John Steinbeck, il cantore dell’America povera e umiliata

Pubblicato il 4 Giugno 2021 in , , da Pierfranco Bianchetti

Nel 1952 esce finalmente nelle sale italiane il film di John Ford “Furore” girato nel 1940. Il fascismo, che era stato fin troppo tollerante con il romanzo omonimo di John Steinbeck, non poteva cerco accettare una pellicola di così tale impatto visivo, incentrata sulle traversie di una famiglia dell’Oklahoma, vittima come tante altre, della violenza di un capitalismo spietato. Il romanzo pubblicato nel 1939 dopo lunghe ricerche sulla condizione dei contadini poveri provenienti da uno degli stati americani più colpiti dalla Grande Depressione, ottiene uno strabiliante successo, tanto che il produttore Darryl Zanuck della 20th Century Fox, riesce a comprare i diritti dell’opera, nonostante la forte opposizione dei finanziatori conservatori spaventati da un tema sociale scottante, come quello dei braccianti condannati a vivere una vita senza casa e senza una terra da coltivare.

Nato il 27 febbraio 1902 a Salinas, California, John Steinbeck è figlio di un tesoriere di Monterey e di un’insegnante elementare dalle origini irlandesi. La sua infanzia è vissuta a contatto con la natura e i suoi studi si svolgono alla Salinas High School, dove già il ragazzo si mette in luce con i suoi articoli sul giornaletto scolastico. Dopo il diploma John frequenta corsi di biologia e poi si iscrive all’università di Stanford. La scrittura però rimane la sua passione principale. Compone poemi e scrive novelle per qualche periodico locale, ma stranamente non riesce a impegnarsi nello studio che abbandona mantenendosi con lavori manuali vari al fianco di molti poveri diseredati. Quel mondo che lui scopre, farà parte del suo immaginario letterario.

John Steinbeck
Furore

Nel 1926 arriva a New York, ma poi si sposta in California ed è sulla Sierra Nevada che scrive il suo primo romanzo dal titolo “La Santa Rossa”, protagonista il pirata Henry Morgan, un ribelle infelice, che cerca di raggiungere il suo sogno mai realizzato. Trasferitosi nella città di Pacific Grove, il giovane John dà inizio a una produzione letteraria vasta. Nel 1935 con il suo quarto romanzo “Pian della Tortilla”, ottiene grande successo, seguito nel 1937 da “Uomini e topi” (lui stesso ne ricaverà una piéce teatrale), mentre nel 1939 con il celebre “Furore” si aggiudica il prestigioso premio Pulitzer. Durante la guerra si impegna come corrispondente per il “New Herald Tribune” e nel 1942 scrive “La luna è tramontata”, ispirato alle vicende della Resistenza antinazista norvegese. Lunghi viaggi in giro per il mondo, grandi corrispondenze giornalistiche e molti altri lavori letterari, sono al centro della sua vita di narratore. Nel 1962 viene premiato con il Nobel per la letteratura. Il 20 dicembre 1968 muore per infarto a 66 anni.

John Steinbeck ha saputo con la sua narrativa denunciare un’America rurale sprofondata nel degrado e nell’emarginazione. Un’opera, la sua, da sempre fortemente contrastata dal mondo conservatore che non gli perdona di aver messo in luce l’eterna lotta di classe tra ricchi e poveri, tra i più fortunati e i meno fortunati. Il cinema nel 1939 affronta per la prima volta un’opera di Steinbeck. Lewis Milestone gira dall’omonimo romanzo del 1937, Uomini e topi, con Burgess Meredith e Lon Chaney Jr., storia dell’amicizia di due braccianti, George e Lennie, un omone dotato di una forza enorme, ma dal cervello di un bambino. Nel 1940 è la volta del mitico “Furore” di John Ford, premiato con due Oscar. Il film, benchè uscito tre anni dopo la fine ufficiale del New Deal, il nuovo corso di politica economica voluto dal presidente Roosevelt, rappresenta la svolta dell’America verso un sistema politico più democratico e con una maggiore giustizia sociale, anche se la guerra ormai imminente bloccherà il processo di cambiamento. La storia di questa famiglia di contadini in viaggio sul loro camioncino scassato verso un futuro migliore, alla ricerca di una vita dignitosa, arriva nelle sale italiane con dodici anni di ritardo e con le perplessità del governo democristiano che teme il forte messaggio rivoluzionario presente nel romanzo e nella pellicola. “Dopo mesi di quarantena – scrive il critico Ugo Casiraghi – il film passò, anche perché l’opposizione non era stata in silenzio. Ma passò con il taglio del finale. Dopo la partenza di Tom Joad, cioè Henry Fonda, dal campo   governativo, si specificava infatti che l’0dissea della famiglia non era finita, e si mostrava il camion sgangherato che riprendeva la strada. Inoltre il film passò con l’aggiunta obbligatoria di una scritta iniziale, in cui si asseriva, sfidando il ridicolo, che la storia riguardava tempi passati, che non c’era più depressione né crisi, e che comunque la democrazia americana era sempre un modello, perché aveva permesso il film”. All’epoca in America Furore ottiene un successo di pubblico e di critica enorme, con sette candidature all’Oscar e l’assegnazione della preziosa statuetta al regista John Ford e all’attrice non protagonista Jane Darnell. Nel 1942 un altro romanzo della scrittore, il già citato “Pian della Tortilla”, viene portato sullo schermo da Victor Fleming con il titolo “Gente allegra”, interpretato da Spencer Tracy, Hedy Lamarr, John Garflied, storia di un gruppo di messicani poveri, i paisanos, in una cittadina della California del sud, indolenti, un po’ imbroglioni, ma alla fine amabili.

