Outplacement per un inserimento ottimale nel mondo del no profit

Pubblicato il 11 Novembre 2015 in

” L’Associazione Nestore è una APS (Associazione di Promozione Sociale) nata nel 1998 a Milano per tentare una risposta al problema rappresentato dalla massiccia fuoruscita dei lavoratori e dai prepensionamenti generati dalla crisi economica degli anni ’90. I primi destinatari della nostra azione sono stati i pensionandi e i neo pensionati dai 50 anni in su, in quanto appartenenti a una fascia “fragile” della popolazione perché esposti ai bruschi e repentini cambiamenti derivanti dalla perdita del lavoro, con tutto quanto ne consegue.

Da allora nel DNA dell’Associazione Nestore vi è sempre stata la vocazione sociale a tracciare ponti per aiutare gli individui nei percorsi di transizione: la “transizione dal lavoro al pensionamento” è stata la nostra idea forza fin dall’inizio, simbolicamente rappresentata dalla metafora del ponte, che ci accompagna tuttora, ed è stata perseguita senza scopo di lucro, attraverso attività formative, culturali e di sensibilizzazione, lavorando con iniziative pilota rivolte prevalentemente agli individui.

La nostra concezione del pensionamento, più che un momento preciso e una scadenza in calendario, è, ed è sempre stata quella di un lungo percorso che inizia già qualche anno prima della data stabilita e non termina quando scatta il momento fatidico, ma sovente continua per anni e comporta una serie di discontinuità: nel ritmo… negli ambienti… negli interlocutori… nell’attività… nel reddito… nell’alimentazione… nel prestigio… negli interessi… nella salute, ecc., generando disorientamento, sofferenza e una indubbia necessità di adattamento e ricerca di nuovi equilibri, nuove strade e prospettive. Questi cambiamenti sono di tale rilevanza, da non poter essere trascurati e evidenziano l’importanza e la necessità di un aiuto a livello personale e di una governance a livello collettivo, per salvaguardare un patrimonio di grande rilevanza sociale che non è possibile disperdere o lasciar perdere (le esperienze e competenze dei lavoratori uscenti).

Unknown-2Nel corso degli anni l’evoluzione della realtà sociale, economica, sindacale, e del sistema di relazioni che ad essa si collegano, ci ha messo di fronte alla crescente rilevanza di altre variabili e alla necessità di occuparci di altre transizioni che hanno reso più complessa la nostra mission. Oltre alla transizione dal lavoro al pensionamento, si è accompagnata quella dal pensionamento all’invecchiamento attivo, quindi all’orientamento al volontariato.

Con il progressivo allungamento dell’età media della nostra popolazione di riferimento e lo spostamento in avanti dell’età di pensionamento, ci occupiamo da qualche anno anche del percorso verso l’invecchiamento tout court e della solidarietà fra le generazioni, muovendoci in un contesto sempre più affollato in continua evoluzione e in una società crescentemente pluralistica e globale quale è quella odierna.

Questa complessità e le crescenti variabili da affrontare, non ci hanno però distratto dalla nostra vocazione originaria e dalla nostra competenza distintiva, e cioè quella di preparare le persone a traghettare verso una nuova vita, con nuove prospettive, valorizzando le loro potenzialità, esperienze e competenze attraverso la ricerca di nuovi sbocchi per il futuro. Abbiamo lavorato per anni in uno scenario quasi desertico, perché quando siamo nati noi, e per molti anni dopo, non è mai stata data attenzione a questo grande problema e a queste criticità, né da parte delle istituzioni, né da parte del sindacato, né da parte delle imprese, che, salvo lodevoli eccezioni, hanno a lungo rifiutato qualsiasi investimento su una popolazione a perdere.

Riflettiamo però sul fatto che, se è vero che il ricambio generazionale permette maggiore flessibilità e rapidità di adattamento (e un minor costo nel processo produttivo), non è bene comunque che esso avvenga a scapito della perdita di valide esperienze e competenze specifiche, e delle reti relazionali costruite dal lavoratore adulto. Ciò che ha fatto l’Associazione Nestore in 18 anni di tenace perseguimento di questi obiettivi, nel bene e nel male, è una goccia in un oceano, ma conserva comunque il suo valore sperimentale.

