Capitolo terzo: “I love shopping con mia mamma (al tè verde)”

Pubblicato il 15 Ottobre 2017 in Ideas Libri

Quando arriva finalmente l’ora di incontrare mia madre sono a dir poco stremata.

E’ stato difficile mandare via mio fratello.

Dario è capace di restare in silenzio per giorni interi, isolandosi sui social network o praticando la meditazione buddista (ultima frontiera del suo rapporto con Yoko), ma quando decide di parlare non smette più. E’ come una valanga: non c’è niente che possa fermarlo.

Perciò, quando ha cominciato a parlare dei più disparati argomenti, ho fatto leva sui suoi bassi istinti di giovane uomo innamorato di una ragazza inappetente e ho cercato di stordirlo con il cibo. Ho tirato fuori dalla dispensa, nell’ordine: un pacco di TUC pieni di Olio di Palma, una confezione di Muesli alla frutta del discount pieni di uvetta (la sua passione), un salamino DOP della Valtellina, dei taralli portati da nostra sorella dopo le vacanze estive sul Gargano (e mai toccati per via dell’olio di origine dubbia), un pezzo di caciocavallo affumicato con un lieve incipit di muffa, salmone selvaggio affumicato, lenticchie rosse in scatola dell’ante guerra, pane secco per galline a dieta, pane in cassetta, caramelle mou al cioccolato.

Niente. Non sono riuscita a tappargli la bocca per più di qualche secondo. A quanto pare mio fratello ha imparato a ridurre al massimo uno dei più conclamati difetti attribuiti al genere maschile: non saper fare due cose contemporaneamente. Per cui mentre mi svuota la dispensa si esibisce in un’ora di monologo con la bocca piena, e io non posso fare altro che fingere di ascoltarlo.

Oggi andrò a far shopping con mamma!

Sarà una giornata dedicata alle “carezze dell’Ego”, prima del passaggio da collaboratrice a progetto per un’anonima società di eventi a Love Matcher di Lovely Milano.

Al solo pensiero che martedì mattina solcherò la soglia dei prestigiosi uffici di piazza Cadorna con il mio tacco 12 alla base di un tailleur griffato, mi si allarga il cuore e persino lo sproloquio di mio fratello risulta sopportabile.

Quando mamma suona il citofono con il suo inconfondibile “tocco Uragano”, mi lascio sfuggire un sospiro di sollievo e saluto con gentilezza Dario, mettendogli il pacco di TUC in mano.

“Allora dico a Yoko di domani”, mi ricorda prima di uscire. Quando c’è di mezzo Lady Sashimi diventa petulante.

“Se è un disturbo lascia stare, posso farcela da sola”, mento in un ultimo, disperato tentativo di fuga.

Non la sopporto la Giapponesina, come fa a non capirlo?

“Nessun disturbo, la vedrò per pranzo e prima le dico di fare un salto da te, ok?”.

Annuisco, chiedendomi cosa significhi per lui vedere a pranzo una persona che non mangia, e infine scuoto la testa, avvicinandomi alla porta.

“Allora ciao, io scendo da mamma”, dico salutandolo sul pianerottolo.

“Buoni acquisti!”, esclama entusiasta.

Saranno i biscotti senza OdP, a renderlo così affabile?

E chiudo la porta.

Quando finalmente salgo sulla Smart di mia madre, mi sento come la Regina di Cuori di Alice nel Paese delle Meraviglie.

“Tesoro, sei pronta?”, chiede mia mamma.

“Mai stata più pronta, mamma!”, esclamo entusiasta mentre osservo Milano dai finestrini puliti.

Mi sembra tutto rosa, e scintillante.

Quando arriviamo in centro, mamma decide di lasciare la Smart in un posteggio a pagamento, così da non rischiare altre multe. Ultimamente, complici le solite previsioni astrali che le davano Giove a favore suggerendole azioni ardite, ne ha prese cinque di multe, suscitando l’ira di papà.

Lasciata la macchina, possiamo finalmente dedicarci all’arte più frivola di tutte: fare acquisti in Corso Vittorio Emanuele.

Cominciamo da Max & Co, che a me piace moltissimo, e mamma esagera subito comprandomi tre tailleur di taglio classico (nero, grigio e blu notte) con cui non posso che fare un figurone.

Quando mi vedo nello specchio dei salottini prova coi nuovi panni addosso, quasi non mi riconosco.

“Li folgorerai tutti lunedì, vedrai!”, esclama mamma ammirandomi a sua volta, “Sei molto bella, tesoro”.

Sorrido immaginandomi la scena di me, nelle vesti di Cupido in tacchi e gonnella, che folgoro l’intero team di Lovely Milano con i dardi del mio arco immaginario…e di loro non resta che fumo e cenere, in quegli eleganti uffici.

