Da vedere in DVD: Rapito di Marco Bellocchio

Pubblicato il 7 Aprile 2024 in , , da Egidio Zanzi
Bellocchio

Marco Bellocchio in questo film fornisce una delle prove più convincenti della sua ultima, feconda stagione artistica. Un cinema-verità perché la vicenda è realmente accaduta nell’800

Duole ribadirlo ancora una volta: purtroppo se vogliamo vedere qualcosa di decente sugli schermi italiani dobbiamo rivolgerci a signori un po’ avanti con gli anni. In questo caso a chi sta veleggiando verso gli 85. Con una lucidità, una freschezza, una forza, una vitalità sconosciute a molti autori ben più giovani. L’ottuagenario in questione è Marco Bellocchio che in questo film fornisce una delle prove più convincenti della sua ultima, feconda stagione artistica. Insieme a titoli come Vincere (2009), Bella addormentata (2012), Sangue del mio sangue (2015) ed Esterno notte (2022). Una forma di cinema-verità che slitta subito in un’amarissima riflessione sulla natura dell’uomo, sul suo cammino nella storia fatta sopratutto (se non esclusivamente) di soprusi, violenze, persecuzioni, ingiustizie. Commesse per di più in nome di Dio da parte di chi si accredita come suo rappresentante.

In apertura: Paolo Pierobon e Enea Sala_ph Anna Camerlingo

Cinema-verità perché la vicenda che scorre sullo schermo è quella realmente accaduta nella seconda metà dell’800 a Edgardo Mortara, bambino ebreo di Bologna sottratto alla famiglia, ossia alla sua cultura, alle sue usanze e alla sua religione, per essere allevato in collegi cattolici, nella disciplina e nella fede cristiana. Al punto che, cresciuto, decide di farsi prete. Ma perché avviene tutto questo in una delle più importanti città dello Stato Pontificio? Perché Anna Morisi, domestica di casa Mortara, afferma di aver battezzato segretamente il bambino quando ancora era in fasce per salvarlo dal Limbo e garantirgli così il Paradiso. In realtà, ci spiega Bellocchio nelle due ore successive, quell’atto sconsiderato, dettato da un malinteso senso della religione e della sua missione di salvezza, anziché garantire al piccolo Mortara la beatitudine eterna determina per lui e per la sua famiglia un inferno terreno in cui tutti precipitano senza remissione né possibilità di salvezza. Un inferno perpetuo fatto di processi, battaglie, lacerazioni cui fa da sfondo il corso storico che porta alla dissoluzione (peraltro solo di facciata) del potere temporale dei papi di Roma.

Bellocchio
La famiglia Mortara_ph Anna Camerlingo

Le questioni extrafilmiche che l’opera di Bellocchio tocca sono innumerevoli. Ben presenti, attive e operative ancora oggi e specialmente in un pontificato considerato progressista come quello di Bergoglio. A cominciare proprio dal potere temporale che esiste ancora, sia pur geograficamente ridotto ai minimi termini. Bastano comunque quei pochi ettari all’interno della Città Leonina del Vaticano a fare del cattolicesimo l’unica religione al mondo dotata di un apparato statale ovvero di un esercito (minimo e un po’ folkloristico, ma pur sempre armato), di banche, ambasciate, tribunali autonomi e indipendenti da qualsiasi giurisdizione. Caso unico, appunto, su scala planetaria perché anche gli Stati cosiddetti “teocratici”, principalmente islamici tipo Iran, Afghanistan o Arabia Saudita, non sono una religione che si fa Stato, ma semmai il contrario. Sono cioè degli Stati sovrani e indipendenti che, per le più svariate ragioni, prendono una religione e la trasformano in dottrina politica. La cosa più aberrante che possa capitare a una qualsiasi fede. E i risultati si vedono. Ma fermiamoci qui, per carità di patria, su queste questioni che ci porterebbero lontano anni luce dalla nostra materia cinematografica. Già abbastanza densa di suo.

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Barbara Ronchi e Enea Sala_ph Anna Camerlingo

Prendiamo, per esempio, l’episodio datato 28 giugno 1858 che vede Edgardo entrare nella Domus Cathecumenorum (Casa dei catecumeni, coloro che sono avviati all’apprendimento della religione cattolica) di Roma e il successivo “montaggio alternato” (racconto in parallelo di episodi che avvengono contemporaneamente, ma in luoghi diversi) tra la celebrazione della messa in latino e la liturgia domestica ebraica in casa Mortara. Espediente narrativo (il montaggio alternato) usato anche altrove nel film a sottolineare visivamente proprio la lacerazione radicale, l’assoluta incomunicabilità tra due mondi, tra due sfere, tra due concezioni della vita che la storia ha reso antitetiche l’una all’altra. Ma la storia, e ci risiamo con le questioni di fondo, la fanno gli uomini. Con le loro scelte: le violenze e i soprusi appunto.

