla famiglia: come aiutare le famiglie? Alcune hanno ferite molto profonde”.

La Repubblica intervista lo scrittore Michael Cunningham, omosessuale dichiarato: “La Chiesa e i gay, è tempo di chiedere perdono al mondo”. Dice: “Sarò romantico ma non riesco a prendermela con questo Papa” per aver incontrato l’impiegata Usa Kim Davis e per aver ribadito che l’obiezione di coscienza è un diritto dell’uomo. Dice che c’è “una evidente omofobia” nella Chiesa ma l’esperienza ha dimostrato che la dottrina cattolica “è solida ma non implacabile”.

E poi

In prima pagina sul Corriere Daniele Manca commenta la sentenza della Corte europea di giustizia che hanno sospeso l’accordo che permetteva alle aziende attive sulla rete internet di trasferire i dati dei loro utenti dall’Ue agli Usa e ricorda che il caso è nato dopo le rivelaazioni di Edward Snowden. “Dopo quelle rivelazioni uno studente di legge austriaco, il ventisettenne Max Schrems, chiamò in causa l’Authority irlandese (il caso è relativo a Facebook che lì ha sede) per non aver difeso la sua privacy. Da qui l’intervento della Corte europea.
Un intervento che, volendo giustamente difendere la privacy di un cittadino, rischia però di avere conseguenze in ben altri ambiti”. Il rischio è di arrivare a “un paradossale scenario nel quale ogni Paese dovrebbe dotarsi di una propria Internet per proteggere i dati dei rispettivi cittadini. Una sorta di balcanizzazione, come è stata definita, del Web”.
Sul Sole Luca De Biase, commentando la notizia, scrive che la sentenza della Corte Ue è uno “schiaffo a Facebook” perché ha “tolto di mezzo il safe harbor, lo strumento giuridico che serviva a gestire il passaggio di dati dai server europei ai centri di elaborazione negli Stati Uniti” ma ricorda che “nello stesso tempo, il Dipartimento di Giustizia americano li obbliga a contraddire l’Europa. Il caso della Microsoft è esemplare: il Dipartimento chiede di leggere la posta degli utenti registrata sui server europei dell’azienda americana, che si oppone”. Sintetizza Il Sole: “Gli americani privilegiano la libertà d’azione delle imprese rispetto alla privacy dei cittadini. Gli europei la vedono esattamente all’opposto”. Un altro articolo sul quotidiano di Confindustria spiega che “i big data valgono l’8 per cento del Pil europeo”. “Dietro la sentenza della Corte Ue gli interessi dei colossi internet Usa”.