John Steinbeck
“Uomini e topi”

Nel 1943 Steinbeck scrive un soggetto per un film di Alfred Hitchcock, “I prigionieri dell’oceano”, sceneggiato da Jo Swerling. La vicenda si svolge su di un U-Boat tedesco, nell’oceano, che ha appena silurato una nave passeggeri britannica. Su di una scialuppa prendono posto un gruppetto di scampati, uno steward nero, molto religioso, una giornalista, un marinaio gravemente ferito, un ingegnere comunista, un industriale di estrema destra, un operatore radio e un uomo disperato che non vuole abbandonare il corpo senza vita di suo figlio. Hitchcoch trasforma il testo dello scrittore in un vero e proprio apologo sulla lotta per la democrazia. “Abbiamo voluto mostrare- dice- che, in quel momento preciso, c’era due forze l’una contro l’altra: le democrazie e il nazismo. Ora, le democrazie erano in uno stato di completa disorganizzazione, mentre i tedeschi sapevano perfettamente dove volevano arrivare; si trattava, dunque, di dire ai democratici che era assolutamente necessario che prendessero la decisione di unirsi e di mettere insieme le loro forze, lasciando da parte le divergenze e tutto ciò che li divideva, per concentrarsi su un solo nemico, particolarmente forte per il suo spirito di unità e di decisione” (“I film di Alfred Hitchcock” di – Gremese Editore di Natalino Bruzzone, Valerio Caprara, Robert A. Harris, Michael S. Lasky).

John Steinbeck
“Gente allegra”

Nel 1949 il romanziere torna a lavorare per il cinema scrivendo il soggetto e la sceneggiatura, tratta da alcuni suoi racconti, di “Minuzzolo- Il cavallino rosso”, un film diretto ancora da Lewis Milestone, con Robert Mitchum nella parte di Billy Buck, un bracciante factotum di una fattoria che aiuta un ragazzino ad addomesticare un pony. L’adolescente, interpretato da Peter Miles, in difficoltà con il patrigno Louis Calhern, entra in profonda crisi quando il cavallino muore, ma sarà sempre Billy ad aiutarlo a superare il dolore, donandogli un nuovo puledrino da addestrare. Mitchum è lodato per la sua performance da Variety che scrive: “Nel ruolo di Billy Buck, il bracciante, Mitchum dipinge uno squisito ritratto di un adulto capace di comprendere i bambini. Ancora una volta Mitchum mostra la capacità di tenere in pugno un personaggio senza giocare troppo pesantemente con l’emotività del proprio pubblico” (“Robert Mitchum”- di John BeltonMilano Libri Edizioni. Storia illustrata del cinema).