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Leonardo Maltese_ph Anna Camerlingo

Altra intuizione geniale di Bellocchio a quest’ultimo proposito è la scena onirica in cui Edgardo bambino schioda Gesù dalla croce e costui se ne va, finalmente libero dai dogmi entro cui l’hanno costretto i suoi più strenui seguaci, dopo essersi tolto dal capo la corona di spine. Certo: simbolo di sofferenza, quella corona, ma anche emblema di regalità, di sovranità, ossia di potere, di dominio, di coercizione. È una scena che rimanda idealmente al più laico finale di Buongiorno notte (2003) con Aldo Moro sciolto dai vincoli politici del partito che di fatto l’ha assassinato, abbandonandolo ai suoi carnefici, e che entra, da uomo libero, nel libero corso della storia che trascende ogni partito e ogni fazione. Dal punto di vista figurativo la scena rimanda invece a un campione d’incassi cinematografici degli anni ‘50 certamente ben noto al regista (e agli spettatori meno giovani): Marcellino pane e vino (1955) dove il cristianesimo necrofiliaco dell’epoca faceva coincidere la materializzazione della statua del crocifisso con la morte del bambino come somma ricompensa alla sua magra e brevissima vita di orfano allevato in un convento.

 

 

Ma perché Bellocchio “schioda” Gesù dalla sua croce? E, sopratutto, dove colloca la scena nello sviluppo narrativo della sua opera? La scena cade esattamente a metà del film e ne è lo spartiacque, come la cerniera di un dittico. Stabilisce un “prima” e un “dopo” che non potranno mai conciliarsi dove le cose non saranno più le stesse per nessuno dei personaggi. Cade dopo la “scena madre” con mamma Marianna che ha potuto finalmente riabbracciare per pochi secondi il proprio figlio dopo mesi di separazione (vedi, appunto, Marcellino), ma anche dopo la cerimonia con Pio IX che rimanda, neppur troppo larvatamente, ai problemi ancora oggi irrisolti all’interno della Chiesa Cattolica relativi al clero pedofilo. Ed è anche l’unica in cui la musica della colonna sonora (di Fabio Massimo Capogrosso) apporta un contributo rilevante all’immagine mentre per il resto del film è solo un’invadente, petulante e fastidiosa presenza cui si farebbe volentieri a meno.

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Dopo il “sogno a occhi aperti” di Edgardo ricorre la petizione degli ebrei al sacro soglio conclusa con il banchetto del pontefici con i bimbi e con il lapidario «Non possumus» (non possiamo) di Pio IX. I manuali di storia collegano giustamente tale diniego alla cosiddetta “questione romana”, ossia ai rapporti della Santa Sede con il neonato stato unitario italiano mentre Bellocchio lo relativizza (universalizzandolo) a tutte quelle questioni che si interpongono tra i dogmi e la libertà di pensiero. E, visto il contesto storico, si fa riferimento al dogma, sancito proprio da Pio IX nel 1854 (8 dicembre), dell’Immacolata Concezione di Maria, la madre di Gesù. Da non confondere con il non-dogma del concepimento virginale del Salvatore. Per tornare alla delegazione degli ebrei e all’umiliante atto di deferenza e sottomissione esibito sullo schermo non si tratta di una forzatura di quel mangiapreti di Bellocchio, ma di una vera e propria chicca storica. «Prostrati al bacio della sacra pantofola…» era la formula di rito che, fino a non molti anni, fa doveva usare chiunque si rivolgesse al sommo pontefice romano. Una formula letteraria solo apparentemente stravagante e bislacca che presupponeva, invece, una consolidata prassi secolare e, soprattutto, una relazione tra gregge e pastore di totale e assoluto asservimento. L’esatta antitesi di Matteo 20, 28 e Marco 10, 45: «Non sono venuto per essere servito, ma per servire» detto da Gesù.

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Filippo Timi_ ph Anna Camerlingo

E si arriva così ai moti antipapali scoppiati a Bologna nel 1859 quando la Romagna pontificia viene annessa al Regno di Sardegna. Cosa che consente, dal successivo 30 gennaio 1860, di processare l’ex inquisitore Feletti e ascoltare finalmente dal banco dei testimoni la versione di Anna Morisi. Processo concluso con un nulla di fatto in quanto l’inquisitore a suo tempo non aveva fatto altro che applicare le normative vigenti all’epoca. Un altro, paradossale, corto circuito tra etica e legge. Tra libertà dello spirito e rigidità delle norme. Anche in questo caso la vertenza giudiziaria è montata in parallelo con la cerimonia di cresima di Edgardo. Dieci anni dopo, ormai adulto, diventa prete.

