La Rassegna Stampa: Italia al 118° posto per efficienza del lavoro

Pubblicato il 26 Ottobre 2010 in , , da Vitalba Paesano

Le aperture

Il Corriere della Sera: “L’Italia un peso per la Fiat”. Le parole di Sergio Marchionne, che ha spiegato che i due miliardi di utile della Fiat “vengono solo dall’estero”, sono sui titoli di apertura di tutti i quotidiani. “Il manager: al 118° posto per efficienza del lavoro. La Fiom: parla da straniero”. “Domande senza risposta” è il titolo del commento di Massimo Mucchetti. L’apertura del quotidiano milanese è però dedicata alla politica: “Il Pdl avverte Fini: non c’è altro governo. Micciché lancia a Palermo ‘Forza del Sud’. Bersani: ritirate il Lodo e dialogo sull’economia”. L’editoriale, firmato da Aldo Cazzullo, è titolato: “I divorziandi della libertà”. A centro pagina i rifiuti in Campania: “I sindaci non firmano. Bertolaso: lo Stato va avanti. Il capo della protezione civile promette di pulire Napoli in pochi giorni”. In evidenza anche la vignetta di Giannelli, con un Berlusconi vestito da poliziotto che – su un cumulo di rifiuti – dice: “E’ tutto sotto controllo”.

La Repubblica: “Fiat, la sfida di Marchionne. Il manager: su due miliardi di utili neanche un euro viene dagli impianti nazionali. ‘Senza l’Italia faremmo meglio’. Epifani accusa: se ne vogliono andare”. E anche: “Calderoli replica: ‘Si ricordi gli aiuti che hanno avuto'”. A centro pagina: “Rivolta dei sindaci: ‘No al piano rifiuti’. Caos a Terzigno, Bertolaso: ‘Non torno indietro'”. In prima pagina anche la politica: “Il Pd e i finiani: pronti a un governo con l’Udc di Casini. Via libera di Franceschini e Bocchino”.

Il Giornale: “Anche Tremonti nel tritacarne Rai”. Si parla del “solito Report”, che ieri dedicava la sua puntata al ministro dell’economia: “Dopo le ville di Antigua di Berlusconi, ecco le parcelle del ministro: la Gabanelli colpisce ancora e come sempre lo fa a senso unico. E la Rai non dice una parola, se non per annunciare l’ennesimo aumento di canone”. Una foto a centro pagina per Marchionne, sotto il titolo: “Senza l’Italia la Fiat andrebbe meglio”. Sotto, i rifiuti: “Il vaffa di Bertolaso ai sindaci. Salta l’accordo sulla discarica. ‘Avanti da soli, puliremo tutto in 4 giorni'”. Di spalla anche un richiamo per il congresso di Sinistra Ecologia e Libertà: “Nichi, oh bello ciao, già sorpassato dalla storia”:

L’Unità: “Al miracolo di Terzigno. La promessa di Berlusconi: risolvo tutti in dieci giorni”. Il quotidiano descrive il “muro contro muro” con gli amministratori dei comuni interessati. E poi: “sfilano anche i medici. I camici bianchi in piazza per denunciare il disastro ambientale. Un inferno che ci costa 11,4 miliardi”.

La Stampa: “Il pugno duro di Bertolaso: ‘Napoli pulita in 3 giorni’. ‘La nuova discarica rinviata alle calende greche’. Ma a Terzigno è sempre muro contro muro. No dei sindaci al piano del governo. Il sottosegretario: avanti lo stesso”. A centro pagina: “Se tagliassimo l’Italia la Fiat farebbe meglio”. “L’ad del Lingotto: pronto ad aumentare i salari. Marchionne: qui nessun utile”. In prima anche un richiamo sul Lodo Alfano, sul quale “Fini pensa all’astensione”.

Il Sole 24 Ore si occupa di piccole imprese: “Rischio valute per le Pmi. Le tensioni sui cambi e lo scontro tra Cina e Stati Uniti producono effetti rilevanti su export e competitività. Dai contratti in euro ai gruppi di acquisto, le contromosse delle aziende”.

Marchionne

Il Corriere della Sera intervista il segretario della Cisl Raffaele Bonanni e il vicepresidente di Confindustria Alberto Bombassei. Per Bonanni, che non è rimasto sorpreso dalle parole di Marchionne, “occorre vedere insieme come si può arrivare ad un utilizzo intensivo degli impianti adeguandoci a ciò che avviene in altri Paesi europei. Sappiamo tutti che le vere difficoltà stanno lì più che nel costo del lavoro. E di questo che dobbiamo parlare”. A patto, però, che si faccia “alla luce del sole”, perché “è assurdo” che di fronte alla perdita ogni giorno di posti di lavoro si “continui a discutere di altro”. Il governo appare a Bonanni “immobile”, e l’opposizione “dovrebbe essere più realistica, meno ideologica e populista”. Quanto alla offerta di Marchionne di discuter edi aumenti di stipendi, Bonanni dice: “Arriviamo al pieno utilizzo degli impianti in cambio non solo del salario di produttività, ma anche della ripartizione degli utili e, questione che reputo molto importante, si arrivi ad un livello alto di partecipazione delle decisioni aziendali”.
Bombassei spiega di condividere le osservazioni di Marchionne, dice che la competitività non è solo questione di costo del lavoro “ma anche di costi dell’energia, di fisco, di infrastrutture”. E “purtroppo tutte queste voci vedono l’Italia soccombere al cospetto di altri Paesi”. “Può darsi che in quelle parole ci fosse un po’ di provocazione”, ma “le cose dette sono drammaticamente vere: sul fronte della competitività e della competitività siamo in fondo alle classifiche”.
Massimo Mucchetti scrive che Marchionne ha speso sull’Italia parole di verità che “non vorremmo leggere come prologo di un addio”. “Se si limita a citare la triste posizione dell’Italia nelle classifiche sulla competitività industriale, ma non spiega come mai con le sue medie e piccole imprese sia la seconda potenza esportatrice d’Europa, Marchionne finirà col dare fiato a chi lo sospetta di manovrare perdite e profitti Paese per Paese, allo scopo di contrattare al meglio aiuti pubblici e sconti sindacali”. “Che cosa ha inventato di grande in ques’ultimo lustro la Fiat?”, chiede Mucchetti. O “come intende cambiare stabilimento per stabilimento, e con quale spesa, l’obsoleta struttura produttiva italiana?”. Secondo Mucchetti “la Fiat non sta investendo al ritmo promesso”: Marchionne dovrebbe “rispondere ai sindacati moderati che gli hanno firmato una cambiale in bianco rischiando la propria reputazione”. E si chiede: perché non istituzionalizzare la collaborazione sfidando Fim, Fiom e Uilm, ma anche le altre grandi imprese private e pubbliche, sul terreno ambizioso della codecisione? Il modello è la Germania, dove il governo taglia la spesa pubblica, ma fa politica industriale e conserva “il ruolo centrale stabilizzatore del sindacato; e poi, quando torna il bello, ripaga”.
Del modello tedesco (“Così lavorano le tute blu in Germania”) parla La Stampa in focus a pagina 5. Rievoca il caso di Wolfgang Bernhard, che fece capire di voler ristrutturare in profondità la Mercedes perdendo l’appoggio dei sindacati interni e, con esso, il posto di nuovo amministratore delegato. Il caso di Bernhard illustra bene il potere che nel sistema tedesco possono avere i dipendenti, e che si basa tutto sulla parola Mitbestimmung, cogestione. Consente ai dipendenti di influenzare l’organizzazione dei processi lavorativi e, nelle società più grandi, di intervenire direttamente nelle decisioni aziendali grazie al consiglio di sorveglianza, in cui i rappresentanti dei lavoratori siedono insieme a quelli degli altri azionisti. Altro cardine del sistema tedesco è la Tarifautonomie: sono le imprese e i sindacati a concordare stipendi e salari, non lo Stato. Le parti sociali stipulano contratti collettivi a livello regionale validi per un intero macrosettore. All’interno di questo macrosettore un ingegnere specializzato ha una busta paga mensile base pari a circa 4721 in Baden Wuttemberg, e di 4450 in Baviera. Un lavoratore semplice, invece, incassa circa 1874 Euro in entrambi i Lander. I sindacati possono convocare uno “sciopero di avvertimento” se c’è stallo nelle trattativa per il rinnovo dei contratti. Se i contatti falliscono viene organizzato un vero e proprio sciopero, ma solo se il 75 per cento degli iscritti si dichiara a favore. Gli scioperi politici sono vietati per legge, lo sciopero generale è praticamente sconosciuto.

