PASSA IL DECRETO OMNIBUS: referendum di giugno senza il questito sul nucleare?

Pubblicato il 25 Maggio 2011 in da redazione grey-panthers

Le aperture

Il Corriere della Sera: “Il governo ottiene la fiducia. Passa il decreto omnibus, a rischio il quesito sul nucleare. Berlusconi promette le riforme. Bossi apre ai referendum. Tregua sui ministeri al Nord”. In alto: “Lavoro e crisi. Fincantieri, operai in rivolta. Scontri e feriti a Genova. Il taglio dei posti di lavoro scatena la protesta. Occupato il Comune di Castellamare di Stabia”. A fondo pagina: “Fiat-Chrysler, l’elogio di Obama”. Il rimborso anticipato del prestito da parte dell’azienda viene definita “una pietra miliare” del consolidamento del matrimonio tra Lingotto e Chrysler.

La Repubblica: “Dietrofront sui ministeri al Nord. Vertice Bossi-Berlusconi: congelata la proposta. Il premier: non mi vogliono far parlare in tv. Passa la fiducia sulla norma anti-referendum”. E poi: “Sì della Cei alla moschea a Milano. Pisapia va dai pm: campagna diffamatoria”. A centro pagina i conti pubblici: “Monito della Corte dei Conti. Tremonti attacca l’Istat”. ‘Servono manovre per 46 miliardi”. A centro pagina: “Rivolta degli operai Fincantieri, scontri e feriti”.

Il richiamo della Corte dei Conti è il titolo di apertura de La Stampa: “Fisco più leggero e un piano per il Sud. La Corte dei Conti: impensabile tagliare le tasse, va ridotta la spesa”. “Ultima carta del premier: ma è stop ai ministeri al Nord”. Di spalla la vicenda Fincantieri e “la rabbia degli operai”. Sotto, accanto alla notizia su Chrysler, un articolo sugli atti dell’inchiesta della Procura di Perugia sulla “cricca del G8”: “Nei conti segreti di Anemone i soldi per la casa di Scajola”.

Avvenire: “Cura da cavallo per sanare i conti. Per le finanze pubbliche serve un intervento da 46 miliardi l’anno. Impraticabile il taglio delle tasse. L’allarme dei giudici contabili. Tremonti: ma il bilancio tiene”.

Il Foglio: “Sempre più ardua la via tra rigore tremontiano e crescita indispensabile. La manovra sui conti, gli impegni in corso con l’Europa e lo sviluppo invocato da aziende e istituzioni”.

Il Sole 24 Ore: “Fiat salda il debito Chrysler. Con sei anni di anticipo Torino rimborsa il prestito di 7,6 miliardi di dollari a Usa e Canada, e sale al 46 per cento”. L’editoriale del quotidiano, firmato da Gian Maria Gros Pietro, è dedicato alla crisi della cantieristica: “Grandi navi, un primato da difendere”.

Il Giornale: “L’Islam marcia sul Duomo. Il candidato del Sel e figlio del fondatore dell’Ucoii minaccia di sfilare nel cuore di MIlano. Pisapia teme l’effetto boomerang e prende le distanze. E i vescovi dicono sì alla moschea”. In prima pagina il quotidiano offre anche una intervista a Clemente Mimun, direttore del Tg5: “Vogliono intimidirci a colpi di multe”.

Libero: “110 mila posti di lavoro ma nessuno li vuole. La denuncia della Gelmini: aziende in difficoltà. E’ la prova che spesso i nostri ragazzi sono viziati e non si rendono conto di come le cose siano cambiate”.

L’Unità, che offre una intervista a Massimo D’Alema (“Il governo non reggerà al voto”), apre con il titolo “Fronte del porto”, e le immagini degli scontri di ieri a Genova.

Milano

Su Milano ed il dibattito sull’Islam il Corriere della Sera offre due pagine di approfondimento: “Moschee: stranieri, sicurezza e culto, due idee di integrazione. Si offrono due schede sulle proposte di Pisapia e della Moratti in materia. Per il candidato d’opposizione va riconosciuto il principio del diritto umano fondamentale di poter esercitare in libertà e dignità la propria fede. Per la Moratti creare una grande moschea in città al posto delle sette “più o meno regolari, più o meno autorizzate” che esistono oggi crea un “luogo di attrazione per gruppi islamici di tutta Italia che non possono in alcun modo essere controllati”.

Anche Avvenire offre una intera pagina al voto milanese: “Due sindaci, due Milano, due mondi”, “la ‘sussidiarietà’ di Moratti contro la ‘centralità’ comunale di Pisapia”.