Il finale è alla Bellocchio ossia un puro e semplice atto di ribellione del “figlio” verso il “padre”. In questo caso la figura paterna è quella del pontefice. Pio IX muore nel 1878, otto anni dopo la breccia di Porta Pia e la folla inferocita vorrebbe buttarne la salma nel Tevere. Edgardo è combattuto nel suo animo e oscilla tra le opposte fazioni. Il vecchio papa ormai defunto è stato il suo vero padre e in sua memoria, quasi in suo ossequio, il giovane sacerdote si appresta alla più feroce delle violenze: il battesimo forzato della madre sul suo letto di morte. Sventato dai fratelli che, secondo il costume ebraico, si lacerano le vesti al capezzale della defunta. La vicenda umana di Edgardo Mortara termina qui anche se una didascalia ci rievoca gli anni a seguire, ma quel che dovevamo sapere l’abbiamo già appreso. Il rapito e il “rapitore” (Pio IX) sono stati ormai consegnati alla storia.

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Barbara Ronchi_ph Anna Camerlingo

A cui possiamo aggiungere una postilla che rimanda, ancora una volta, ai massimi sistemi che non c’entrano con la vicenda narrata dal film, ma con la storia che stiamo vivendo noi, oggi, credenti e non credenti del XXI secolo. Ebbene, il 30 settembre 2000 papa Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla), ovvero il suo nono successore, proclama “beato” Giovanni Maria Mastai Ferretti, Pio IX. Nell’armamentario lessicale cattolico il titolo di “beato” è quello che precede immediatamente la “santità”. Ricordiamo sommessamente che in nessuno dei quattro Vangeli né in alcun’altra parte del Nuovo Testamento si afferma che qualcuno sia “santo”. Anzi, “san” Pietro, il capo dei Dodici, si becca per ben due volte dell’oligopìstos (uomo di poca fede). A uno solo, in tutte le Scritture, Gesù promette di accoglierlo presso sé nel “giardino” (la parola è questa, non “paradiso”). Un uomo di cui non sappiamo neppure il nome, ma solo il mestiere che faceva: il ladro. Se poi consideriamo che una causa di beatificazione, tra postulanti, testimoni, inquisitori, giureconsulti, medici e compagnia cantante, costa non meno di 500mila euro si comprendono ancora più cose sulla cosiddetta “fabbrica dei santi” della Curia Romana. Ma su questo rimandiamo volentieri a un altro bellissimo film di Marco Bellocchio: L’ora di religione (2002).

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Fabrizio Gifuni_ph Anna Camerlingo

Così come rimandiamo altrettanto volentieri a un altro bellissimo film del 1992 i rapporti tra la Chiesa di Roma e gli ebrei. Stiamo parlando di Confortorio di Paolo Benvenuti che mette in scena un fatto anch’esso realmente accaduto nello Stato Pontificio. Un secolo abbondante prima della vicenda di Edgardo Mortara. Siamo nel 1736 e due ebrei, Angeluccio e Abramo, poveracci e analfabeti, sono condannati alla forca per aver rubato in una chiesa. Sacrilegio! Per due giorni e due notti prima dell’esecuzione i rei confessi vengono tormentati psicologicamente in tutti i modi affinché si convertano al cristianesimo in modo di avere salva l’anima. Destinata altrimenti all’inferno. Tra i “confortatori” che si affollano attorno a loro, oltre a francescani e domenicani, c’è anche un gesuita, ebreo convertito. Lontano antecedente del Mortara in questione. Quasi superfluo aggiungere che Angeluccio e Abramo moriranno da ebrei.

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Marco Bellocchio_ph Anna Camerlingo

Infine una chiosa. O meglio, la segnalazione di un piccolo blooper peraltro del tutto ininfluente ai fini generali dell’opera. In Rapito si sente intonare a un certo punto l’inno Noi vogliam Dio… che agli spettatori non più giovani suona certamente familiare per averlo sentito e cantato in  numerose occasioni nelle celebrazioni liturgiche. Composto in Francia nel 1882 si è poi diffuso rapidamente in tutta la cristianità diventando molto popolare. Il film però arriva, come abbiamo visto, al 1878.

Dettagli del film di Marco Bellocchio

sceneggiatura Marco Bellocchio, Susanna Nicchiarelli, Edoardo Albinati, Daniela Ceselli dal libro Il caso Mortara di Daniele Scalise (Mondadori) cast Paolo Pierobon (Pio IX) Fausto Russo Alesi (Salomone Mortara) Barbara Ronchi (Marianna Mortara) Enea Sala (Edgardo bambino) Leonardo Maltese (Edgardo adolescente) Filippo Timi (card. Giacomo Antonelli) Fabrizio Gifuni (Pier Gaetano Feletti) Aurora Camatti (Anna Morisi) genere drammatico prod. Ita, Fr, Ger 2023 durata 128 min.

 

DVD selezionati da Riccardo E. Zanzi, recensione di Auro Bernardi

 

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