A volte il cervello mi fa degli strani scherzi, devo starci attenta.

“Speriamo di no, mamma, sennò chi me lo paga lo stipendio?”, rispondo facendole l’occhiolino, mentre lei striscia con agilità la Carta di Credito Gold di papà alla cassa.

“Beh, e adesso…direi Nara Camicie! Ti ho visto un po’ sprovvista, ultimamente”, risponde lei procedendo a passo sicuro lungo il viale dello shopping milanese per eccellenza.

La seguo come un cagnolino devoto, senza opporre resistenza.

Quando arriviamo davanti al negozio, però, la mia serenità quasi perfetta è turbata dalla vista di Ettore, il mio migliore amico, che si aggira davanti alle vetrine di una rinomata gioielleria in compagnia di una ragazza dai lunghi capelli biondi.  Non ho mai visto la sua ex, quella per cui soffriva quella famosa sera alla festa, ma me ne ha parlato così tanto nei mesi successivi che me la sono immaginata, a volte anche sognata, più di una volta. E la immagino proprio così: bionda, spregiudicata e molto, molto pericolosa al suo fianco.

Anzi, a proposito di fulmini e mitologia greca, che Zeus e tutto l’Olimpo mi folgorino se quella cui molto probabilmente sta per comprare un costoso gioiello, tenendola per mano, non è quella Manipolatrice Emotiva della sua ex ragazza. Quella che lo ha tradito per un altro e poi inseguito per mesi, piegata da un presunto Senso di Colpa Planetario che – lasciate che indovini- non le darà pace finché non sarà riuscita a infilarsi nuovamente nel suo letto.

Quella che lui, ahimè, non ha mai dimenticato.

In preda a uno sbalzo emotivo di quelli irrefrenabili, stringo la mano di mia madre così forte da spezzarle un’unghia.

“Ahià! Ma sei impazzita! Avevo appena rifatto lo smalto semipermanente!”, piagnucola a ragione.

“Scusami”, le dico strattonandola per farla fermare, “Ma quello è Ettore con la sua ex. E non è una bella notizia”, spiego accendendomi d’istinto una sigaretta.

A quel punto, mia mamma fa retrofront, mi prende la sigaretta e me la spegne contro un palo della luce e mi trascina dalla parte opposta di Corso Vittorio Emanuele, verso San Babila.

“Nessun problema, andremo da un’altra parte. In fondo, la qualità di Nara Camice è peggiorata. Ringrazia il tuo amico: ci ha fatto un favore!”, esclama senza scomporsi minimamente.

Quand’era una manager, doveva essere uno squalo.

A quel punto, pianto i piedi nel marciapiede e metto le radici. Se c’è una cosa che mi fa salire il sangue al cervello è la gente che fa finta di niente. Le situazioni vanno affrontate, la penso così, e quello è Ettore, non un passante qualunque. Non posso voltare strada e dimenticarmi che sta per fare un errore di cui si pentirà.

“Mamma, torniamo indietro, lascia che faccia quattro chiacchiere con quella!”, esclamo indicando la bionda.

A queste mie parole, mia mamma assume una di quelle espressioni che io amo chiamare “didascaliche”, per usare un eufemismo. E’ pur sempre la madre di tre figli, in fondo, e quando dismette la maschera da amica superficiale e un po’ vana che a volte le piace indossare, soprattutto con noi figlie femmine, è perfettamente in grado di ergersi a giudice supremo, alias consigliere.

“Rebecca Donà, stammi bene a sentire. Stai per diventare una Love Matcher, e sono certa che ci sono delle regole per essere una buona Love Matcher, come per qualunque altro lavoro. Ora tu guardami in faccia e dimmi, sinceramente: quale credi che sia la Regola Numero Uno per diventare una “ruffiana digitale”?”, mi chiede con quello sguardo imperativo cui non ho mai saputo ribellarmi in trentacinque anni di vita.

“Non chiamarmi così”, rispondo in un fil di voce.

“Oh, smettila con queste formalità e rispondimi. Rebecca, quale credi che sia la Prima Regola?”, mi chiede ancora.

“Ma questo cosa c’entra con Ettore scusa?”, cerco di sottrarmi.

“Rispondi alla mia domanda, Rebecca Donà”.

E quando ci chiama per cognome non è un buon segno.

“E va bene, credo che la prima regola sia quella di non lasciarsi troppo coinvolgere, ho indovinato?”, rispondo ispirata.

Mamma sorride, fiera di me.

“L’ho sempre detto che c’è del sale in zucca là dentro”, risponde annuendo.

“Ok, ma non vedo cosa c’entri Ettore con i miei futuri clienti: è il mio migliore amico, voglio aiutarlo!”, esclamo.

