Zoom sui grey-panthers – 6

Pubblicato il 14 Novembre 2009 in , da Vitalba Paesano

Dopo il lavoro, le passioni

L’architetto, il professore universitario, l’ex manager convertitosi in imprenditore, l’editore di grande esperienza, il giornalista in pensione da un po’; nella galleria dei nostri intervistati tante storie e un denominatore comune: la consapevolezza che lavoro e interessi sono il segreto di una vita lunga e serena

In genere condividono la decisione dei ministri Tremonti e Sacconi di modificare l’età della pensione secondo l’aspettativa di vita e accanto a questa rivoluzione, introdotta senza troppe discussioni, né polemiche, che dovrebbe andare a regime nel 2015, vedono di buon occhio anche l’altra innovazione che il Governo ha dovuto adottare su richiesta dell’Unione Europea, quella dell’innalzamento dell’età della pensione per le donne del pubblico impiego, parificate ai maschi. Si rendono ben conto, infatti, che la pensione si deve allontanare non tanto in nome della parità dei sessi, ma per esigenze demografiche.

Sono i senior che abbiamo intervistato, qualcuno già in pensione, molti in dirittura d’arrivo per il congedo dal lavoro, ma in genere, con una gran voglia di attività.

Il ragionamento, per loro, è matematico: attualmente il rateo della pensione è funzione dei contributi versati. Quando nel 2015 andrà a regime la riforma, verrà applicato un ‘coefficiente di trasformazione’: cioè i versamenti fatti verranno suddivisi tra gli anni che ci si aspetta di vivere. Se si vuole evitare il paradosso per cui, allungandosi la vita, si riduce l’assegno incassato, si deve allungare il tempo passato lavorando.

E se a questi senior di nuova generazione si chiede “fino a quando vorresti lavorare?” quelli di 50 anni rispondono “fino a 60”; quelli di 60 “fino a 65-70”; quelli di 65 “fino a 70-75”. Capita la morale?

P.M., 67 anni, professore Ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari all’Università Bocconi di Milano, studia le gestioni patrimoniali e i servizi di investimento offerti dalle Banche, uno dei primi, quindi, ad aver individuato gli indicatori della crisi.

“Andrò in pensione a 70 anni come tutti i professori universitari, una cesura certo importante”, dice, “Smetterò di insegnare, probabilmente continuerò a fare ricerca e avere impegni professionali. Dipenderà dalle condizioni di salute, dalla voglia di continuare, ma anche della variabile del mercato, da quanta fiducia la società darà a un anziano. Nel mio settore, finché uno è lucido e aggiornato può avere mercato”. Uno che non molla, quindi, e al quale, anzi, conviene chiedere come premunirsi per assicurarsi la qualità finanziaria della terza età. “La finanza è il mondo dell’incertezza, quindi la prima regola è continuare a lavorare finché si può, anche se con impegni decrescenti, e cercare di proteggere al massimo il proprio patrimonio.”, risponde, ”L’investimento reale, cioè immobiliare, è sempre importante e va fatto. Per quanto concerne la parte finanziaria, meglio stare molto lontani dalla Borsa e dalle azioni. Come investimento, in questo momento,  è bene avere titoli che abbiano un rendimento quanto meno ancorato all’inflazione (BTP, Bund, Oat francesi) ed emessi da un emittente sicuro, come uno Stato (Francia, Germania, Italia): è uno dei modi per guadagnare pochissimo, ma dormire tranquilli”.

