L’Europa si interroga alla prova dei fatti: errori commessi e sfide all’orizzonte

Pubblicato il 25 Agosto 2021 in Letture Ideas

Mentre Washington è alle prese con la cruda realtà della perdita di Kabul e dell’Afghanistan, i governi europei non sono meno sconcertati al pensiero di ciò che accadrà dopo. Da questa parte dell’Atlantico sono numerosi gli interrogativi che agitano le capitali dell’Unione: il ritorno dei talebani favorirà nuovi focolai di instabilità alle porte del Vecchio continente? Come contenere, o accogliere, i flussi di rifugiatiche potrebbero arrivare dall’Asia Centrale? E, dopo quello che è accaduto, Bruxelles sarà altrettanto pronta a sostenere le future iniziative di politica estera degli Stati Uniti? Inutile negarlo: gli europei sono stati colti alla sprovvista dalla decisione degli americani di smobilitare così rapidamente, mostrando un’assoluta incomprensione per la vulnerabilità dello stato afghano. Diversi alleati avevano espresso perplessità sul ritiro al vertice Nato di giugno. Le loro rimostranze sono state ignorate e oggi, quanto accaduto non può non sollevare interrogativi sull’impegno dell’America a proteggere i suoi alleati, e se “alla base del Patto Atlantico – come osserva Dave Keating, corrispondente di France24 – ci sia davvero un’alleanza, o se non si tratti invece di un protettorato militare in cui solo Washington è chiamata a dare carte”. Considerazioni gravi, ma tutto sommato secondarie di fronte all’urgenza di trovare soluzioni rapide al precipitare della situazione afghana. Al centro delle conversazioni di queste ore, c’è pertanto l’ipotesi di favorire un dialogo internazionale, il più ampio possibile per giungere a una posizione comune. La “sede naturale” di questa iniziativa europea che mira a coinvolgere anche Russia, Cina e Turchia, tra gli altri – ha detto il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi – non potrà che essere il G20, di cui l’Italia ha quest’anno la presidenza.

L’Europa e i fantasmi del 2015?

Il crollo dell’Afghanistan dopo il precipitoso ritiro delle truppe americane risveglia in Europa vecchi fantasmi legati alle emergenze migratorie del 2015/2016. Se infatti,  il paese dovesse ripiombare in un clima di terrore e violazioni dei diritti umani, attacchi alle donne, alla società civile e ai media, l’emergenza umanitaria che ne deriverebbe rischia di avere effetti immediati sull’Unione, in termini sociali e politici. I leader europei, già molto distanti sul superamento del Regolamento di Dublino e l’adozione di una politica migratoria comune, temono il rinvigorirsi dei populismi di destra, soprattutto in vista delle elezioni in Germania e Francia. La pressione dei rifugiati è già visibile in alcuni paesi confinanti con l’Afghanistan e sebbene non stiamo affrontando una situazione simile a quella siriana nel 2015, ci sono comunque gravi conseguenze da considerare. Il peggio della crisi dei rifugiati potrebbe essere evitato, ma sono inevitabili nuove tensioni e conflitti con Paesi di transito, come la Turchia e l’Iran. E se questi due Paesi subiranno il peso della crisi, l’instabilità che ne deriverà ci raggiungerà comunque. Ma nonostante lo shock della vittoria fulminante dei talebani e le scene caotiche all’aeroporto di Kabul, molti esperti invitano alla calma e ad analizzare i dati, secondo cui un’ondata di rifugiati in arrivo in Europa non è affatto imminente. “È solo retorica della paura”, spiega Luise Amtsberg, portavoce dei Verdi tedeschi sulla migrazione. “L’Afghanistan è isolato, i Paesi vicini hanno rinforzato i loro confini e la gente non può uscire. Ogni tentativo di fare un parallelo con il 2015 è un errore”. 

 

Imparare dagli errori?