La Stampa racconta che a margine della conferenza stampa in Vaticano per presentare l’incontro mondiale delle famiglie in programma tra un anno a Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi ha risposto ad una domanda sul rischio “zingaropoli” paventato in caso di vittoria di Giuliano Pisapia: “é una buotade”, ha detto. Nel corso della conferenza stampa Tettamanzi aveva sottolineato che “il rapporto positivo tra i milanesi e le persone di altri mondi fa parte di uno slancio alla mondialità di Milano”. Ed ha aggiunto: “Mi piacerebbe contare tutti gli zingari che sono a Milano e tutti gli altri che sono milanesi, o provenienti dalle altre parti d’Italia”. Il termine zingaropoli non gli piace perché “non corrisponde alla realtà”. Quasi contemporaneamente, nel corso di un’altra conferenza stampa, il segretario della Cei Mariano Crociata ha ricordato che “è un diritto fondamentale permettere ai credenti delle varie religioni, musulmani compresi, di pregare nei loro luoghi di culto”. Crociata ha però ricordato che la moschea “non è un semplice luogo di culto, ma un luogo sociale, culturale e di incontro ed è quindi giusto tenere conto di queste caratteristiche e delle esigenze che questo luogo risponda nell’utilizzo pratico alle esigenze di vita sociale della nostra nazione e comunità civile secondo la Costituzione e le leggi del Paese. Il quotidiano ricorda che tre giorni fa Tettamanzi era stato criticato dal direttore del Giornale Sallusti per aver dato con “la sua nota ambiguità” un “aiuto ai mangiapreti alla Pisapia”. E ieri il direttore di Avvenire è intervenuto a difendere l’Arcivescovo di Milano definendo “fendenti ingiusti e scriteriati” quelli lanciati da Sallusti.

Ecco perchè Repubblica titola: “Tettamanzi: resisto agli attacchi. E la Cei dice sì alla moschea”, “Il Giornale contro il Cardinale”. “Pisapia: vogliono screditarmi”. Ci si riferisce all’esposto che Pisapia ha annunciato di voler presentare in Procura sulla base di numerose segnalazioni che parlavano di finti operai che dichiarano di prendere le misure per la costruzione della “moschea di Pisapia”, rom che distribuiscono volantini spacciandosi per sostenitori di Pisapia, o che vagano con abiti e borse sporche e maleodoranti, immancabilmente equipaggiati con shopper arancioni con la scritta “per Pisapia”.
La stessa notizia compare su L’Unità, che parla di “falsi zingari e finti homeless, in metropolitana e per strada”, che dicono di votare per Pisapia.

“Si dei vescovi alla Moschea”, titola anche Il Sole 24 Ore, in un articolo in cui si racconta anche che la Lega ha presentato un disegno di legge al Senato che recita: “No alla costruzione di una moschea fino ad una eventuale intesa tra Stato e Islam”; in via transitoria ogni edificio di culto dovrà essere autorizzato dalla regione, previo referendum tra la popolazione del comune interessato. Il testo prevede la creazione di un albo degli imam, che dovranno avere cittadinanza italiana e iscriversi ad un apposito registro del ministero degli interni. Sarebbe vietato lo svolgimento di attività non strettamente collegate all’esercizio del culto, comprese le attività di istruzione, quelle culturali e commerciali. L’edificio di culto non potrà essere situato nel raggio di un chilometro da un altro edificio di culto diverso.

“Se la primavera araba arriva fino a Roma” è invece il titolo di un articolo che compare su Il Riformista e che dà conto di una rivolta iniziata ieri alla Grande Moschea di Roma, dove alcuni giovani musulmani hanno volantinato per dar voce alle generazioni dell’Islam italiano, contestando il fatto che la “loro” moschea sia in mano a un gruppo di diplomatici dei Paesi arabi che rispecchiano regimi e mentalità ormai superate. E’ intervenuta la polizia per identificare i giovani manifestanti. Paradossalmente a far esplodere la protesta è stata proprio una iniziativa lanciata dal sindaco di Roma Alemanno, la “settimana della cultura islamica”, della quale pare la maggior parte dei musulmani non fosse neanche stata informata, pur essendo incentrata sul tema “religione e democrazia”.