“Se andando avanti con gli anni, invece, serve maggiore rendita, si può optare per la liquidazione graduale del  capitale. Per chi non ha figli e non intende lasciare capitali agli eredi, esistono contratti innovativi di rendita finanziaria: si affida il capitale a una o più compagnie di assicurazione, in cambio di una rendita vitalizia che vale finché si vive. Queste assicurazioni coprono anche dal rischio di sopravvivenza, o di longevità: se si vive oltre l’età calcolata come aspettativa di vita, l’assicurazione continua a pagare la rendita finanziaria. Poi ci sono altri contratti, che si cominciano a stipulare anche in Italia, di credito ipotecario: si affida la casa di proprietà a una compagnia di assicurazioni, in contropartita di un capitale o di una rendita vitalizia, stimati in relazione al valore (anche futuro) dell’abitazione e della “speranza di vita” del soggetto stipulante. Ovviamente il contratto prevede che questi avrà l’uso della casa fino alla morte. Sono contratti che diventano convenienti tanto più si è avanti negli anni. Ormai tecnicamente si può liquidare tutto”, conclude il nostro intervistato,“anche una polizza vita che, per esempio, copre fino a 80 anni. Fra poco arriverà anche in Italia: ci sono operatori che stimano la convenienza a rilevare il contratto di assicurazione, a diventarne loro i beneficiari: danno un valore subito e pagheranno i premi futuri. Queste operazioni sono tanto più convenienti quanto minore è di fatto l’aspettativa di vita rispetto alla durata della polizza di assicurazione. Ma in Italia non c’è al momento un impianto giuridico adeguato. Spopolano, però, in America”.

“E a proposito di America, ormai ci sono molte gestioni del personale che si stanno attrezzando per utilizzare come forza lavoro le persone che hanno superato l’età pensionabile. Walmart, ad esempio, li utilizza alla cassa o al reparto confezionamento pacchi; contano sulla terza età per tutti i servizi collaterali. Questi dipendenti anziani arrotondano una prestazione previdenziale che già ricevono, fanno orari ridotti, hanno minori pretese economiche. E nel grande magazzino sono soddisfattissimi perché nella  relazione con il pubblico queste persone sono più gentili e disponibili”.

 M.P., a lungo ai vertici dell’editoria, come Direttore Generale,  scrittore da sempre, da quindici anni editore dell’omonima casa che pubblica libri di autori stranieri, attualmente ha un ruolo importante nell’Associazione Italiana Editori. “Dovrei andare in pensione fra 5 anni, ma sono lontano mille miglia. Se devo pensarmi tra dieci, vent’anni, mi vedo ancora nella mia casa editrice a fare l’attività che svolgo da sempre, forse con un numero inferiore di ore lavorate, ma non certo tirando i remi in barca. Ma potrei essere anche altrove. Del resto la mia vita professionale è sempre stata molto dinamica. Dal mio osservatorio vedo che chi ha attività manageriale (non imprenditoriale) si divide tra chi guarda alla pensione con terrore e chi la considera una soglia di riconquistata libertà. Dipende dalla natura e dal carattere, ma anche dall’andamento del proprio lavoro: chi per difficoltà di mercato o rapporti difficili con i capi si ritrova a chiudere la propria carriera con attività di minore interesse, vede sicuramente con occhio favorevole l’arrivo dell’età pensionabile. Ma chi è interessato alle cose che fa non molla. Il lavoro ha una valenza non solo economica, ma anche di divertimento, di interesse, specie a questa età. Oggi faccio le cose che faccio da 30 anni, ma in uno scenario più ricco e complesso. Si dice ‘largo ai giovani’: non è vero. Dal punto di vista scolastico noi abbiamo studiato di più, abbiamo allenato la capacità di destreggiarsi su mille problemi. Il giovane forse ha più entusiasmo, ma penso che anche noi ne abbiamo parecchio. E, per di più, temperato dall’esperienza. In questi mesi ci siamo trovati in mezzo a una crisi di proporzioni mondiali: perché il 35enne dovrebbe saper risolvere i problemi meglio di un 60enne di oggi? In futuro nel mondo occorrerà sempre più freddezza e capacità di affrontare le difficoltà. La discriminante non sarà l’età, ma la testa”. “Economicamente, devo pensare a me e a mia moglie; per questo lavoriamo insieme in casa editrice. Per un imprenditore la pensione è la sua stessa attività, la mia casa editrice è l’asset su cui poter contare. Quando non sarò più in grado o non avrò più voglia di lavorare, venderò. E investirò il denaro in immobili. A meno di non tirare fuori un sogno dal cassetto e investire ancora, trasformando un hobby in un affare”.