 Nei nostri lunghi anni di attività, la nostra maggiore difficoltà è stata quella di poter instaurare un dialogo a livello istituzionale collettivo, sia pubblico sia privato. Anche se i destinatari delle attività di Nestore sono stati fin dall’inizio i lavoratori in età di pensione (pensionandi e neo pensionati) uscenti dalle aziende, il nostro dialogo è rimasto quasi sempre a livello individuale, senza riuscire a coinvolgere le imprese e le direzioni del personale in un progetto comune. Questa situazione ha ridotto e limitato l’impatto e la diffusione delle nostre attività, ispirate essenzialmente a una cultura del pensionamento che non aveva radici nel nostro Paese. Senza assolverci dai nostri limiti e dai nostri errori, le nostre iniziative, portate avanti con la passione e la dedizione dei volontari che spesso fanno propri gli obiettivi che l’organizzazione persegue, (ci è stato detto più di una volta da amici e concorrenti che realizziamo le nostre attività “buttando il cuore oltre l’ostacolo”) si sono scontrate con un contesto assai poco ricettivo, soprattutto per ragioni storiche e di sistema , che hanno in realtà ritardato per quasi vent’anni l’adeguamento della cultura e del welfare del nostro Paese alla situazione europea.

imagesA differenza di altri Paesi, in Italia si è perpetuata a lungo una concezione del pensionamento come scadenza precisa in calendario, come problema giuridico, economico e sindacale, mai come problema sociale che riguardasse il benessere delle persone, i loro bisogni immateriali e la loro dignità in quanto appartenenti alla società civile nella quale volevano e vogliono sentirsi integrati. L’attenzione ai problemi di questa fascia critica e “fragile”, e al patrimonio di esperienze e competenze da loro rappresentato, è stata viceversa un principio condiviso socialmente in altri Paesi europei, che ha portato a soluzioni istituzionali fin dagli anni ’60 del secolo scorso.

In alcuni di essi, industrialmente evoluti quali Inghilterra, Olanda, Germania, Francia, Belgio, la “pre-retirement education” si è espressa tramite esperienze concrete di collaborazione fra le aziende e le altre forze sociali (Stato e sindacato) in una triangolazione proficua che si è fatta carico dei problemi che l’individuo deve affrontare uscendo dal mondo del lavoro (nuovo ruolo sociale, impiego del tempo liberato, nuove condizioni economiche, ecc.) consentendo e favorendo fin da allora in alcuni Paesi (l’Inghilterra in primis), lo sviluppo di una nuova branca della gestione delle risorse umane: la Age Related human Resource Management, di cui in Italia si è sentito parlare con grande ritardo, solo da pochissimi anni.

Mi fa piacere ricordare in questo senso il Progetto “Age Management in Milan” realizzato poco più di un anno fa dalla Fondazione ISTUD con il finanziamento della Provincia di Milano in partenariato con Assolombarda, e il Convegno di presentazione dei risultati tenutosi l’8 ottobre 2014 presso l’Assolombarda, con il titolo “Ricomincio da 50: lavoratori anziani, gestire le transizioni occupazionali dentro e fuori l’impresa” Non è casuale inoltre che l’origine dell’Associazione Nestore negli anni ’90 sia stata ispirata da esperienze europee e non italiane, raccolte da un gruppo illuminato di studiosi, consulenti, e operatori sociali, e che sia stata finanziata all’inizio da un contributo europeo erogato nell’ambito del Progetto Socrates. Né è casuale che per lunghi anni noi siamo stati un modello antesignano di queste problematiche, e quasi unico (se non unico) nello scenario italiano.