Politica

Nell’editoriale del Corriere della Sera, firmato da Michele Ainis, si legge tra l’altro che “in Parlamento è calata la grande bonaccia delle Antille”, come avrebbe detto Calvino, nel senso che si votano solo i decreti legge, “non v’è traccia” della riforma dello Stato, al pari della legge di soppressione delle province, della fine del bicameralismo, della legge elettorale, della giustizia, del testamento biologico, della legge sull’omofobia. “Nessuna democrazia al mondo può correre con un Parlamento zoppo”; scrive Ainis.
Stefano Folli, nel suo “Punto” sul Sole 24 Ore, si sofferma sulla ipotesi che la Lega, per “marcare la propria identità ed autonomia” da Berlusconi dopo il voto di Milano, possa “mettere sul tavolo una proposta di riforma elettorale” che ridimensioni l’alleanza con il Pdl, fino ad oggi basata sul premio di maggioranza. “Sarebbe una svolta quasi rivoluzionaria. La fine di un’epoca, e proprio in nome di quella autonomia”, scrive.
Il Corriere della Sera si sofferma su questo aspetto e in un articolo si legge: “Nuova legge elettorale. La Lega va avanti. Aperture da Pd e Udc. Lo scopo: tornare alle ‘mani libere’ sulle alleanze”. In realtà si legge nell’articolo che Bossi spiega che, comunque sia, la Lega ne parlerà prima con Berlusconi, e che il premier, intepellato all’uscita da Montecitorio, dice “non ne so nulla”.
D’Alema, intervistato da L’Unità, sul tema dice che “sicuramente c’è la necessitò di una riforma elettorale, non so se ci siano le condizioni. Di certo, non si può andare avanti così. O andiamo a elezioni, che sarebbe la scelta più limpida, oppure serve una soluzione utile per il Paese, con un governo che si occupi di cambiare la legge elettorale e poi porti al voto”.

Conti

Ieri il procuratore generale della Corte dei Conti Luigi Mazzillo ha presentato la relazione 2011 sulla finanza pubblica. Un “richiamo” della Corte, secondo il Corriere della Sera, che sintetizza così il contenuto del rapporto: “Con i vincoli dell’Europa una manovra da 46 miliardi”. Senza contare la manovra da 35-40 miliardi di Euro che servirà, secondo la Corte, da qui al 2014, per portare il deficit vicino al pareggio, dal 2015 in avanti ci sarebbe bisogno di fare ogni anno una manovra da 46 miliardi di Euro per rispettare i vincoli europei sul debito pubblico. La Stampa riassume così il contenuto della relazione: “Impensabile tagliare le tasse. La spesa va ridotta ancora”. La Corte ritiene l’aggiustamento necessario paragonabile per dimensioni a quello realizzato nella seconda metà degli anni 90 per l’ingresso nell’Euro. La Corte – racconta La Stampa – dà un giudizio abbastanza positivo su quanto ha fatto il governo nel 2010, ma sottolinea la necessità di tagli alle spese severi, senza poter escludere aumenti di tasse. Una austerità non transitoria, ma permanente. “Sarebbe impraticabile qualsiasi riduzione della pressione fiscale”, ha detto Mazzillo.
Il Sole 24 Ore: “Persi 160 miliardi per la recessione. Corte dei Conti: spesa in calo per la prima volta dal 1980, ma pesano i tagli in conto capitale”.
La relazione è stata illustrata alla presenza del ministro Tremonti, che ha voluto affermare: “Forse la crescita è stata insufficiente, ma senza la tenuta del bilancio non ci sarebbe stata neppure questa crescita insufficiente”. Racconta poi il quotidiano che il ministro è passato al contrattacco, contestando le analisi dell’Istat, in base alle quali la povertà in Italia sta crescendo. “So che ci sono i poveri, ma credo che la rappresentazione Istat sia discutibile. Leggo che uno su quattro è povero, ma alzi la mano chi è povero”.
Il Corriere della Sera riferisce che lo stesso presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, ha voluto puntualizzare: “Sono rimasto sorpreso da quanto hanno riportato i giornali, che hanno utilizzato una riga della sintesi di 25 pagine del rapporto, e hanno confuso i dati sulla povertà col rischio di povertà e di esclusione sociale”.