Politica

La Repubblica dà conto della posizione espressa da Italo Bocchino, esponente di punta di Futuro e Libertà, secondo cui il governo tecnico è possibile e legittimo “nell’interesse del Paese, se la situazione precipita. Ci sono i numeri per farlo”. Parla di un “governo di legittimazione parlamentare”. Il quotidiano intervista Dario Franceschini, capogruppo del Pd alla Camera, che ha appena chiuso il seminario della sua Area Democratica: “Dobbiamo avere il coraggio di guardare ad alleanze più ampie”, “la coalizione più facile, ossia Pd, Idv e Sel è poco sopra il 35 per cento”. Per Franceschini “il terzo polo di fatto esiste già”, è necessario “chiudere la stagione del berlusconismo e preparare il Paese a una alternanza di governo che avviene tra avversari rispettosi di un sistema di regole condiviso”. L’alleanza sarebbe limitata alla riforma elettorale? “No. Dovrebbe formarsi una sorta di ‘governo delle regole’.
L’Unità intervista Rocco Buttiglione, presidente dell’Udc: “La Costituzione, l’unica vigente, dice che il capo del governo ha la maggioranza in Parlamento: se la perde, il governo si disfa e se ne fa uno nuovo sempre in Parlamento. Il presidente della Repubblica ha non il diritto ma il dovere di accertare se ci sono nuove maggioranze”. Buttiglione dice che con Futuro e Libertà c’è una “convergenza e una elevata possibilità che in caso di elezioni a breve si vada a costituire insieme una terza posizione: un’area di responsabilità nazionale si sta delineando, c’è un blocco elettorale del 15-25 per cento che non è né di destra né di sinistra”. Lei vede un posto per il Pd in questo quadro? Risponde Buttiglione: un’alleanza con il Pd su posizioni riformiste cambierebbe scenario, potrebbe porsi l’ambizione di governare.
Il Corriere della Sera intervista il ministro e coordinatore del Pdl Bondi, secondo cui resta illegittimo un esecutivo non guidato da Berlusconi.
Su Il Giornale: “Governo tecnico? La truffa dei vinti”. Per il quotidiano “Fini, Casini e D’Alema vogliono rovesciare Berlusconi perché sanno che andando al voto sarebbero sconfitti”. Si tratta di una “consorteria di interessi mai legittimata dagli italiani”.

Esteri

Dopo le rivelazioni di Wikileaks sulla guerra in Iraq, il vicepremier britannico LibDem Nick Clegg ha affermato che si tratta di “accuse estremamente serie”, e chiede agli Usa di rispondere. Una richiesta – sottolinea La Repubblica – che chiama in causa implicitamente anche il Regno Unito, alleato numero 1 degli Usa. L’intervento di Clegg appare significativo perché prende le distanze dalla reazione ufficiale del proprio governo, che ha condannato la diffusione dei dati ed ha minimizzato l’importanza delle rivelazioni, segnalando al contempo che, svelando l’identità di militari americani e britannici, se ne mette a rischio l’incolumità. Clegg e il suo partito erano però sempre stati contrari alla guerra in Iraq.
Se ne occupa anche L’Unità, riferendo ancora le parole di Clegg: “Tutto lascia pensare che le regole di base della guerra siano state violate e che la tortura sia stata tollerata”.
Il Corriere della Sera sottolinea che le dichiarazioni di Clegg potrebbero avere ripercussioni all’interno del governo di cui è vicepremier.
La Repubblica riproduce un articolo del New York Times, in cui due giornalisti che hanno incontrato il fondatore di Wikileaks Assange, raccontano la sua vita da “braccato”, che teme le agenzie di intelligence occidentali. Ormai non sono soltanto i governi a denunciarlo, scrive il quotidiano. Alcuni dei suoi stessi colleghi lo stanno abbandonando perché sembra avere poca consapevolezza che i segreti digitali che rivela possono costare molto cari in termini di vite umane.
La Stampa riproduce uno tra i 40 mila files segreti resi pubblici da Wikileaks e riprodotto domenica sull’Observer. E’ quello che ricostruisce istante per istante cosa accadde in Iraq il 17 ottobre 2006, nel corso di un “giorno ordinario di guerra”. Alla fine della giornata i morti sono 146.
Il Giornale approfondisce le notizie date dal New York Times, secondo cui l’Iran avrebbe ampiamente finanziato l’Afghanistan del presidente Hamid Karzai, per promuovere gli interessi di Teheran a Kabul. Obiettivo di Teheran sarebbe creare una frattura tra i vertici afghani e gli alleati americani e Nato. Milioni di dollari che il governo di Kabul utilizzerebbe per pagare deputati, capi tribù e comandanti talebani nell’intento di assicurarsene la fedeltà. Un analista pakistano, intervistato dal britannico Telegraph, Yusuf Zai, dice che l’Iran sta lavorando su più fronti: da una parte finanzia i talebani, dall’altra i vertici di Kabul, poiché “non possono permettersi di avere l’America forte su due confini”:
La Stampa dedica una intera pagina alla conversione all’islam della cognata di Tony Blair, Lauren Boot. L’ispirazione le sarebbe venuta durante una visita alla moschea di Fatima, in Iran. Lavora per PressTv, l’emittente iraniana in lingua inglese.
Mario Pirani, su La Repubblica, sottolinea come sia stato pressoché ignorata la gravità delle dichiarazioni del presidente iraniano Ahmadinejad all’estremo Sud del Libano, “a due passi dal confine israeliano”. Fa notare che a lanciare l’allarme è stato il quotidiano francese Le Monde, non sempre compiacente con Israele: “Immaginiamo per un istante -ha scritto Le Monde- che un presidente in carica in qualche altro Paese del mondo, vada alla frontiera di uno Stato straniero” e “inciti pubblicamente alla sparizione di questo Stato (non di un governo, ma dello Stato!)”. Vi sarebbe una immediata levata di scudi, raccolta dal Consiglio di sicurezza Onu, sottolinea Le Monde. Alla luce di queste considerazioni, Pirani critica un documento del dipartimento internazionale della Cgil e, soprattutto, una raccolta di firme avallata e diffusa dalla Fiom in cui si chiede conto al Pd dell’adesione di alcuni suoi parlamentari ad una manifestazione pro-Israele e si intima al Pd di chiarire la propria posizione sulla questione israelo-palestinese.
Il Corriere dà conto del vertice a Vienna di molte formazioni europee di destra (dall’Fpo austriaco al Vlaams Belang fiammingo belga, al Dansk Folkeparti danese), intenzionate ad ottenere un referendum in tutta Europa su un eventuale ingresso della Turchia nell’Ue.

E poi

Su La Repubblica Ilvo Diamanti commenta i dati emersi da un’indagine Demos-Coop sull’informazione in Italia, che il quotidiano sintetizza così: “Tg 1 e Rg 5, fiducia a picco. Ma la fame di tv-verità spinge Ballarò e Annozero”. Leggendo nel dettaglio i dati: il 53 % degli interpellati ha fiducia in Ballarò; al secondo posto c’è Report, con il 48,4%; al terzo Anozero 46 %, al quarto Matrix con il 43%; Porta a Porta 40% e via di seguito. Sui tg: alla domanda “quanta fiducia ha nei seguenti notiziari?”, in testa restano i Tg3 regionali (72%), quindi Tg3 (64%). In questi due casi non ci sono state variazioni negli ultimi anni, nel gradimento. Si arriva poi al Tg2: 53,4%, ovvero un calo del -9.2 tra il 2007 e il 2010. Tg1: 53,2%, ovvero -15,8 per cento in meno tra il 2007 e il 2010; Tg5 sta al 48,6%, ovvero -10,7. Sale invece la fiducia in Rainews24 (+17,6%), nel tg di Sky (+13,7%) e nel Tg La7 (+11,5%).