John Steinbeck ed Elia Kazan

A metà degli anni ’40 John Steinbeck lavora con uno studio messicano sullo sviluppo di una sceneggiatura incentrata sulla vita di Emiliano Zapata, il capo rivoluzionario che ha guidato la rivolta dei contadini contro i grandi proprietari terrieri in Messico, ma il progetto alla fine viene accantonato. Poco tempo dopo il regista Elia Kazan, insieme a John Steinbeck, scrive un nuovo soggetto sperando di avere l’approvazione del produttore Darryl Zanuck. Nel 1949 la MGM acquista i diritti del romanzo “Zapata l’invincibile” di Edgcumb Pinchon e il trattamento (il passaggio tra il soggetto e la vera sceneggiatura), viene affidato a Kazan e Steinbeck. Il romanziere completa il copione finale, ma purtroppo in quel periodo storico l’avvento del maccartismo, un’ondata di isterismo anticomunista, spaventa Hollywood che vuole evitare di produrre film sospetti di simpatie per la sinistra. È evidente che la storia di un eroe rivoluzionario (sarà interpretato sullo schermo magistralmente da Marlon Brando) in lotta contro i potenti, può in qualche misura suscitare il sospetto di una influenza del comunismo sull’industria cinematografica.  La produzione, che avrebbe dovuto avvenire in Messico, si sposta invece verso la frontiera per evitare le polemiche scaturite anche a sinistra, con i sindacati messicani irritati dalla scelta di fare interpretare Zapata a un gringo. Il 29 gennaio 1952 Kazan scrive una lettera a Zanuck nella quale vuole rassicurare il produttore sui contenuti politici del film “specificatamente, fortemente e incontrovertibilmente anticomunista” (“Elia Kazan appunti di regia” a cura di Robert Cornfield- Cineteca Bologna) e quindi non soggetto a possibili politici attacchi futuri. Alla fine “Viva Zapata!” è accolto da recensioni positive, mentre gli incassi non riescono nemmeno a ripagare i costi di produzione. Il regista giustifica il fiasco al botteghino perché “il film è uscito in un momento in cui gli spettatori cercavano il divertimento e l’evasione e non erano disposti ad ascoltare messaggi o lezioni di storia, seppure su un eccitante e pittoresco bandito messicano”.

John Steinbeck
“Prigionieri dell’oceano”

L’anno successivo Steinbeck e Kazan tornano a lavorare per “La valle dell’Eden” incentrato sul romanzo dello scrittore uscito nel settembre 1952.  Il trattamento è costretto a ridurre la dimensione epica del romanzo ambientato in un villaggio della California settentrionale negli anni precedenti la prima guerra mondiale. Cal (James Dean) chiede a suo padre notizie sulla mamma, che secondo suo fratello Adam (Raymond Massey) è morta.  In realtà viene a sapere che la donna aveva abbandonato la sua famiglia e che ora dirige un bordello.  Un finale drammatico travolgerà il padre e i due fratelli. Kazan è però preoccupato del copione (teme che i dialoghi realizzati dallo scrittore siano troppo legnosi) e decide di coinvolgere nell’impresa lo sceneggiatore Paul Osborne. Il film, fotografato splendidamente in Cinemascope da Ted McCord, lancerà la breve e leggendaria carriera di James Dean e sarà un vero trionfo di pubblico e di critica. Il conflitto generazionale tra un padre inflessibile e un figlio desideroso di affetto, commuove i giovani americani che si immedesimano nella vicenda. Sono anni nei quali la gioventù “bruciata” è in piena ribellione contro una società dai valori tradizionali ormai superati.

Nel 1957 ancora dal romanzo “La corriera stravagante” uscito nel 1947, il regista Victor Vicas realizza “Fermata per 12 ore” con Joan Collins e Jayne Mansfield, una garbata commedia il cui soggetto cinematografico è dello stesso Steinback. Una coppia gestisce un posto di ristoro in una zona montana della California nel quale arriva in autobus una comitiva di passeggeri che rischia di destabilizzare l’equilibrio coniugale dei due ristoratori. Da altri racconti del romanziere è tratto nel 1982 “Cannery Row” di David S. Ward, con Nick Nolte e Debra Winger, l’attrazione reciproca di una ragazza e di un biologo marino, incoraggiata dagli abitanti simpatici e bizzarri di Monterey in California durante la seconda guerra mondiale.  E ancora del 1983 è “L’inverno del nostro scontento”, un film tv di Waris Hussein, con Donald Sutherland e Teri Garr, tratto dall’ ultimo romanzo di Steinbeck uscito nel 1961, l’anno prima di ricevere il premio Nobel. Il titolo della pellicola, storia di un uomo onesto in procinto di concludere un grosso affare, si rifà a “Riccardo III” di William Shakespeare. Il cinema torna ad ispirarsi al grande cantore dell’America povera e umiliata per l’ultima volta con il remake di “Uomini e topi”, diretto nel 1992 da Gary Sinise, che lo interpreta insieme a John Malcovich.

John Steinbeck
“La valle dell’Eden”