Esteri

Il Foglio pubblica il discorso tenuto lunedì a Washington dal primo ministro di Israele Netanyahu, di fronte all’American Israel Public Affairs Committee, sotto il titolo “Il confine della libertà. Netanyahu riscalda l’amicizia con l’America, ma assicura che non tornerà alle frontiere del 1967.
Lo stesso quotidiano offre la cronaca dell’intervento che ieri lo stesso Netanyhau ha pronunciato davanti al Congresso degli Stati Uniti. Il premier come aveva promesso è entrato nei dettagli del processo di pace, dopo che Obama ha chiesto di fronte alla lobby israeliana dell’Aipac di ritornare ai confini del 1967 (in linea con Clinton e Bush, nota il Foglio) come basa per una trattativa, offrendo in cambio il voto contrario alla risoluzione Onu di settembre che potrebbe proclamare unilateralmente la nascita di uno stato palestinese, e confermando il rifiuto di trattare con Hamas. Netanyahu ha detto che Israele è “pronto a raggiungere un compromesso di ampia portata” ma “un accordo realistico deve riflettere i cambiamenti demografici che si sono registrati dopo il 1967”, ed ha aggiunto che “in Giudea e Samaria Israele non è una forza straniera che occupa”. “Dobbiamo essere onesti: in un vero accordo di pace alcune colonie ebraiche non saranno all’interno dei confini di Israele”.
Imperdibile è la foto del Presidente Usa Obama, impegnato in una partita di ping pong con il premier britannico Cameron. Viene pubblicata da La Repubblica, ad illustrazione del racconto della visita al primo ministro a Downing Street: “Che l’alleanza resti solida” – scrive Federico Rampini – lo dimostra la creazione decisa qui di un nuovo organismo permanente per coordinare l’intelligence e i comandi strategici dei due Paesi. Quanto di più vicino a una fusione. Eppure, come nel ping pong, il coordinamento tra i due non è perfetto come si vuole far credere”. Non solo perché la big society di Cameron viene esaltata come un modello negli Usa dai Repubblicani, ma perché vi sono crepe tra Washington e Londra sul piano strategico-militare. A partire dalla Libia. Il consigliere strategico di Obama Ben Rhodes, dice che il presidente è ottimista, che il tempo lavora contro Gheddafi, e che bisogna trovare il modo di aiutare gli insorti. Ma queste frasi nascondono tensioni tra gli alleati Nato. A Washington, l’autorizzazione del Congresso per la no-fly zone è scaduta, e Obama, per ottenere un suo prolungamento, deve sottolineare il profilo basso della partecipazione militare americana. Ma tanto inglesi che francesi non ce la fanno più a sostenere il grosso dell’intervento. I droni Usa sono decisivi per i colpi di precisione e a Londra cresce il malumore per una missione costosissima, di cui non sono chiare le finalità: protezione umanitaria della popolazione o rovesciamento di Gheddafi? Obama si aspetta poi un contributo sostanziale degli europei al suo piano Marshall per il mondo arabo: due miliardi di aiuti subito, più la riconversione della banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (la Bers), che allarghi i suoi investimenti, dall’est europeo alla riva sud del Mediterraneo.
La Stampa intervista l’Alto rappresentante della politica estera della Ue Ashton, che dice: “Gheddafi se ne deve andare”, “e tuttavia c’è qualcosa di nuovo, a Bengasi e oltre: la gente parla già del futuro, pensa e fa piani: nessuno vuole che alla caduta del rais si crei un pericoloso vuoto politico”. Oggi varerà la revisione della strategia per il vicinato dell’Ue, ovvero 27 miliardi di fondi in tre anni, la metà dei quali indirizzati ai Paesi del sud mediterraneo: “Si attendono molto dall’Europa. Non possiamo tradirli”. Ma il sostegno è condizionato (“le risorse vanno spese bene”). Lo slogan è “more for more”, più soldi per chi fa di più. Parla di una maggiore integrazione con la Ue. Gli Stati sono d’accordo per rafforzare i legami commerciali? “O abbiamo partner economici che crescono e consumano creando le premesse per una maggiore stabilità complessiva, oppure non apriamo i mercati e poniamo le basi perché si avveri lo scenario opposto”.
La Stampa dà conto dell’E-G8, il G8 di Internet, gli stati generali mondiali della rete, convocati da ieri a Parigi, e “fiore all’occhiello della presidenza francese del G8”, un grande spot per Nicolas Sarkozy. Il presidente ha ribadito le esigenze dei governi: basta anarchia, anche Internet ha bisogno di regole su temi controversi come il rispetto della privacy, la neutralità della rete, il diritto d’autore. Le critiche non sono mancate, dalla rete vengono le accuse di aver riunito solo un club di miliardari. Il quotidiano offre ai lettori due opinioni: quella di Juan Carlos de Martin (“i rischi per la libertà, cosa potrebbe nascondere la tassa europea su Google”) e quella di Rupert Murdoch (“Scuola, dal gesso al web”, “portiamo l’innovazione nelle aule dei nostri figli”).

(Fonte: La Rassegna Italiana di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)