(Fonte: RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)


Le aperture

IL Corriere della Sera: “L’Italia un peso per la Fiat”. Le parole di Sergio Marchionne, che ha spiegato che i due miliardi di utile della Fiat “vengono solo dall’estero”, sono sui titoli di apertura di tutti i quotidiani. “Il manager: al 118° posto per efficienza del lavoro. La Fiom: parla da straniero”. “Domande senza risposta” è il titolo del commento di Massimo Mucchetti. L’apertura del quotidiano milanese è però dedicata alla politica: “Il Pdl avverte Fini: non c’è altro governo. Micciché lancia a Palermo ‘Forza del Sud’. Bersani: ritirate il Lodo e dialogo sull’economia”. L’editoriale, firmato da Aldo Cazzullo, è titolato: “I divorziandi della libertà”. A centro pagina i rifiuti in Campania: “I sindaci non firmano. Bertolaso: lo Stato va avanti. Il capo della protezione civile promette di pulire Napoli in pochi giorni”. In evidenza anche la vignetta di Giannelli, con un Berlusconi vestito da poliziotto che – su un cumulo di rifiuti – dice: “E’ tutto sotto controllo”.

La Repubblica: “Fiat, la sfida di Marchionne. Il manager: su due miliardi di utili neanche un euro viene dagli impianti nazionali. ‘Senza l’Italia faremmo meglio’. Epifani accusa: se ne vogliono andare”. E anche: “Calderoli replica: ‘Si ricordi gli aiuti che hanno avuto'”. A centro pagina: “Rivolta dei sindaci: ‘No al piano rifiuti’. Caos a Terzigno, Bertolaso: ‘Non torno indietro'”. In prima pagina anche la politica: “Il Pd e i finiani: pronti a un governo con l’Udc di Casini. Via libera di Franceschini e Bocchino”.

Il Giornale: “Anche Tremonti nel tritacarne Rai”. Si parla del “solito Report”, che ieri dedicava la sua puntata al ministro dell’economia: “Dopo le ville di Antigua di Berlusconi, ecco le parcelle del ministro: la Gabanelli colpisce ancora e come sempre lo fa a senso unico. E la Rai non dice una parola, se non per annunciare l’ennesimo aumento di canone”. Una foto a centro pagina per Marchionne, sotto il titolo: “Senza l’Italia la Fiat andrebbe meglio”. Sotto, i rifiuti: “Il vaffa di Bertolaso ai sindaci. Salta l’accordo sulla discarica. ‘Avanti da soli, puliremo tutto in 4 giorni'”. Di spalla anche un richiamo per il congresso di Sinistra Ecologia e Libertà: “Nichi, oh bello ciao, già sorpassato dalla storia”:

L’Unità: “Al miracolo di Terzigno. La promessa di Berlusconi: risolvo tutti in dieci giorni”. Il quotidiano descrive il “muro contro muro” con gli amministratori dei comuni interessati. E poi: “sfilano anche i medici. I camici bianchi in piazza per denunciare il disastro ambientale. Un inferno che ci costa 11,4 miliardi”.

La Stampa: “Il pugno duro di Bertolaso: ‘Napoli pulita in 3 giorni’. ‘La nuova discarica rinviata alle calende greche’. Ma a Terzigno è sempre muro contro muro. No dei sindaci al piano del governo. Il sottosegretario: avanti lo stesso”. A centro pagina: “Se tagliassimo l’Italia la Fiat farebbe meglio”. “L’ad del Lingotto: pronto ad aumentare i salari. Marchionne: qui nessun utile”. In prima anche un richiamo sul Lodo Alfano, sul quale “Fini pensa all’astensione”.

Il Sole 24 Ore si occupa di piccole imprese: “Rischio valute per le Pmi. Le tensioni sui cambi e lo scontro tra Cina e Stati Uniti producono effetti rilevanti su export e competitività. Dai contratti in euro ai gruppi di acquisto, le contromosse delle aziende”.

Marchionne

Il Corriere della Sera intervista il segretario della Cisl Raffaele Bonanni e il vicepresidente di Confindustria Alberto Bombassei. Per Bonanni, che non è rimasto sorpreso dalle parole di Marchionne, “occorre vedere insieme come si può arrivare ad un itilizzo intensivo degli impianti adeguandoci a ciò che avviene in altri Paesi europei. Sappiamo tutti che le vere difficoltà stanno lì più che nel costo del lavoro. E di questo che dobbiamo parlare”. A patto, però, che si faccia “alla luce del sole”, perché “è assurdo” che di fronte alla perdita ogni giorno di posti di lavoro si “continui a discutere di altro”. Il governo appare a Bonanni “immobile”, e l’opposizione “dovrebbe essere più realistica, meno ideologica e populista”. Quanto alla offerta di Marchionne di discuter edi aumenti di stipendi, Bonanni dice: “Arriviamo al pieno utilizzo degli mpianti in cambio non solo del salario di produttività, ma anche della ripartizione degli utili e, questione che reputo molto importante, si arrivi ad un livello alto di partecipazione delle decisioni aziendali”.
Bombassei spiega di condividere le osservazioni di Marchionne, dice che la competitività non è solo questione di costo del lavoro “ma anche di costi dell’energia, di fisco, di infrastrutture”. E “purtroppo tutte queste voci vedono l’Italia soccombere al cospetto di altri Paesi”. “Può darsi che in quelle parole ci fosse un po’ di provocazione”, ma “le cose dette sono drammaticamente vere: sul fronte della competitività e della competitività siamo in fondo alle classifiche”.
Massimo Mucchetti scrive che Marchionne ha speso sull’Italia parole di verità che “non vorremmo leggere come prologo di un addio”. “Se si limita a citare la triste posizione dell’Italia nelle classifiche sulla competitività industriale, ma non spiega come mai con le sue medie e piccole imprese sia la seconda potenza esportatrice d’Europa, Marchionne finirà col dare fiato a chi lo sospetta di manovrare perdite e profitti Paese per Paese, allo scopo di contrattare al meglio aiuti pubblici e sconti sindacali”. “Che cosa ha inventato di grande in ques’ultimo lustro la Fiat?”, chiede Mucchetti. O “come intende cambiare stabilimento per stabilimento, e con quale spesa, l’obsoleta struttura produttiva italiana?”. Secondo Mucchetti “la Fiat non sta investendo al ritmo promesso”: Marchionne dovrebbe “rispondere ai sindacati moderati che gli hanno firmato una cambiale in bianco rischiando la propria reputazione”. E si chiede: perché non istituzionalizzare la collaborazione sfidando Fim, Fiom e Uilm, ma anche le altre grandi imprese private e pubbliche, sul terreno ambizioso della codecisione? Il modello è la Germania, dove il governo taglia la spesa pubblica, ma fa politica industriale e conserva “il ruolo centrale stabilizzatore del sindacato; e poi, quando torna il bello, ripaga”.
Del modello tedesco (“Così lavorano le tute blu in Germania”) parla La Stampa in focus a pagina 5. Rievoca il caso di Wolfgang Bernhard, che fece capire di voler ristrutturare in profondità la Mercedes perdendo l’appoggio dei sindacati interni e, con esso, il posto di nuovo amministratore delegato. Il caso di Bernhard illustra bene il potere che nel sistema tedesco possono avere i dipendenti, e che si basa tutto sulla parola Mitbestimmung, cogestione. Consente ai dipendenti di influenzare l’organizzazione dei processi lavorativi e, nelle società più grandi, di intervenire direttamente nelle decisioni aziendali grazie al consiglio di sorveglianza, in cui i rappresentanti dei lavoratori siedono insieme a quelli degli altri azionisti. Altro cardine del sistema tedesco è la Tarifautonomie: sono le imprese e i sindacati a concordare stipendi e salari, non lo Stato. Le parti sociali stipulano contratti collettivi a livello regionale validi per un intero macrosettore. All’interno di questo macrosettore un ingegnere specializzato ha una busta paga mensile base pari a circa 4721 in Baden Wuttemberg, e di 4450 in Baviera. Un lavoratore semplice, invece, incassa circa 1874 Euro in entrambi i Lander. I sindacati possono convocare uno “sciopero di avvertimento” se c’è stallo nelle trattativa per il rinnovo dei contratti. Se i contatti falliscono viene organizzato un vero e proprio sciopero, ma solo se il 75 per cento degli iscritti si dichiara a favore. Gli scioperi politici sono vietati per legge, lo sciopero generale è praticamente sconosciuto.