Se la speranza tra i leader europei è che la maggior parte degli afghani rimanga nel proprio pPaese, o comunque nella regione, piuttosto che rischiare una lunga odissea per raggiungere l’Europa, la priorità dell’UE dovrebbe essere di fornire il maggior sostegno possibile ai vicini dell’Afghanistan. “Non bisogna ripetere l’errore del 2015” ha dichiarato Angela Merkel, quando il taglio degli aiuti all’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati e al Programma alimentare mondiale, portò a ridurre le razioni alimentari nei campi profughi, non lasciando altra scelta a un milione di rifugiati che fuggire in Europa. “Dobbiamo essere più veloci questa volta e offrire aiuto più rapidamente agli stati confinanti”, ha detto Merkel. Inoltre va tenuto conto del fatto che in Europa si trovano già almeno 310.000 afghani – la metà dei quali donne – a cui non viene riconosciuto lo status di rifugiati. Se nelle settimane precedenti la presa di potere da parte dei talebani, tutti i governi europei hanno sospeso le procedure di rimpatrio dei cittadini afghani non protetti e già in Europa, ora hanno tutti gli strumenti per proporre e attivare nei loro confronti strumenti di protezione temporanea. “Sarebbe questa – osserva Matteo Villa dell’ISPI – la dimostrazione che l’Europa non intende lasciar soli i cittadini afghani in un momento come questo. E consentirebbe a Bruxelles e alle capitali europee di tornare a dialogare da una posizione nettamente migliore con il nuovo regime di Kabul”.

fonte “Avvenire”

Sicurezza: problema comune?

Ma c’è un altro dossier, relativo all’Afghanistan, che in queste ore mette in allarme le capitali europee: quello relativo agli arsenali di armi, munizioni ed altri equipaggiamenti militari Usa che, dopo la disfatta delle forze di sicurezza afghane, sono passati nelle mani dei talebani. A confermarlo è il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, oltre alle decine di foto scattate nei giorni scorsi, in cui i miliziani appaiono armati di carabine M4 e fucili M16 al posto dei fucili d’assalto russi AK-47s, utilizzati per l’avanzata nel territorio nazionale. I Talebani, riferisce Politico “sono stati avvistati anche con veicoli militari da ricognizione, Humvee, e altri protetti da imboscate resistenti alle mine” e sarebbero entrati in possesso di elicotteri Black Hawk e aerei d’attacco. “Non è chiaro esattamente quante e quali armi siano cadute nelle mani dei talebani, ma l’amministrazione Biden ha già riconosciuto che si tratta di una discreta quantità” ha ammesso Sullivan in conferenza stampa. Un altro duro colpo all’immagine della Casa Bianca e un motivo d’allarme tra gli europei: l’arsenale americano in mano ai talebani potrebbe infatti alimentare un mercato regionale delle armi, che potrebbero finire in mano a gruppi terroristici e insorti. “Queste armi, che sono finite nelle mani dei talebani, probabilmente circoleranno nella regione per molti decenni a venire” afferma Nils Duquet, direttore del Flemish Peace Institute.

Se è questo il quadro, a tinte fosche, con cui l’Europa è chiamata a confrontarsi, il primo errore da evitare – come osserva il rappresentante per la politica etera della Ue Josep Borrell – è evitare di pensare che non si possa fare nulla e “avviare una serie di contatti, anche con i Paesi vicini, per limitare i rischi di terrorismo”. Va esattamente in questa direzione il G20 straordinario convocato da Mario Draghi: una riunione straordinaria di capi di Stato e di governo delle venti potenze economiche mondiali per giungere a un impegno che leghi non solo le forze europee e occidentali, ma anche e soprattutto paesi come Cina, Russia, Arabia Saudita e Turchia che hanno interessi e influenza sull’autoproclamato Emirato islamico. Ma dovremo anche continuare a coinvolgere e incoraggiare Washington a non ritirarsi ulteriormente. Il presidente Biden ha iniziato il suo mandato dichiarando con orgoglio: “L’America è tornata”. Davanti alle immagini in arrivo da Kabul, oggi quelle parole sembrano vuote. L’onere di dimostrare il contrario spetta alla sua amministrazione.

Il commento di Matteo Villa, ISPI Research Fellow, Programma Migrazioni

“Nell’ultima settimana i leader europei hanno dimostrato che, quando c’è volontà politica, sanno essere davvero reattivi e veloci. La mobilitazione di fronte a una possibile (per quanto improbabile) nuova “ondata” di migranti irregolari dall’Afghanistan verso l’Unione ha attivato le cancellerie e riallineato le posizioni. Ma questo ha reso ancora più udibile il silenzio su ciò che manca: per esempio una soluzione sostenibile per i 200.000-300.000 afghani già oggi in Europa senza protezioni, perché diniegati dai sistemi d’asilo negli ultimi due decenni, ma mai rimpatriati. Regolarizzarli sarebbe il modo migliore per mostrare che i governi europei riconoscono che nell’Afghanistan dei talebani non si può tornare. E per dare un segnale a Kabul: dialoghiamo, certo, ma senza sconti”.

 

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