“E’ proprio questo il punto, tesoro: tu NON puoi aiutarlo, così come NON potrai farci nulla, se uno dei tuoi promettenti match si rivelerà un disastro. Tu puoi soltanto farli incontrare, ok? Il resto è affar loro. Ficcatelo bene in testa, Rebecca, o sarai una pessima Love Matcher”, e ciò dicendo mi trascina dall’altra parte del viale, a cercar camicie per i miei tre tailleur nuovi di zecca.

“E se il tuo presunto migliore amico ha voglia di fare un errore, lasciaglielo fare. Tu ci sarai quando tornerà con la coda tra le gambe a chiedere (troppo tardi) i tuoi consigli, giusto?”.

Devo ammettere che ha ragione, perciò inserisco il pilota automatico e la seguo nel negozio, non prima di aver lanciato un ultimo sguardo sofferente in direzione della gioielleria.

Lo shopping prosegue proficuo, senza ulteriori intoppi. Ci fermiamo a mangiare un esuberante cono gelato con panna da Bastianello Caffè, che sostituisce il nostro pranzo, e continuiamo spedite la nostra missione fashion fino alle quattro, quando – stremate e piene di sacchetti – risaliamo in macchina per tornarcene a casa.

Mamma mi lascia sotto il portone, con un sorriso radioso stampato in faccia.

“Contenta?”, chiede lanciando un’ultima occhiata alla montagna di shopper che mi porto in eredità da questa gloriosa giornata.

“Altro ché”, rispondo sincera, “Farò una splendida figura al lavoro. Grazie mamma: ringrazia anche papà per il generoso contributo”, e scendo dalla Smart.

“Sarà fatto! E’ felice per il tuo nuovo lavoro, sai? Mi ha chiamata ieri sera da Los Angeles per dirmelo. Torna mercoledì. Chiamalo in settimana: ne sarà felice”.

Annuisco: lo vedo e lo sento così poco mio papà. E’ sempre in giro per lavoro, cosa che mi ha fatta parecchio soffrire da piccola. Adesso mi sono abituata.

Tornata a casa, mi dedico a una pulizia sommaria dell’appartamento, in vista della festa. Accedendo nuovamente alla mail, scopro che ci saranno praticamente tutti gli invitati, e questo mi responsabilizza. A metà serata (considerando la mia stanchezza, decido di restarmene a casa nonostante sia sabato sera) controllo nuovamente la posta elettronica, più per una coazione a ripetere involontaria che per altro, e trovo una mail di Ettore.

Me l’aspettavo: conosco i miei polli. I know my chickens.

Mi chiede se può venire accompagnato e omette di proposito di specificare con chi. Mi conosce abbastanza anche lui per sapere che se facesse il nome della sua Ex gli direi di no, senza mezze misure.

Rispondo con un diplomatico “Certo che sì”, senza fare domande, e gli do appuntamento per la sera di Halloween, vestiti da Olio di Palma, alle nove.

Domenica mattina, mi sveglio in salotto, vestita di tutto punto davanti alla TV accesa.

L’ultima cosa che ricordo è la mail di Ettore e la montagna di sacchetti che devo ancora sistemare nell’armadio. Ero così stremata che non ho chiuso neanche la porta di casa.

Guardo l’orologio: sono le undici…accidenti!

Faccio giusto in tempo a infilarmi in doccia e mettermi addosso la prima tuta che trovo nell’armadio, che suonano alla porta. Dev’essere lei, la Giapponesina.

Tutta colpa del mio pollice nero.

Apro la porta e mi ritrovo il suo viso a perfetta mezza luna davanti. E’ un misto tra una Geisha e una Bambola Dark. Minuta, eterea con quella pelle di fine porcellana orientale, vestita in modo eccentrico, eppure estremamente fine.

Se non fosse la ragazza decisamente naif di mio fratello, la troverei bellissima. Lo ammetto.

“Ciao Rebecca-San, Dario mi ha detto che non vai d’accordo con le tue piante, perciò eccomi qua!”, dice facendo una giravolta su se stessa ed entrando in casa senza che quasi me ne accorga.

Mentre la osservo violare la mia privacy con disinvoltura, non posso fare a meno di pensare che vive da anni in Italia e non ha ancora imparato a pronunciare correttamente la “R” del mio nome. C’è qualcosa di assurdo, in questa situazione. E, soprattutto, io sono e resto Rebecca. Non conosco nessuna Rebecca San.

“Hai preso il caffè?”, chiedo per rompere il ghiaccio e allontanare i pensieri negativi, “lo stavo giusto mettendo su. Mi son svegliata tardi”.

Lei è già sul terrazzo, da dove arriva la sua risposta:

“Preferirei del tè verde, se lo hai. In Giappone non beviamo molto caffè Rebecca – San”.

Ma qui non siamo a Tokyo, bella mia. Si chiama Milano…e sta in Lombardia. Italia. La patria del caffè. Le risponderei volentieri.