Politica

La Repubblica dà conto della posizione espressa da Italo Bocchino, esponente di punta di Futuro e Libertà, secondo cui il governo tecnico è possibile e legittimo “nell’interesse del Paese, se la situazione precipita. Ci sono i numeri per farlo”. Parla di un “governo di legittimazione parlamentare”. Il quotidiano intervista Dario Franceschini, capogruppo del Pd alla Camera, che ha appena chiuso il seminario della sua Area Democratica: “Dobbiamo avere il coraggio di guardare ad alleanze più ampie”, “la coalizione più facile, ossia Pd, Idv e Sel è poco sopra il 35 per cento”. Per Franceschini “il terzo polo di fatto esiste già”, è necessario “chiudere la stagione del berlusconismo e preparare il Paese a una alternanza di governo che avviene tra avversari rispettosi di un sistema di regole condiviso”. L’alleanza sarebbe limitata alla riforma elettorale? “No. Dovrebbe formarsi una sorta di ‘governo delle regole’.
L’Unità intervista Rocco Buttiglione, presidente dell’Udc: “La Costituzione, l’unica vigente, dice che il capo del governo ha la maggioranza in Parlamento: se la perde, il governo si disfa e se ne fa uno nuovo sempre in Parlamento. Il presidente della Repubblica ha non il diritto ma il dovere di accertare se ci sono nuove maggioranze”. Buttiglione dice che con Futuro e Libertà c’è una “convergenza e una elevata possibilità che in caso di elezioni a breve si vada a costituire insieme una terza posizione: un’area di responsabilità nazionale si sta delineando, c’è un blocco elettorale del 15-25 per cento che non è né di destra né di sinistra”. Lei vede un posto per il Pd in questo quadro? Risponde Buttiglione: un’alleanza con il Pd su posizioni riformiste cambierebbe scenario, potrebbe porsi l’ambizione di governare.
Il Corriere della Sera intervista il ministro e coordinatore del Pdl Bondi, secondo cui resta illegittimo un esecutivo non guidato da Berlusconi.
Su Il Giornale: “Governo tecnico? La truffa dei vinti”. Per il quotidiano “Fini, Casini e D’Alema vogliono rovesciare Berlusconi perché sanno che andando al voto sarebbero sconfitti”. Si tratta di una “consorteria di interessi mai legittimata dagli italiani”.

Esteri

Dopo le rivelazioni di Wikileaks sulla guerra in Iraq, il vicepremier britannico LibDem Nick Clegg ha affermato che si tratta di “accuse estremamente serie”, e chiede agli Usa di rispondere. Una richiesta – sottolinea La Repubblica – che chiama in causa implicitamente anche il Regno Unito, alleato numero 1 degli Usa. L’intervento di Clegg appare significativo perché prende le distanze dalla reazione ufficiale del proprio governo, che ha condannato la diffusione dei dati ed ha minimizzato l’importanza delle rivelazioni, segnalando al contempo che, svelando l’identità di militari americani e britannici, se ne mette a rischio l’incolumità. Clegg e il suo partito erano però sempre stati contrari alla guerra in Iraq.
Se ne occupa anche L’Unità, riferendo ancora le parole di Clegg: “Tutto lascia pensare che le regole di base della guerra siano state violate e che la tortura sia stata tollerata”.
Il Corriere della Sera sottolinea che le dichiarazioni di Clegg potrebbero avere ripercussioni all’interno del governo di cui è vicepremier.
La Repubblica riproduce un articolo del New York Times, in cui due giornalisti che hanno incontrato il fondatore di Wikileaks Assange, raccontano la sua vita da “braccato”, che teme le agenzie di intelligence occidentali. Ormai non sono soltanto i governi a denunciarlo, scrive il quotidiano. Alcuni dei suoi stessi colleghi lo stanno abbandonando perché sembra avere poca consapevolezza che i segreti digitali che rivela possono costare molto cari in termini di vite umane.
La Stampa riproduce uno tra i 40 mila files segreti resi pubblici da Wikileaks e riprodotto domenica sull’Observer. E’ quello che ricostruisce istante per istante cosa accadde in Iraq il 17 ottobre 2006, nel corso di un “giorno ordinario di guerra”. Alla fine della giornata i morti sono 146.
Il Giornale approfondisce le notizie date dal New York Times, secondo cui l’Iran avrebbe ampiamente finanziato l’Afghanistan del presidente Hamid Karzai, per promuovere gli interessi di Teheran a Kabul. Obiettivo di Teheran sarebbe creare una frattura tra i vertici afghani e gli alleati americani e Nato. Milioni di dollari che il governo di Kabul utilizzerebbe per pagare deputati, capi tribù e comandanti talebani nell’intento di assicurarsene la fedeltà. Un analista pakistano, intervistato dal britannico Telegraph, Yusuf Zai, dice che l’Iran sta lavorando su più fronti: da una parte finanzia i talebani, dall’altra i vertici di Kabul, poiché “non possono permettersi di avere l’America forte su due confini”:
La Stampa dedica una intera pagina alla conversione all’islam della cognata di Tony Blair, Lauren Boot. L’ispirazione le sarebbe venuta durante una visita alla moschea di Fatima, in Iran. Lavora per PressTv, l’emittente iraniana in lingua inglese.
Mario Pirani, su La Repubblica, sottolinea come sia stato pressoché ignorata la gravità delle dichiarazioni del presidente iraniano Ahmadinejad all’estremo Sud del Libano, “a due passi dal confine israeliano”. Fa notare che a lanciare l’allarme è stato il quotidiano francese Le Monde, non sempre compiacente con Israele: “Immaginiamo per un istante -ha scritto Le Monde- che un presidente in carica in qualche altro Paese del mondo, vada alla frontiera di uno Stato straniero” e “inciti pubblicamente alla sparizione di questo Stato (non di un governo, ma dello Stato!)”. Vi sarebbe una immediata levata di scudi, raccolta dal Consiglio di sicurezza Onu, sottolinea Le Monde. Alla luce di queste considerazioni, Pirani critica un documento del dipartimento internazionale della Cgil e, soprattutto, una raccolta di firme avallata e diffusa dalla Fiom in cui si chiede conto al Pd dell’adesione di alcuni suoi parlamentari ad una manifestazione pro-Israele e si intima al Pd di chiarire la propria posizione sulla questione israelo-palestinese.
Il Corriere dà conto del vertice a Vienna di molte formazioni europee di destra (dall’Fpo austriaco al Vlaams Belang fiammingo belga, al Dansk Folkeparti danese), intenzionate ad ottenere un referendum in tutta Europa su un eventuale ingresso della Turchia nell’Ue.

