L’artista e la MANO

Pubblicato il 1 Settembre 2014 in , da redazione grey-panthers

Quella che si prefigura, per la grande volontà degli artisti stessi che vi partecipano in collettiva, come una vera mostra manifesto atta al recupero della manualità, nasce proprio dall’esigenza di riscoprirsi capaci; capaci di disegnare, di modellare, di miscelare i colori. Riscoprire, rivalorizzare le tecniche storiche, restituendo valore alla technè, al sapere fare con le mani, senza perdere di vista l’estetica moderna, l’espressione artistica attuale che comunque può e deve dialogare con la più radicata cultura artigianale.

Con l’arte concettuale, l’arte povera e il minimalismo, l’artista ha cessato di essere un artigiano, ha in gran parte rinnegato la sua manualità, prediligendo la negazione della forma, della campitura calcolata, il rifiuto dell’armonia cromatica. Ma questo non significa che non sia possibile un’inversione di tendenza, oppure ancor meglio, la nascita un nuovo filone parallelo di artisti, anche di matura derivazione accademica, che riprendano in mano tutte le tecniche e i materiali per riscoprire la genesi dell’arte.

Ed è così che nasce questo progetto che si vede perfettamente integrato all’interno di un contenitore storico, artistico ed architettonico, che della manualità delle maestranze due e trecentesche vede traccia ovunque, il Palazzo dei Canonici di Gubbio, oggi sede del Museo Diocesano.

Otto artisti di comprovata esperienza, che si confrontano sul tema del saper fare come Luigi Stefano Cannelli, romano di nascita ed umbro di adozione, si è formato nel fervore della Roma artistica degli anni 80’, che dopo un primo periodo di ricerca e di studio lo vede dedicarsi alla scenografia, settore questo che spesso lo ha coinvolto in progetti di prestigio. Una vena classista si ravvede nelle sue opere di delicata composizione cromatica e nell’attenta costruzione spaziale. Ricercato anche l’aspetto emotivo e psicologico dei suoi personaggi, specialmente nei volti femminili, che spesso ricordano la grazia eterea dei preraffaelliti. Anche Massimo Cannelli nasce a Roma, dove però tutt’ora risiede e dove da ragazzo frequentò la scuola d’arte per poi dedicarsi alla lavorazione dei marmi. La sua stilistica privilegia il filone astratto, che negli ultimi anni acquista maggior rigore, matura consapevolezza geometrica e cromatica. Le sue Follie sembrano potersi perfettamente ambientare nella Casa d’Arte futurista di Depero, perché proprio dalla scomposizione geometrica futurista egli trae ispirazione. Mentre il lombardo Pietro Cardoni, da sempre dedito alla pittura, si cimenta sulla tematica naturalistica, in particolare si concentra sulla flora, che destruttura nella ricerca fino ad ottenere interessanti risultati di micro e macro pittura. La manualità e la tecnica si manifestano apertamente nell’opera di Silvio Cilli, scultore di marmo e travertino, che nella prima parte della sua carriere si esprime attraverso la statuaria classica greca, ma che poi con la piena maturità artistica sviluppa una personalissima visione sintetica di diverse correnti artistiche, con linee sinuose e scattanti che, anche in questo caso, ricordano le sculture futuriste. Di estremo interesse il risultato estetico della giovane Silvia de Bastiani, diploma in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, specializzata poi in Arti visive e discipline dello spettacolo. Un percorso ancor giovane ma già costellato di premi e riconoscimenti, per uno stile artistico sobrio, lineare a tratti amaramente vero che ne rende immediatamente riconoscibile la sua vicenda artistica. Anch’egli diplomato in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, Felice Feltracco privilegia, agli albori della sua carriera artistica, lo studio dell’acquerello continuando un assidua sperimentazione in nuovi tipi di interventi, come la tecnica della scuola giapponese di Kano con l’uso di pigmenti puri. Filo conduttore resta il dato naturalistico studiato e ricercato spesso nella sua forma più selvaggia. E poi arriva la Forbice che dalle mani dipende nella sua pienezza, così si definisce Elisa Pietrelli, una forbice. Della scomposizione, del collage e dell’agglomerazione, questa giovane artista umbra, ne ha fatto la sua identità artistica, una sorta di ossessione, di pulsione che la spinge a tagliare, scomporre per poi ricucire, in un vortice chirurgico assolutamente vitale. Ed in fine si chiude il cerchio partendo dalle radici, dalla terra. Eugubino di nascita Gabriele Tognoloni, della terra ne ha fatto una ragione d’essere, il mestiere, la passione. Scultore ed incisore ceramista, si diploma all’Accademia di Belle Arti di Perugia, Gabriele nel corso degli anni avvia molte collaborazioni e si vede protagonista di numerosi eventi artistici in Italia e all’estero. Egli modella la terra, che dipinge con pigmenti naturali e che poi cuoce con il fuoco, in meccanici gesti ancestrali che legano ogni vero maestro ceramista all’origine dell’uomo, alla terra, che per essere modellata ha bisogno della mano e dell’artista.

a cura di Elisa Polidori, Storico dell’Arte

L’ARTISTA E LA MANO

Gubbio, Museo Diocesano. 

Dal 5 al 21 settembre