 C.d.B., segretario generale di un’Associazione Italiana che agisce come facilitatore nel rapporto Banca-Impresa, è una grande esperta di start up. Fare un business plan nelle sue logiche principali, per lo start up di una Società, la entusiasma sempre: “Mi annoia la gestione corrente, non certo l’incognita o il rischio”, dice. “Ho cominciato a immaginarmi la mia pensione molto prima di quanto fosse necessario. Ho deciso di avvicinarmi, a 50 anni, all’attività universitaria, sia per la sensazione di aver abbastanza esaurito la vena aziendale sia per una sorta di vocazione a dare (non ho figli). E’ stato per me fisiologico trasferire ai giovani il mio know how, il bagaglio di esperienza che la mia vita personale e professionale mi ha dato. Così, un giorno sono andata in Statale per cercare degli stagisti e sono uscita senza stagisti, ma con un incarico di docenza”.

 “Da quando ho comperato una casa vicina al mare di Ravenna e preso un cane, i miei sogni sono cambiati; e già oggi non vedo l’ora di andare a camminare sulla spiaggia. Così ho ritagliato l’attività in Associazione su misura rispetto a questa nuova esigenza; appena posso, sparisco qualche giorno per un weekend lungo, al mare. Parto il venerdì pomeriggio e torno il lunedì mattina. Per il futuro, mi vedo in attività con un impegno molto parziale, più spesso fuori Milano che in città. Anche per questo, ho cominciato a studiare e approfondire il trading on line, per ragionare in una logica di gestione progressiva di attività finanziarie: penso ad analisi finanziarie, acquisto-vendite, futures, operazioni fortemente speculative che, ben fatte, mi possano dare una micro-redittività che mi consenta comunque di lavorare poco e di avere quella soglia di disponibilità utile in un periodo della vita dove comunque cala la volontà di spesa”.

“C’è un modo femminile di essere senior? Il momento della pensione potrebbe essere un modo per recuperare una propria specificità con modelli femminili autonomi e originali. Finalmente ci si può occupare di se stesse e liberarsi delle occupazioni gestionali… quindi raggiungere un obiettivo valoriale. Non sappiamo lo spagnolo? Andiamo a impararlo. Io, per esempio, vorrei imparare a fare bene i gelati”.

 R.F., 58 anni, ingegnere chimico, Master in Bocconi, vice presidente, fino al 2003, della filiale Italiana di una multinazionale americana, oggi titolare di un’agenzia di PR e marketing. “Nel 2003 sono uscito dal mondo delle multinazionali e ho cambiato completamente settore, dedicandomi a PR e marketing, come socio di un mio amico, prima, per conto mio, insieme a mia figlia che ha 30 anni, dopo un anno in mezzo. E’ stato uno stacco forte, ma ho cercato creatività e libertà totale di gestione personale e di business. Prima viaggiavo in continuazione, avevo una mobilità impressionante; oggi il cliente più lontano sta a Modena e lo vado a visitare 2 volte l’anno; vengo in ufficio a piedi perché abito a 15 minuti di distanza, non uso quasi più l’auto; risparmio un’ora di stress al giorno; nel mio ufficio ho un giardino dove faccio pausa pranzo, tempo permettendo: qualità della vita, dunque, senza confronti”.“Come manager, sei sempre a rischio e la fonte di reddito è al 100% su un’unica entrata; in agenzia, è un rischio bilanciato, distribuito su più attività. Ed essendo una società di servizio, non ho dovuto investire neppure troppi capitali di avvio”.