E poi

Su La Repubblica Ilvo Diamanti commenta i dati emersi da un’indagine Demos-Coop sull’informazione in Italia, che il quotidiano sintetizza così: “Tg 1 e Rg 5, fiducia a picco. Ma la fame di tv-verità spinge Ballarò e Annozero”. Leggendo nel dettaglio i dati: il 53 % degli interpellati ha fiducia in Ballarò; al secondo posto c’è Report, con il 48,4%; al terzo Anozero 46 %, al quarto Matrix con il 43%; Porta a Porta 40% e via di seguito. Sui tg: alla domanda “quanta fiducia ha nei seguenti notiziari?”, in testa restano i Tg3 regionali (72%), quindi Tg3 (64%). In questi due casi non ci sono state variazioni negli ultimi anni, nel gradimento. Si arriva poi al Tg2: 53,4%, ovvero un calo del -9.2 tra il 2007 e il 2010. Tg1: 53,2%, ovvero -15,8 per cento in meno tra il 2007 e il 2010; Tg5 sta al 48,6%, ovvero -10,7. Sale invece la fiducia in Rainews24 (+17,6%), nel tg di Sky (+13,7%) e nel Tg La7 (+11,5%).
(Fonte: RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini


Le aperture

IL Corriere della Sera: “L’Italia un peso per la Fiat”. Le parole di Sergio Marchionne, che ha spiegato che i due miliardi di utile della Fiat “vengono solo dall’estero”, sono sui titoli di apertura di tutti i quotidiani. “Il manager: al 118° posto per efficienza del lavoro. La Fiom: parla da straniero”. “Domande senza risposta” è il titolo del commento di Massimo Mucchetti. L’apertura del quotidiano milanese è però dedicata alla politica: “Il Pdl avverte Fini: non c’è altro governo. Micciché lancia a Palermo ‘Forza del Sud’. Bersani: ritirate il Lodo e dialogo sull’economia”. L’editoriale, firmato da Aldo Cazzullo, è titolato: “I divorziandi della libertà”. A centro pagina i rifiuti in Campania: “I sindaci non firmano. Bertolaso: lo Stato va avanti. Il capo della protezione civile promette di pulire Napoli in pochi giorni”. In evidenza anche la vignetta di Giannelli, con un Berlusconi vestito da poliziotto che – su un cumulo di rifiuti – dice: “E’ tutto sotto controllo”.

La Repubblica: “Fiat, la sfida di Marchionne. Il manager: su due miliardi di utili neanche un euro viene dagli impianti nazionali. ‘Senza l’Italia faremmo meglio’. Epifani accusa: se ne vogliono andare”. E anche: “Calderoli replica: ‘Si ricordi gli aiuti che hanno avuto'”. A centro pagina: “Rivolta dei sindaci: ‘No al piano rifiuti’. Caos a Terzigno, Bertolaso: ‘Non torno indietro'”. In prima pagina anche la politica: “Il Pd e i finiani: pronti a un governo con l’Udc di Casini. Via libera di Franceschini e Bocchino”.

Il Giornale: “Anche Tremonti nel tritacarne Rai”. Si parla del “solito Report”, che ieri dedicava la sua puntata al ministro dell’economia: “Dopo le ville di Antigua di Berlusconi, ecco le parcelle del ministro: la Gabanelli colpisce ancora e come sempre lo fa a senso unico. E la Rai non dice una parola, se non per annunciare l’ennesimo aumento di canone”. Una foto a centro pagina per Marchionne, sotto il titolo: “Senza l’Italia la Fiat andrebbe meglio”. Sotto, i rifiuti: “Il vaffa di Bertolaso ai sindaci. Salta l’accordo sulla discarica. ‘Avanti da soli, puliremo tutto in 4 giorni'”. Di spalla anche un richiamo per il congresso di Sinistra Ecologia e Libertà: “Nichi, oh bello ciao, già sorpassato dalla storia”:

L’Unità: “Al miracolo di Terzigno. La promessa di Berlusconi: risolvo tutti in dieci giorni”. Il quotidiano descrive il “muro contro muro” con gli amministratori dei comuni interessati. E poi: “sfilano anche i medici. I camici bianchi in piazza per denunciare il disastro ambientale. Un inferno che ci costa 11,4 miliardi”.

La Stampa: “Il pugno duro di Bertolaso: ‘Napoli pulita in 3 giorni’. ‘La nuova discarica rinviata alle calende greche’. Ma a Terzigno è sempre muro contro muro. No dei sindaci al piano del governo. Il sottosegretario: avanti lo stesso”. A centro pagina: “Se tagliassimo l’Italia la Fiat farebbe meglio”. “L’ad del Lingotto: pronto ad aumentare i salari. Marchionne: qui nessun utile”. In prima anche un richiamo sul Lodo Alfano, sul quale “Fini pensa all’astensione”.

Il Sole 24 Ore si occupa di piccole imprese: “Rischio valute per le Pmi. Le tensioni sui cambi e lo scontro tra Cina e Stati Uniti producono effetti rilevanti su export e competitività. Dai contratti in euro ai gruppi di acquisto, le contromosse delle aziende”.

Marchionne

Il Corriere della Sera intervista il segretario della Cisl Raffaele Bonanni e il vicepresidente di Confindustria Alberto Bombassei. Per Bonanni, che non è rimasto sorpreso dalle parole di Marchionne, “occorre vedere insieme come si può arrivare ad un itilizzo intensivo degli impianti adeguandoci a ciò che avviene in altri Paesi europei. Sappiamo tutti che le vere difficoltà stanno lì più che nel costo del lavoro. E di questo che dobbiamo parlare”. A patto, però, che si faccia “alla luce del sole”, perché “è assurdo” che di fronte alla perdita ogni giorno di posti di lavoro si “continui a discutere di altro”. Il governo appare a Bonanni “immobile”, e l’opposizione “dovrebbe essere più realistica, meno ideologica e populista”. Quanto alla offerta di Marchionne di discuter edi aumenti di stipendi, Bonanni dice: “Arriviamo al pieno utilizzo degli mpianti in cambio non solo del salario di produttività, ma anche della ripartizione degli utili e, questione che reputo molto importante, si arrivi ad un livello alto di partecipazione delle decisioni aziendali”.
Bombassei spiega di condividere le osservazioni di Marchionne, dice che la competitività non è solo questione di costo del lavoro “ma anche di costi dell’energia, di fisco, di infrastrutture”. E “purtroppo tutte queste voci vedono l’Italia soccombere al cospetto di altri Paesi”. “Può darsi che in quelle parole ci fosse un po’ di provocazione”, ma “le cose dette sono drammaticamente vere: sul fronte della competitività e della competitività siamo in fondo alle classifiche”.
Massimo Mucchetti scrive che Marchionne ha speso sull’Italia parole di verità che “non vorremmo leggere come prologo di un addio”. “Se si limita a citare la triste posizione dell’Italia nelle classifiche sulla competitività industriale, ma non spiega come mai con le sue medie e piccole imprese sia la seconda potenza esportatrice d’Europa, Marchionne finirà col dare fiato a chi lo sospetta di manovrare perdite e profitti Paese per Paese, allo scopo di contrattare al meglio aiuti pubblici e sconti sindacali”. “Che cosa ha inventato di grande in ques’ultimo lustro la Fiat?”, chiede Mucchetti. O “come intende cambiare stabilimento per stabilimento, e con quale spesa, l’obsoleta struttura produttiva italiana?”. Secondo Mucchetti “la Fiat non sta investendo al ritmo promesso”: Marchionne dovrebbe “rispondere ai sindacati moderati che gli hanno firmato una cambiale in bianco rischiando la propria reputazione”. E si chiede: perché non istituzionalizzare la collaborazione sfidando Fim, Fiom e Uilm, ma anche le altre grandi imprese private e pubbliche, sul terreno ambizioso della codecisione? Il modello è la Germania, dove il governo taglia la spesa pubblica, ma fa politica industriale e conserva “il ruolo centrale stabilizzatore del sindacato; e poi, quando torna il bello, ripaga”.
Del modello tedesco (“Così lavorano le tute blu in Germania”) parla La Stampa in focus a pagina 5. Rievoca il caso di Wolfgang Bernhard, che fece capire di voler ristrutturare in profondità la Mercedes perdendo l’appoggio dei sindacati interni e, con esso, il posto di nuovo amministratore delegato. Il caso di Bernhard illustra bene il potere che nel sistema tedesco possono avere i dipendenti, e che si basa tutto sulla parola Mitbestimmung, cogestione. Consente ai dipendenti di influenzare l’organizzazione dei processi lavorativi e, nelle società più grandi, di intervenire direttamente nelle decisioni aziendali grazie al consiglio di sorveglianza, in cui i rappresentanti dei lavoratori siedono insieme a quelli degli altri azionisti. Altro cardine del sistema tedesco è la Tarifautonomie: sono le imprese e i sindacati a concordare stipendi e salari, non lo Stato. Le parti sociali stipulano contratti collettivi a livello regionale validi per un intero macrosettore. All’interno di questo macrosettore un ingegnere specializzato ha una busta paga mensile base pari a circa 4721 in Baden Wuttemberg, e di 4450 in Baviera. Un lavoratore semplice, invece, incassa circa 1874 Euro in entrambi i Lander. I sindacati possono convocare uno “sciopero di avvertimento” se c’è stallo nelle trattativa per il rinnovo dei contratti. Se i contatti falliscono viene organizzato un vero e proprio sciopero, ma solo se il 75 per cento degli iscritti si dichiara a favore. Gli scioperi politici sono vietati per legge, lo sciopero generale è praticamente sconosciuto.