E, invece, mi sorprendo a dire:

“Sì certo, il tè verde. Arrivo subito Yoko”, e sparisco in cucina per uscirne dieci minuti dopo con una tazzina di caffè fumante e il suo thè verde antiossidante.

Che sia questo il segreto della sua pelle di porcellana? Mi chiedo.

Quando arrivo in terrazzo, la trovo in ginocchia accanto al vaso di basilico.

“Che…cosa stai facendo Yoko?”, le chiedo inquieta.

“Le sto parlando Rebecca – San. Voi occidentali non conoscete il segreto. Le piante sono esseri viventi, come noi, e se non si parla con loro prima si offendono, poi diventano tristi e infine si ammalano. Questo basilico soffre di incomunicabilità cronica. Gli hai mai dato il buongiorno? E la buonanotte?”, chiede tenendomi il broncio.

Resto senza parole, muta come un pesce al centro della mia stessa terrazza.

Yoko si avvicina e prende la sua tazza di tè verde dal vassoio.

“Grazie per il tè: è buono Rebecca-San”, continua ignorando il mio mutismo e scrutando con attenzione il terrazzo, “E anche la disposizione dei fiori non è quella giusta. In Giappone è un’arte, si chiama Ikebana”, e si lascia sfuggire un risolino, “Tuo fratello dice che noi giapponesi abbiamo un’arte per tutto”.

Anche per rompere le palle, confermo!

“Ikebana? Ne ho sentito parlare”, mento.

“Questi fiori sono posti ad Ovest, invece che a Est”, dice spostando i miei vasi di gerani senza nemmeno chiedermi il permesso, “Per questo si sono seccati”, spiega.

Sforzo le meningi per riesumare dagli anfratti più bui della mia memoria i pochi scampoli di conoscenza orientale che possiedo, ed esclamo:

“Feng shui, giusto?”, la butto lì, giusto per non sembrare totalmente impreparata.

Yoko scuote la testa.

“No, Rebecca – San, qui la disposizione dei mobili in base ai campi energetici non c’entra. Il fatto è che tu non parli con le tue piante, te l’ho detto, altrimenti sapresti che ai tuoi gerani stare a ovest non piace: te l’avrebbero certamente detto!”.

Torno muta come un pesce sotto vuoto e mi siedo sul divanetto di vimini, decretando la mia sconfitta. Yoko- Rebecca: 10 a 1. So riconoscere una “débâcle”, anche se in genere faccio fatica ad ammetterlo

“Che lavoro fai, Rebecca-San?”, mi chiede dopo un attimo forse intuendo la mia frustrazione.

“Da lunedì prossimo, la Love Matcher, hai presente?”, le chiedo dando per scontato che non sappia nemmeno pronunciare una simile parola.

E, invece, dimentico che i Giapponesi sono avanti anni luce rispetto a noi, quanto a tecnologia, e che le App di Incontri le usano dal Paleolitico, mentre per noi sono ancora una novità.

“La love Matcher? Ma è fighissimo!”, esclama saltellando come un’adolescente entusiasta, attorno ai miei vasi. Poi si ferma, come folgorata da un dubbio.

“Ma tu lo sai che fai un lavoro pericoloso?”, mi chiede.

Eh no, altri anatemi no! Mi basta già mamma, con i suoi presagi astrali!

Mi trattengo.

“In che senso pericoloso, Yoko?”, le chiedo come si farebbe con una persona incapace di intendere e di volere.

“Nel senso che è pericoloso giocare con il Karma, Rebecca-San, e quando qualcuno scherza con il destino di qualcun altro rischia di influire anche sul proprio Karma, il ciclo di Molte e Rinascita”, spiega.

“Morte e Rinascita? Karma?”, chiedo spaesata, “Non sono sicura di volerlo sapere, sinceramente”.

Inaspettatamente, Yoko annuisce rispettosa.

“Capisco, allora non continuerò. Solo, fai attenzione con il tuo lavoro, Rebecca-San, ok?”, mi dice con dolcezza mentre io comincio a chiedermi che cosa voglia dire.

“Grazie per le piante”, le dico osservando il terrazzo: ha completamente rivoluzionato la disposizione dei vasi.

Yoko mi porge la mano, formale.

“Di niente, Rebecca – San. Vedrai che già domani i gerani staranno meglio, e anche il basilico sarà come nuovo. Però devi parlargli, promesso? A pranzo, merenda e cena parla con loro. Bastano poche parole, sono creature viventi. Raccontagli qualcosa. Lo ameranno”.

Annuisco, come in tranche, e la accompagno alla porta chiedendomi se a pranzo, lei e mio fratello, faranno amicizia con le pietanze, prima di mangiarsele.

Sempre ammesso che mangino.

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