“Quando tornerò” di Marco Balzano: se sono le madri a emigrare

Pubblicato il 17 Aprile 2022 in , da Emma Faustini
Quando tornerò
La prima volta che ho preso in mano questo libro ero a casa di un’amica. Doveva fare una telefonata di lavoro che si preannunciava molto lunga, e mi ha detto “se vuoi puoi metterti sul terrazzo a leggere, così poi quando ho finito usciamo”. Era appena cominciata l’estate, e leggere sul terrazzo è quasi bello come leggere in un prato. La mia amica ha scorso rapidamente la libreria e mi ha detto questo l’hai letto? No, di Marco Balzano non ho letto nulla. È bravissimo, mi ha detto lei. E ho cominciato “Quando tornerò”.

Dopo una trentina di pagine la mia amica ha finito la sua telefonata e siamo uscite. Ma intanto mi ha regalato il libro. Che ho portato a casa e, nonostante fossi entrata nella storia, ho messo nella mia libreria e lasciato lì. Mi chiamava da tempo, ma avevo sempre altro da leggere. Finché, poco prima che scoppiasse questa orrenda e inaspettata guerra in Ucraina, l’ho ripreso in mano. Se state pensando che sia un libro che parla di Ucraina, no, non è così. Ma racconta la storia di una donna che “scappa” dalla Romania, dove la vita le è diventata invivibile, per venire in Italia. A fare che? La badante.

Sì, per essere precisi con la trama farà anche la babysitter e l’infermiera, ma quello che Daniela, la protagonista del romanzo, rappresenta è quella coorte di donne che migrano dal loro Paese per venire in Italia, e anche in Europa, a prendersi cura dei vecchi e dei bambini di cui noi non siamo più capaci, o in grado o desiderosi, di occuparci. Un flusso migratorio particolare, perché se nei secoli scorsi ad andarsene in cerca di fortuna erano gli uomini e i giovani, oppure intere famiglie, ora sono queste donne da sole. Che non lasciano a casa solo dei mariti o dei genitori, ma dei figli, spesso piccoli, talora adolescenti. Figli a cui vogliono dare un futuro migliore del loro, o un futuro tout court.

E la contraddizione tra il sacrificio per dare ai figli un destino migliore e l’abbandonarli, è una contraddizione insanabile. Che ognuna di queste donne pensa di poter affrontare e risolvere. Che ognuna soffre a modo suo ma dalla quale non riesce a sfuggire. Questo flusso migratorio coinvolge quasi tutti i paesi dell’est, in primis l’Ucraina. Chi di noi non ha conosciuto una badante ucraina, o non ha avuto un’amica o una parente che a un certo punto ha cercato una badante e ha trovato un’ucraina? Alzi la mano chi può rispondere di no.

Tornando al romanzo, Daniela arriva in Italia e naturalmente molti dei sogni con cui è partita, di trovare un lavoro ben pagato, una casa dove far arrivare i suoi figli, una vita più serena e più ricca, si infrangono immediatamente. Trova un lavoro ma è mal pagato, non è in regola, è duro perché stare vicino ai vecchi malati di Alzheimer o demenza senile è sfibrante e infinito. Ma Daniela resiste e manda a casa dei soldi, può far studiare la figlia, può portare dei regali quando ritorna. Però la distanza non è come il vento che alimenta i grandi amori, almeno se gli amori sono i figli. La distanza scava ogni giorno, incessantemente, e alla fine il fossato che separa la vita di chi è rimasto dalla vita di chi è partito è profondissimo e forse incolmabile. Anche il dialogo muore un po’ ogni giorno, e le telefonate alla fine sono vuote di senso e fonte di sofferenza invece che di conforto.

Nello stesso tempo, non si può tornare indietro. Daniela sì, a un certo punto torna a casa perché il figlio ha avuto un incidente ed è in coma. Daniela gli resta vicino, anche contro il parere dei medici, e cerca di raccontargli la sua vita, tutto quello che ha taciuto e omesso. Non sapremo mai se il figlio ha sentito quel racconto e che cosa gli sia rimasto, neppure quando esce dal coma e pian piano riprende la sua vita. Perché a quel punto anche Daniela riprende la sua vita, che non è più in Romania, che forse sì, forse ora è davvero in Italia. Tutti noi abbiamo qualcuno che se ne è andato, parenti amici conoscenti. Tanti di noi sono andati e tornati. Quasi tutti abbiamo pensato di andarcene, a un certo punto. Emigrare, che lo si faccia perché non si può vivere nel proprio Paese o perché in un altro Paese si spera di trovare quello che nel proprio non c’è, ha una naturalità che facciamo fatica a riconoscergli. Ha tuttavia anche una drammaticità che è stata spesso raccontata e che credo non finiremo mai di raccontare.

Il romanzo di Marco Balzano, con le tre voci narranti, con i paesaggi che trovano la loro bellezza nel momento in cui ce li lasciamo alle spalle, con gli affetti che si alterano ma sopravvivono, racconta secondo me meravigliosamente una condizione che, anche se non abbiamo sperimentato di persona, possiamo facilmente immaginare e fare nostra. Credo che in questo momento, di dramma e di impotenza, ci possa avvicinare, non con il ragionamento ma con il cuore, a un mondo che facciamo fatica a capire ma che è davvero vicino. Un mondo che ha bisogno di noi. Ancora una volta, finito di leggere, mi viene da ringraziare gli scrittori, Marco Balzano e non solo: per essere capaci di farci pensare, di farci oltrepassare i nostri limiti, per allargarci lo spazio mentale e quello dell’anima.

Daniela ha un marito sfaccendato, due figli adolescenti e un lavoro sempre piú precario. Una notte fugge di casa come una ladra, alla ricerca di qualcosa che possa raddrizzare l’esistenza delle persone che ama – e magari anche la sua. L’unica maniera è lasciare la Romania per raggiungere l’Italia, un posto pieno di promesse dove i sogni sembrano piú vicini. Si trasferisce cosí a Milano a fare di volta in volta la badante, la baby-sitter, l’infermiera. Dovrebbe restare via poco tempo, solo per racimolare un po’ di soldi, invece pian piano la sua vita si sdoppia e i ritorni si fanno sempre piú rari. Quando le accade di rimettere piede nella sua vecchia casa di campagna, si rende conto che i figli sono ostili, il marito ancora piú distante. E le occhiate ricevute ogni volta che riparte diventano ben presto cicatrici. Un giorno la raggiunge a Milano una telefonata, quella che nessuno vorrebbe mai ricevere: suo figlio Manuel ha avuto un incidente. Tornata in Romania, Daniela siederà accanto al ragazzo addormentato trascorrendo ostinatamente i suoi giorni a raccontargli di quando erano lontani, nella speranza che lui si svegli. Con una domanda sempre in testa: una madre che è stata tanto tempo lontana può ancora dirsi madre? A narrare questa storia sono Manuel, Daniela e Angelica, la figlia piú grande. Tre voci per un’unica vicenda: quella di una famiglia esplosa, in cui ciascuno si rende conto che ricomporre il mosaico degli affetti, una volta che le tessere si sono sparpagliate, è la cosa piú difficile. Dopo L’ultimo arrivato e Resto qui, Marco Balzano torna a raccontare con sguardo lucido e insieme partecipe quelle vite segnate che, se non ci fosse qualcuno a raccoglierle, resterebbero impigliate nel silenzio.