Politica

La Repubblica dà conto della posizione espressa da Italo Bocchino, esponente di punta di Futuro e Libertà, secondo cui il governo tecnico è possibile e legittimo “nell’interesse del Paese, se la situazione precipita. Ci sono i numeri per farlo”. Parla di un “governo di legittimazione parlamentare”. Il quotidiano intervista Dario Franceschini, capogruppo del Pd alla Camera, che ha appena chiuso il seminario della sua Area Democratica: “Dobbiamo avere il coraggio di guardare ad alleanze più ampie”, “la coalizione più facile, ossia Pd, Idv e Sel è poco sopra il 35 per cento”. Per Franceschini “il terzo polo di fatto esiste già”, è necessario “chiudere la stagione del berlusconismo e preparare il Paese a una alternanza di governo che avviene tra avversari rispettosi di un sistema di regole condiviso”. L’alleanza sarebbe limitata alla riforma elettorale? “No. Dovrebbe formarsi una sorta di ‘governo delle regole’.
L’Unità intervista Rocco Buttiglione, presidente dell’Udc: “La Costituzione, l’unica vigente, dice che il capo del governo ha la maggioranza in Parlamento: se la perde, il governo si disfa e se ne fa uno nuovo sempre in Parlamento. Il presidente della Repubblica ha non il diritto ma il dovere di accertare se ci sono nuove maggioranze”. Buttiglione dice che con Futuro e Libertà c’è una “convergenza e una elevata possibilità che in caso di elezioni a breve si vada a costituire insieme una terza posizione: un’area di responsabilità nazionale si sta delineando, c’è un blocco elettorale del 15-25 per cento che non è né di destra né di sinistra”. Lei vede un posto per il Pd in questo quadro? Risponde Buttiglione: un’alleanza con il Pd su posizioni riformiste cambierebbe scenario, potrebbe porsi l’ambizione di governare.
Il Corriere della Sera intervista il ministro e coordinatore del Pdl Bondi, secondo cui resta illegittimo un esecutivo non guidato da Berlusconi.
Su Il Giornale: “Governo tecnico? La truffa dei vinti”. Per il quotidiano “Fini, Casini e D’Alema vogliono rovesciare Berlusconi perché sanno che andando al voto sarebbero sconfitti”. Si tratta di una “consorteria di interessi mai legittimata dagli italiani”.

Esteri

Dopo le rivelazioni di Wikileaks sulla guerra in Iraq, il vicepremier britannico LibDem Nick Clegg ha affermato che si tratta di “accuse estremamente serie”, e chiede agli Usa di rispondere. Una richiesta – sottolinea La Repubblica – che chiama in causa implicitamente anche il Regno Unito, alleato numero 1 degli Usa. L’intervento di Clegg appare significativo perché prende le distanze dalla reazione ufficiale del proprio governo, che ha condannato la diffusione dei dati ed ha minimizzato l’importanza delle rivelazioni, segnalando al contempo che, svelando l’identità di militari americani e britannici, se ne mette a rischio l’incolumità. Clegg e il suo partito erano però sempre stati contrari alla guerra in Iraq.
Se ne occupa anche L’Unità, riferendo ancora le parole di Clegg: “Tutto lascia pensare che le regole di base della guerra siano state violate e che la tortura sia stata tollerata”.
Il Corriere della Sera sottolinea che le dichiarazioni di Clegg potrebbero avere ripercussioni all’interno del governo di cui è vicepremier.
La Repubblica riproduce un articolo del New York Times, in cui due giornalisti che hanno incontrato il fondatore di Wikileaks Assange, raccontano la sua vita da “braccato”, che teme le agenzie di intelligence occidentali. Ormai non sono soltanto i governi a denunciarlo, scrive il quotidiano. Alcuni dei suoi stessi colleghi lo stanno abbandonando perché sembra avere poca consapevolezza che i segreti digitali che rivela possono costare molto cari in termini di vite umane.
La Stampa riproduce uno tra i 40 mila files segreti resi pubblici da Wikileaks e riprodotto domenica sull’Observer. E’ quello che ricostruisce istante per istante cosa accadde in Iraq il 17 ottobre 2006, nel corso di un “giorno ordinario di guerra”. Alla fine della giornata i morti sono 146.
Il Giornale approfondisce le notizie date dal New York Times, secondo cui l’Iran avrebbe ampiamente finanziato l’Afghanistan del presidente Hamid Karzai, per promuovere gli interessi di Teheran a Kabul. Obiettivo di Teheran sarebbe creare una frattura tra i vertici afghani e gli alleati americani e Nato. Milioni di dollari che il governo di Kabul utilizzerebbe per pagare deputati, capi tribù e comandanti talebani nell’intento di assicurarsene la fedeltà. Un analista pakistano, intervistato dal britannico Telegraph, Yusuf Zai, dice che l’Iran sta lavorando su più fronti: da una parte finanzia i talebani, dall’altra i vertici di Kabul, poiché “non possono permettersi di avere l’America forte su due confini”:
La Stampa dedica una intera pagina alla conversione all’islam della cognata di Tony Blair, Lauren Boot. L’ispirazione le sarebbe venuta durante una visita alla moschea di Fatima, in Iran. Lavora per PressTv, l’emittente iraniana in lingua inglese.
Mario Pirani, su La Repubblica, sottolinea come sia stato pressoché ignorata la gravità delle dichiarazioni del presidente iraniano Ahmadinejad all’estremo Sud del Libano, “a due passi dal confine israeliano”. Fa notare che a lanciare l’allarme è stato il quotidiano francese Le Monde, non sempre compiacente con Israele: “Immaginiamo per un istante -ha scritto Le Monde- che un presidente in carica in qualche altro Paese del mondo, vada alla frontiera di uno Stato straniero” e “inciti pubblicamente alla sparizione di questo Stato (non di un governo, ma dello Stato!)”. Vi sarebbe una immediata levata di scudi, raccolta dal Consiglio di sicurezza Onu, sottolinea Le Monde. Alla luce di queste considerazioni, Pirani critica un documento del dipartimento internazionale della Cgil e, soprattutto, una raccolta di firme avallata e diffusa dalla Fiom in cui si chiede conto al Pd dell’adesione di alcuni suoi parlamentari ad una manifestazione pro-Israele e si intima al Pd di chiarire la propria posizione sulla questione israelo-palestinese.
Il Corriere dà conto del vertice a Vienna di molte formazioni europee di destra (dall’Fpo austriaco al Vlaams Belang fiammingo belga, al Dansk Folkeparti danese), intenzionate ad ottenere un referendum in tutta Europa su un eventuale ingresso della Turchia nell’Ue.