“A questa età non si fanno più grossi investimenti: la casa c’è, le cose che interessavano sono state acquistate. Io mi sono sposato due volte e oggi ho anche una figlia di 10 anni. Non posso adattarmi alla mentalità di un pensionato classico, perché in casa ho una realtà in crescita. Una volta lavoravo e accantonavo, adesso lavoro e spendo: è cambiata la mentalità. Ma cerco di mantenere il capitale e con parecchi anni di versamento, avrò una pensione dignitosa. Ho cambiato abitudini, questo è vero: il vestito da business man non mi interessa più. Nelle spese ho maggiore oculatezza: controllo dove la benzina costa meno; se esco a cena cerco un posto con un rapporto prezzo/qualità ragionevole”.

A.d.B., professore ordinario al Politecnico di Milano, Presidente di una importante Fondazione nell’ambito del Design. Anche per lui pensione prevista a 70 anni. “All’Università, mi piacerebbe mantenere un rapporto da ‘buon papà’ con quelli che resteranno dopo di me, anche in un ruolo subalterno, perché bisogna dare spazio ai giovani. Sarebbe un modo per passare un know how da senior e per restare in contatto con un ambiente che mi è caro e familiare. Sento il bisogno di restare attaccato da un lato alla vivacità della contemporaneità che l’ambito universitario consente e, nello stesso tempo, di collaborare, offrendo un’esperienza che consente di contestualizzare i singoli problemi in una dinamica temporale più ampia. Sarebbe utile, insomma, che la rete di rapporti creati in tanti anni di lavoro restasse un bene non legato al singolo, ma alla struttura. Penso che la mia unità di ricerca forse mi lascerà una scrivania in Ateneo, anche se la scrivania sarà comunque loro”.

“Per deformazione professionale ho investito tutto sul mattone; e sono immobili intestati non a persone fisiche, ma a società. In questo periodo c’è stata la rivalutazione dei cespiti, per questo tipo di immobili, e questo si è rivelato una forma di accantonamento per la pensione. Come è noto, se si hanno beni intestati a una società, è ora possibile rivalutarli, pagando una tassa che, a seconda dell’immobile, è dell’1 o del 3%. Conviene fare questa rivalutazione dei cespiti, altrimenti, al momento della vendita, il delta tra il valore reale e quello nominale del bene incide notevolmente sul ricavo. Questi beni, rivalutati, infatti, diventano facilmente alienabili”.

“Sto cominciando a pensare a una seconda casa senza troppe scale e, se mi immagino a 80-90 anni, mi vedo essenzialmente in una società molto diversa; più pericolosa, in termini di aggressioni e violenze, per la condizione di malessere della popolazione. Penso che avremo una popolazione fortemente multietnica e quindi sarà diversa la società, dovremo dialogare con valori diversi, che inizialmente ci sembreranno dei non valori: la mia visione laica dello Stato, ad esempio, mi induce a considerare negativamente il coprirsi il volto, quindi a essere contrario al burka; ma se leggo certi testi scopro che può essere una difesa. Penso che dovremo fare i conti con questi nuovi valori”.

L.L., brillante giornalista Rai dal 1953 al 1993 ,porta l’esperienza dei suoi primi 15 anni di pensione “che mi hanno permesso di lavorare scegliendo ancora con maggiore consapevolezza i modi, i tempi, le persone, gli argomenti da trattare su quotidiani e altre riviste”, dice fiero.” Io continuo a essere giornalista. Se devo giudicare dallo spirito che anima la malinconica aspettativa della pensione di certi colleghi, oggi, devo dire che non si preparano anni felici per loro; vanno in pensione ed è difficile pensare di collaborare dall’esterno quando nei giornali stanno licenziando colleghi anche più giovani. E questa generazione non ha coltivato, perché non è stato data loro occasione, passioni esterne al lavoro. La mia generazione, Ruggero Orlando e Piero Angela in testa, è stata, invece, una generazione curiosa e la curiosità è vita”.