LA PAURA CHE VIENE DALLA CINA (Focus by ISPI)

Pubblicato il 23 Gennaio 2020 in Wellness Salute

La nuova polmonite virale che in Cina ha già infettato diverse centinaia di persone, uccidendone alcune, può trasmettersi da persona a persona. Lo ha reso noto il ministero della Salute di Pechino alimentando i timori che il coronavirus – che dalla Cina si è diffuso in Corea del Sud, Giappone e Thailandia – possa trasformarsi in una vera e propria pandemia. A preoccupare sono soprattutto i milioni di cinesi che avrebbero dovuto mettersi in viaggio, in occasione del capodanno cinese, ma tutte le manifestazioni sono state sospese. Gli esperti spiegano che la gravità della potenziale epidemia dipende dalla media di contagi che una singola persona infetta può provocare. Un dato che gli scienziati al momento non possiedono. Per stabilire se il nuovo virus rappresenta “un’emergenza sanitaria internazionale” – come già prima d’ora è avvenuto per i casi di ebola e febbre suina – l’Oms sta procedendo ad attente indagini.

Di cosa si sta parlando

Il nuovo ceppo, che ha avuto il suo focolaio nella città cinese di Wuhan, appartiene alla categoria dei coronavirus, che riguardano le vie respiratorie e causano malattie che vanno dal comune raffreddore a malattie più gravi come la sindrome respiratoria mediorientale (Mers) e la sindrome respiratoria acuta grave (Sars). I sintomi più comuni includono febbre, tosse e difficoltà respiratorie. Nei casi più gravi, l’infezione può causare polmonite, sindrome respiratoria acuta grave, insufficienza renale fino alla morte. I coronavirus si chiamano così perché i loro virioni (la parte infettiva) appaiono al microscopio elettronico come globuli contornati da tante piccole punte che ricordano quelle di una corona.

Dove si è sviluppato il virus

Secondo le autorità cinesi, al momento sono qualche centinaio i contagi, conclamati o presunti, del nuovo coronavirus nel Paese. Tra le regioni colpite anche quelle di Pechino e Shanghai. Ma la maggior parte sono concentrati nella provincia di Wuhan, focolaio dell’epidemia dove il virus è stato identificato alcune settimane fa. Si ritiene che l’origine della malattia sia stato proprio il mercato dei molluschi e degli animali vivi di Wuhan. Anche i casi di malattia identificati all’estero – Thailandia, Giappone e Corea del Sud – riguardano persone appena rientrate da un viaggio a Wuhan.


Perché di parla di Sara e di Mers?

La prima cosa che le autorità cinesi hanno sottolineato quando hanno annunciato l’identificazione di un nuovo ceppo di coronavirus è stato il fatto che “non ci troviamo di fronte a una nuova Sars”. Il riferimento è all’epidemia che tra il 2002 e il 2003 infettò oltre 8000 persone in Cina causando 774 decessi. Anche in quel caso si trattava di un coronavirus, ma all’epoca il governo di Pechino cercò di nascondere la gravità della situazione, contribuendo alla diffusione fuori controllo dell’epidemia. Sessant’anni dopo l’influenza asiatica – che a fine anni ’50 aveva causato circa due milioni di morti in giro per il mondo – e a quasi 20 dalla Sars, la Cina appare ancora ad alto rischio di fronte alle nuove infezioni. Tra le cause scatenanti, sicuramente le condizioni igieniche dei cosiddetti ‘wet market’ (letteralmente mercati umidi) dove gli acquirenti possono trovare animali vivi, come polli, maiali, rettili e una grande varietà di pesce.

Anche la sindrome respiratoria mediorientale da coronavirus (Mers, dall’inglese “Middle East Respiratory Sindrome”) è causata da un virus con alcune somiglianze con quello della Sars e con il nuovo coronavirus scoperto in Cina. La Mers, identificata nel 2012, ha un tasso di mortalità più alto della Sars (10%) e stimato intorno al 30%.

Il rischio di una censura?

A pesare sul governo di Pechino è l’eredità della gestione della Sars. Durante quella pandemia, il governo cinese censurò le notizie, minimizzando la gravità dell’epidemia. Successivamente, per far fronte alle critiche in patria e all’estero, il ministro della Sanità e il sindaco di Pechino furono rimossi per la loro cattiva gestione dell’epidemia. Stavolta, la Commissione sanitaria municipale di Wuhan ha dichiarato l’epidemia il 31 dicembre, tre settimane dopo che il primo paziente ha sviluppato sintomi. Scienziati cinesi hanno identificato l’agente patogeno una settimana dopo e hanno condiviso la sequenza genomica del virus con l’Oms. Le autorità cinesi insistono sul fatto che intendono gestire la vicenda “con la massima trasparenza”. Ma le domande sull’effettiva gravità della situazione, sui social media cinesi, si moltiplicano e il South China Morning Post riferisce di casi sospetti a Shenzhen e Shanghai di cui le autorità non fanno menzione.

Le misure di prevenzione

Gli aeroporti di numerosi Paesi, anche europei, stanno intensificando i controlli, soprattutto per quanto riguarda i passeggeri dei voli decollati da Wuhan, per rivelare l’eventuale presenza di casi sospetti. L’aeroporto di Roma Fiumicino ha attivato i protocolli del caso, anche per l’assistenza sanitaria al personale navigante, marittimo e dell’aviazione civile. In generale, per ridurre le probabilità di contagio, l’Oms ha diffuso raccomandazioni simili a quelle indicate per le altre malattie infettive: lavarsi spesso le mani, evitare frutta e verdura non lavate e bevande non imbottigliate e starnutire portandosi l’incavo del gomito alla bocca. 

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E’ giusto preoccuparsi?

Se è vero che l’individuazione del nuovo ceppo virale è stata tempestivamente comunicata alle autorità internazionali, è altrettanto vero che non si sa quanto il coronavirus sia potenzialmente letale. Sulla rivista Nature, il professor Yoshihiro Kawaoka, virologo dell’Università di Tokyo, spiega che a questo punto è importante sapere da che animale ha avuto origine: “Come la Sars era stata trasmessa dai polli e la Mers veicolata dai cammelli, bisogna capire e isolare gli allevamenti di animali da cui ha origine il virus”. Anche per questo, è essenziale che la Cina “condivida le informazioni più appropriate il più presto possibile, ora che la malattia non è più confinata all’interno del Paese”.

fonte: Ispi

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