E poi

Su La Repubblica Ilvo Diamanti commenta i dati emersi da un’indagine Demos-Coop sull’informazione in Italia, che il quotidiano sintetizza così: “Tg 1 e Rg 5, fiducia a picco. Ma la fame di tv-verità spinge Ballarò e Annozero”. Leggendo nel dettaglio i dati: il 53 % degli interpellati ha fiducia in Ballarò; al secondo posto c’è Report, con il 48,4%; al terzo Anozero 46 %, al quarto Matrix con il 43%; Porta a Porta 40% e via di seguito. Sui tg: alla domanda “quanta fiducia ha nei seguenti notiziari?”, in testa restano i Tg3 regionali (72%), quindi Tg3 (64%). In questi due casi non ci sono state variazioni negli ultimi anni, nel gradimento. Si arriva poi al Tg2: 53,4%, ovvero un calo del -9.2 tra il 2007 e il 2010. Tg1: 53,2%, ovvero -15,8 per cento in meno tra il 2007 e il 2010; Tg5 sta al 48,6%, ovvero -10,7. Sale invece la fiducia in Rainews24 (+17,6%), nel tg di Sky (+13,7%) e nel Tg La7 (+11,5%).
(RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini


Le aperture

IL Corriere della Sera: “L’Italia un peso per la Fiat”. Le parole di Sergio Marchionne, che ha spiegato che i due miliardi di utile della Fiat “vengono solo dall’estero”, sono sui titoli di apertura di tutti i quotidiani. “Il manager: al 118° posto per efficienza del lavoro. La Fiom: parla da straniero”. “Domande senza risposta” è il titolo del commento di Massimo Mucchetti. L’apertura del quotidiano milanese è però dedicata alla politica: “Il Pdl avverte Fini: non c’è altro governo. Micciché lancia a Palermo ‘Forza del Sud’. Bersani: ritirate il Lodo e dialogo sull’economia”. L’editoriale, firmato da Aldo Cazzullo, è titolato: “I divorziandi della libertà”. A centro pagina i rifiuti in Campania: “I sindaci non firmano. Bertolaso: lo Stato va avanti. Il capo della protezione civile promette di pulire Napoli in pochi giorni”. In evidenza anche la vignetta di Giannelli, con un Berlusconi vestito da poliziotto che – su un cumulo di rifiuti – dice: “E’ tutto sotto controllo”.

La Repubblica: “Fiat, la sfida di Marchionne. Il manager: su due miliardi di utili neanche un euro viene dagli impianti nazionali. ‘Senza l’Italia faremmo meglio’. Epifani accusa: se ne vogliono andare”. E anche: “Calderoli replica: ‘Si ricordi gli aiuti che hanno avuto'”. A centro pagina: “Rivolta dei sindaci: ‘No al piano rifiuti’. Caos a Terzigno, Bertolaso: ‘Non torno indietro'”. In prima pagina anche la politica: “Il Pd e i finiani: pronti a un governo con l’Udc di Casini. Via libera di Franceschini e Bocchino”.

Il Giornale: “Anche Tremonti nel tritacarne Rai”. Si parla del “solito Report”, che ieri dedicava la sua puntata al ministro dell’economia: “Dopo le ville di Antigua di Berlusconi, ecco le parcelle del ministro: la Gabanelli colpisce ancora e come sempre lo fa a senso unico. E la Rai non dice una parola, se non per annunciare l’ennesimo aumento di canone”. Una foto a centro pagina per Marchionne, sotto il titolo: “Senza l’Italia la Fiat andrebbe meglio”. Sotto, i rifiuti: “Il vaffa di Bertolaso ai sindaci. Salta l’accordo sulla discarica. ‘Avanti da soli, puliremo tutto in 4 giorni'”. Di spalla anche un richiamo per il congresso di Sinistra Ecologia e Libertà: “Nichi, oh bello ciao, già sorpassato dalla storia”:

L’Unità: “Al miracolo di Terzigno. La promessa di Berlusconi: risolvo tutti in dieci giorni”. Il quotidiano descrive il “muro contro muro” con gli amministratori dei comuni interessati. E poi: “sfilano anche i medici. I camici bianchi in piazza per denunciare il disastro ambientale. Un inferno che ci costa 11,4 miliardi”.

La Stampa: “Il pugno duro di Bertolaso: ‘Napoli pulita in 3 giorni’. ‘La nuova discarica rinviata alle calende greche’. Ma a Terzigno è sempre muro contro muro. No dei sindaci al piano del governo. Il sottosegretario: avanti lo stesso”. A centro pagina: “Se tagliassimo l’Italia la Fiat farebbe meglio”. “L’ad del Lingotto: pronto ad aumentare i salari. Marchionne: qui nessun utile”. In prima anche un richiamo sul Lodo Alfano, sul quale “Fini pensa all’astensione”.

Il Sole 24 Ore si occupa di piccole imprese: “Rischio valute per le Pmi. Le tensioni sui cambi e lo scontro tra Cina e Stati Uniti producono effetti rilevanti su export e competitività. Dai contratti in euro ai gruppi di acquisto, le contromosse delle aziende”.

Marchionne

Il Corriere della Sera intervista il segretario della Cisl Raffaele Bonanni e il vicepresidente di Confindustria Alberto Bombassei. Per Bonanni, che non è rimasto sorpreso dalle parole di Marchionne, “occorre vedere insieme come si può arrivare ad un itilizzo intensivo degli impianti adeguandoci a ciò che avviene in altri Paesi europei. Sappiamo tutti che le vere difficoltà stanno lì più che nel costo del lavoro. E di questo che dobbiamo parlare”. A patto, però, che si faccia “alla luce del sole”, perché “è assurdo” che di fronte alla perdita ogni giorno di posti di lavoro si “continui a discutere di altro”. Il governo appare a Bonanni “immobile”, e l’opposizione “dovrebbe essere più realistica, meno ideologica e populista”. Quanto alla offerta di Marchionne di discuter edi aumenti di stipendi, Bonanni dice: “Arriviamo al pieno utilizzo degli mpianti in cambio non solo del salario di produttività, ma anche della ripartizione degli utili e, questione che reputo molto importante, si arrivi ad un livello alto di partecipazione delle decisioni aziendali”.
Bombassei spiega di condividere le osservazioni di Marchionne, dice che la competitività non è solo questione di costo del lavoro “ma anche di costi dell’energia, di fisco, di infrastrutture”. E “purtroppo tutte queste voci vedono l’Italia soccombere al cospetto di altri Paesi”. “Può darsi che in quelle parole ci fosse un po’ di provocazione”, ma “le cose dette sono drammaticamente vere: sul fronte della competitività e della competitività siamo in fondo alle classifiche”.
Massimo Mucchetti scrive che Marchionne ha speso sull’Italia parole di verità che “non vorremmo leggere come prologo di un addio”. “Se si limita a citare la triste posizione dell’Italia nelle classifiche sulla competitività industriale, ma non spiega come mai con le sue medie e piccole imprese sia la seconda potenza esportatrice d’Europa, Marchionne finirà col dare fiato a chi lo sospetta di manovrare perdite e profitti Paese per Paese, allo scopo di contrattare al meglio aiuti pubblici e sconti sindacali”. “Che cosa ha inventato di grande in ques’ultimo lustro la Fiat?”, chiede Mucchetti. O “come intende cambiare stabilimento per stabilimento, e con quale spesa, l’obsoleta struttura produttiva italiana?”. Secondo Mucchetti “la Fiat non sta investendo al ritmo promesso”: Marchionne dovrebbe “rispondere ai sindacati moderati che gli hanno firmato una cambiale in bianco rischiando la propria reputazione”. E si chiede: perché non istituzionalizzare la collaborazione sfidando Fim, Fiom e Uilm, ma anche le altre grandi imprese private e pubbliche, sul terreno ambizioso della codecisione? Il modello è la Germania, dove il governo taglia la spesa pubblica, ma fa politica industriale e conserva “il ruolo centrale stabilizzatore del sindacato; e poi, quando torna il bello, ripaga”.
Del modello tedesco (“Così lavorano le tute blu in Germania”) parla La Stampa in focus a pagina 5. Rievoca il caso di Wolfgang Bernhard, che fece capire di voler ristrutturare in profondità la Mercedes perdendo l’appoggio dei sindacati interni e, con esso, il posto di nuovo amministratore delegato. Il caso di Bernhard illustra bene il potere che nel sistema tedesco possono avere i dipendenti, e che si basa tutto sulla parola Mitbestimmung, cogestione. Consente ai dipendenti di influenzare l’organizzazione dei processi lavorativi e, nelle società più grandi, di intervenire direttamente nelle decisioni aziendali grazie al consiglio di sorveglianza, in cui i rappresentanti dei lavoratori siedono insieme a quelli degli altri azionisti. Altro cardine del sistema tedesco è la Tarifautonomie: sono le imprese e i sindacati a concordare stipendi e salari, non lo Stato. Le parti sociali stipulano contratti collettivi a livello regionale validi per un intero macrosettore. All’interno di questo macrosettore un ingegnere specializzato ha una busta paga mensile base pari a circa 4721 in Baden Wuttemberg, e di 4450 in Baviera. Un lavoratore semplice, invece, incassa circa 1874 Euro in entrambi i Lander. I sindacati possono convocare uno “sciopero di avvertimento” se c’è stallo nelle trattativa per il rinnovo dei contratti. Se i contatti falliscono viene organizzato un vero e proprio sciopero, ma solo se il 75 per cento degli iscritti si dichiara a favore. Gli scioperi politici sono vietati per legge, lo sciopero generale è praticamente sconosciuto.