Oggi il contesto è totalmente cambiato, e la strada è aperta, grazie una volta ancora all’Europa, che si è fatta forza trainante dell’invecchiamento attivo e della solidarietà fra le generazioni. Ed è per noi molto importante che ALDAI, che rappresenta una delle fasce più professionali e tecnicamente preparate nel nostro Paese, dotata di competenze assai utili e spendibili anche sul piano sociale, abbia raccolto questa esigenza e ci abbia scelti quale interlocutori per questo viaggio assieme che oggi non si conclude, ma prelude – come ci auguriamo – ad altre tappe successive per avvicinare il mondo profit a quello non profit.

Penso che il nostro Progetto Outplacement, pur forzatamente sperimentale e rivolto ad un piccolo campione di dirigenti, sia stato una prima concreta risposta alle esigenze e alle criticità indicate sopra, perché propone un nuovo modello organico di preparazione delle persone per un loro inserimento attivo e proficuo nelle realtà del volontariato. Si tratta di un modello auspicabilmente trasferibile e applicabile ad altre situazioni e a contesti sia pubblici sia privati. Il raggiungimento di questo obiettivo non può prescindere da una comunità di intenti e dalla costruzione di rapporti sistematici con le aziende e gli enti più sensibili al welfare. Con gli opportuni adattamenti, il modello potrebbe essere oggetto di un piano sistematico applicabile anche a differenti livelli di professionalità e di responsabilità delle persone uscenti. Il progetto, se realizzato nel rispetto dei desideri e delle scelte degli individui di rimanere attivi e di non disperdere le proprie professionalità, (soprattutto se qualificate e rare come quelle dei dirigenti), porterebbe gradualmente a quel cambiamento culturale generalizzato di cui il nostro sistema produttivo ha tanto bisogno, con indubbio beneficio e valore aggiunto per la società civile e per tutti gli interlocutori coinvolti. In un mondo affollato e globalizzato come quello in cui viviamo, da soli non si va da nessuna parte e non si raggiunge alcun obiettivo.

La condivisione degli obiettivi e la solidarietà sociale che l’Europa ha anticipato ancor prima del 2012, sono ormai una necessità per ogni azione che voglia avere efficacia, ma gli apripista e i progetti sperimentali ne sono la premessa indispensabile. Per l’Associazione Nestore questa è stata l’identità che ci ha caratterizzato sempre, anche se per proseguire, questo non basta. Alla base di qualsiasi prosecuzione e sviluppo delle azioni intraprese deve esserci una preliminare razionalizzazione dell’esistente; debbono esserci alleanze, dimensioni adeguate, strutturazioni, sinergie, competenze, ecc.

Il recente Report nazionale sulle organizzazioni di volontariato, uscito in questi giorni, ha evidenziato che nelle 20 regioni italiane ci sono oggi 44.182 organizzazioni di volontariato, che operano in varie forme, ma fanno fatica a crescere e ad espandersi. Oltre 800 di esse operano a Milano, circa 3000 nella Provincia e oltre 8000 nella sola Lombardia. E’ certamente necessario procedere verso una maggiore strutturazione del settore dove è già in corso un processo di polarizzazione tra dimensioni grandi e robuste, e dimensioni piccolissime con poco futuro. Inoltre un grandissimo problema riguarda il rinnovo generazionale, che stenta a realizzarsi ovunque soprattutto a causa della crisi che obbliga i più giovani, o meno anziani, ad occuparsi d’altro per sopravvivere, e che per le realtà più piccole rappresenta una difficoltà maggiore per l’impossibilità di offrire sufficienti opportunità e prospettive.

Il quotidiano La Repubblica del 22 ottobre u.s. fa un’analisi molto interessante sull’identikit dei nuovi volontari e evidenzia la complessità del Terzo Settore in Italia, nel quale opera una pluralità di attori assai diversi (e peraltro alcuni lontani dal “volontariato puro”) quali coop sociali, imprese sociali, APS (siamo noi, specificando che per noi l’azione gratuita è sempre stata una caratteristica portante). Nell’articolo viene riportata l’opinione del Prof. Stefano Zamagni, economista e teorico della materia, che attribuisce alla crisi economica, che si innesta su questa complessità, la ragione principale delle difficoltà crescenti di tutto il settore….”

UnknownFiorella Nahum, 29 ottobre 2015

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