Politica

La Repubblica dà conto della posizione espressa da Italo Bocchino, esponente di punta di Futuro e Libertà, secondo cui il governo tecnico è possibile e legittimo “nell’interesse del Paese, se la situazione precipita. Ci sono i numeri per farlo”. Parla di un “governo di legittimazione parlamentare”. Il quotidiano intervista Dario Franceschini, capogruppo del Pd alla Camera, che ha appena chiuso il seminario della sua Area Democratica: “Dobbiamo avere il coraggio di guardare ad alleanze più ampie”, “la coalizione più facile, ossia Pd, Idv e Sel è poco sopra il 35 per cento”. Per Franceschini “il terzo polo di fatto esiste già”, è necessario “chiudere la stagione del berlusconismo e preparare il Paese a una alternanza di governo che avviene tra avversari rispettosi di un sistema di regole condiviso”. L’alleanza sarebbe limitata alla riforma elettorale? “No. Dovrebbe formarsi una sorta di ‘governo delle regole’.
L’Unità intervista Rocco Buttiglione, presidente dell’Udc: “La Costituzione, l’unica vigente, dice che il capo del governo ha la maggioranza in Parlamento: se la perde, il governo si disfa e se ne fa uno nuovo sempre in Parlamento. Il presidente della Repubblica ha non il diritto ma il dovere di accertare se ci sono nuove maggioranze”. Buttiglione dice che con Futuro e Libertà c’è una “convergenza e una elevata possibilità che in caso di elezioni a breve si vada a costituire insieme una terza posizione: un’area di responsabilità nazionale si sta delineando, c’è un blocco elettorale del 15-25 per cento che non è né di destra né di sinistra”. Lei vede un posto per il Pd in questo quadro? Risponde Buttiglione: un’alleanza con il Pd su posizioni riformiste cambierebbe scenario, potrebbe porsi l’ambizione di governare.
Il Corriere della Sera intervista il ministro e coordinatore del Pdl Bondi, secondo cui resta illegittimo un esecutivo non guidato da Berlusconi.
Su Il Giornale: “Governo tecnico? La truffa dei vinti”. Per il quotidiano “Fini, Casini e D’Alema vogliono rovesciare Berlusconi perché sanno che andando al voto sarebbero sconfitti”. Si tratta di una “consorteria di interessi mai legittimata dagli italiani”.

Esteri

Dopo le rivelazioni di Wikileaks sulla guerra in Iraq, il vicepremier britannico LibDem Nick Clegg ha affermato che si tratta di “accuse estremamente serie”, e chiede agli Usa di rispondere. Una richiesta – sottolinea La Repubblica – che chiama in causa implicitamente anche il Regno Unito, alleato numero 1 degli Usa. L’intervento di Clegg appare significativo perché prende le distanze dalla reazione ufficiale del proprio governo, che ha condannato la diffusione dei dati ed ha minimizzato l’importanza delle rivelazioni, segnalando al contempo che, svelando l’identità di militari americani e britannici, se ne mette a rischio l’incolumità. Clegg e il suo partito erano però sempre stati contrari alla guerra in Iraq.
Se ne occupa anche L’Unità, riferendo ancora le parole di Clegg: “Tutto lascia pensare che le regole di base della guerra siano state violate e che la tortura sia stata tollerata”.
Il Corriere della Sera sottolinea che le dichiarazioni di Clegg potrebbero avere ripercussioni all’interno del governo di cui è vicepremier.
La Repubblica riproduce un articolo del New York Times, in cui due giornalisti che hanno incontrato il fondatore di Wikileaks Assange, raccontano la sua vita da “braccato”, che teme le agenzie di intelligence occidentali. Ormai non sono soltanto i governi a denunciarlo, scrive il quotidiano. Alcuni dei suoi stessi colleghi lo stanno abbandonando perché sembra avere poca consapevolezza che i segreti digitali che rivela possono costare molto cari in termini di vite umane.
La Stampa riproduce uno tra i 40 mila files segreti resi pubblici da Wikileaks e riprodotto domenica sull’Observer. E’ quello che ricostruisce istante per istante cosa accadde in Iraq il 17 ottobre 2006, nel corso di un “giorno ordinario di guerra”. Alla fine della giornata i morti sono 146.
Il Giornale approfondisce le notizie date dal New York Times, secondo cui l’Iran avrebbe ampiamente finanziato l’Afghanistan del presidente Hamid Karzai, per promuovere gli interessi di Teheran a Kabul. Obiettivo di Teheran sarebbe creare una frattura tra i vertici afghani e gli alleati americani e Nato. Milioni di dollari che il governo di Kabul utilizzerebbe per pagare deputati, capi tribù e comandanti talebani nell’intento di assicurarsene la fedeltà. Un analista pakistano, intervistato dal britannico Telegraph, Yusuf Zai, dice che l’Iran sta lavorando su più fronti: da una parte finanzia i talebani, dall’altra i vertici di Kabul, poiché “non possono permettersi di avere l’America forte su due confini”:
La Stampa dedica una intera pagina alla conversione all’islam della cognata di Tony Blair, Lauren Boot. L’ispirazione le sarebbe venuta durante una visita alla moschea di Fatima, in Iran. Lavora per PressTv, l’emittente iraniana in lingua inglese.
Mario Pirani, su La Repubblica, sottolinea come sia stato pressoché ignorata la gravità delle dichiarazioni del presidente iraniano Ahmadinejad all’estremo Sud del Libano, “a due passi dal confine israeliano”. Fa notare che a lanciare l’allarme è stato il quotidiano francese Le Monde, non sempre compiacente con Israele: “Immaginiamo per un istante -ha scritto Le Monde- che un presidente in carica in qualche altro Paese del mondo, vada alla frontiera di uno Stato straniero” e “inciti pubblicamente alla sparizione di questo Stato (non di un governo, ma dello Stato!)”. Vi sarebbe una immediata levata di scudi, raccolta dal Consiglio di sicurezza Onu, sottolinea Le Monde. Alla luce di queste considerazioni, Pirani critica un documento del dipartimento internazionale della Cgil e, soprattutto, una raccolta di firme avallata e diffusa dalla Fiom in cui si chiede conto al Pd dell’adesione di alcuni suoi parlamentari ad una manifestazione pro-Israele e si intima al Pd di chiarire la propria posizione sulla questione israelo-palestinese.
Il Corriere dà conto del vertice a Vienna di molte formazioni europee di destra (dall’Fpo austriaco al Vlaams Belang fiammingo belga, al Dansk Folkeparti danese), intenzionate ad ottenere un referendum in tutta Europa su un eventuale ingresso della Turchia nell’Ue.

E poi

Su La Repubblica Ilvo Diamanti commenta i dati emersi da un’indagine Demos-Coop sull’informazione in Italia, che il quotidiano sintetizza così: “Tg 1 e Rg 5, fiducia a picco. Ma la fame di tv-verità spinge Ballarò e Annozero”. Leggendo nel dettaglio i dati: il 53 % degli interpellati ha fiducia in Ballarò; al secondo posto c’è Report, con il 48,4%; al terzo Anozero 46 %, al quarto Matrix con il 43%; Porta a Porta 40% e via di seguito. Sui tg: alla domanda “quanta fiducia ha nei seguenti notiziari?”, in testa restano i Tg3 regionali (72%), quindi Tg3 (64%). In questi due casi non ci sono state variazioni negli ultimi anni, nel gradimento. Si arriva poi al Tg2: 53,4%, ovvero un calo del -9.2 tra il 2007 e il 2010. Tg1: 53,2%, ovvero -15,8 per cento in meno tra il 2007 e il 2010; Tg5 sta al 48,6%, ovvero -10,7. Sale invece la fiducia in Rainews24 (+17,6%), nel tg di Sky (+13,7%) e nel Tg La7 (+11,5%).