l’università piace di meno ai giovani

Pubblicato il 8 Marzo 2011 in da redazione grey-panthers

Le aperture

La Repubblica: “La Nato: pronti a fermare Gheddafi. Russi contrari a interventi in Libia. Frattini: nessuna azione unilaterale. A Lampedusa sbarcati 1600 profughi. Nuovo record della benzina: 1,56 al litro”. E poi: “Obama non esclude l’opzione militare. Al Jazeera: ‘Il Rais tratta la resa, i ribelli rifiutano”. Sulla politica interna: “Ruby, Fli all’attacco. ‘No al conflitto di attribuzione’. Berlusconi operato alla mascella. 4 ore sotto i ferri”.
A centro pagina i dati sulle immatricolazioni all’università, dove “crollano le nuove iscrizioni”. “Le matricole diminuite del 9 per cento in 4 anni. E per i laureati poco lavoro, stipendi bassi e fuga all’estero”. Di spalla un articolo sull’8 marzo, firmato da Michela Marzano: “Il ritorno dell’8 marzo, un futuro rosa è possibile”.

Il Corriere della Sera: “Così saranno conciliati i tempi lavoro-famiglia”. Si parla di un accordo sulla flessibilità per dipendenti e imprese. “Nuove regole per conciliare lavoro e famiglia da inserire nella contrattazione collettiva. Intesa tra ministro del Lavoro e parti sociali, Cgil compresa. Orari flessibile per agevolare dipendenti e imprese”. Il titolo più grande: “L’Europa congela i beni libici. Pronte le nuove sanzioni. Gli aerei del regime bombardano i ribelli. A Lampedusa sbarcano in 1300”. A centro pagina il prezzo della benzina. A fondo pagina: “Il Papa risponderà alle domande in tv. Parlerà di Gesù in una trasmissione che andrà in onda il Venerdì santo”.

Il Sole 24 Ore: “La Nato in campo sulla Libia. Gli Usa: basta attacchi ai civili, scatta l’opzione militare. Petrolio e benzina record: la verde a 1,568 Euro. La Ue congelerà anche le partecipazioni dei fondi sovrani”. L’editoriale è firmato da Francesco Sisci: “Quattro assi per domare il dragone nuova Cina”.

Libero: “Obama imbufalito. Il pistolero pistola. Il Nobel per la pace pronto a fare la guerra in Libia mobilitando la Nato. L’Italia frena: per noi sarebbe una iattura. D’Alema perde la testa. Berlusconi come Gheddafi, difeso da mercenari”. Il quotidiano dedica la sua caricatura quotidiana a Berlusconi. “Silvio si è fatto la dentatura nuova”.

La Stampa: “La Nato avverte Gheddafi. Al Jazeera: il Colonnello offre le dimissioni ma i ribelli rifiutano una onorevole via d’uscita. La Ue congela i beni libici. ‘Stop agli attacchi ai civili, non staremo a guardare’. Mosca: no alla forza”. A centro pagina: “Operazione alla mandibola. Berlusconi 4 ore sotto i ferri. Dopo l’aggressione a Milano: è già a casa, forse giovedì torna al lavoro”.

Il Giornale: “Berlusconi sotto i ferri. Il partito dell’odio fa festa. Da oggi inizia un mese di fuoco. ‘Piazza continua’ per dare la spallata al governo. La deputata Rizzoli (Pdl): donne di sinistra in Parlamento grazie a favori sessuali”. A centro pagina: “Libia, venti di guerra vera. Ultimatum della Nato al rais”. L’editoriale, firmato da Alessandro Sallusti,. è dedicato alle annunciate risposte della magistratura alle annunciate riforme sulla giustizia del governo: “Ricatto a mano armata”, il titolo.

Europa: “Gheddafi sta esagerando e spinge la Nato alle armi. Tremendo effetto Libia, la benzina ai record, rischi di impennata dei mutui. Obama: valutiamo l’opzione militare. La Russia contraria. Si muove perfino l’Ue”.

Il Foglio: “Gheddafi prepara la battaglia perfetta contro i ribelli della Sirte. Il ritorno del colonnello. La Nato, con l’appoggio di Obama, minaccia azioni militari. I no di Russia e Cina al Consiglio di sicurezza. La doppia diplomazia italiana”. Di spalla: “Pattugliare la Tunisia. La Lega lo vuole, il Cav lo chiederà all’Europa”. Si parla di immigrazione ma anche dei rapporti tra Pdl e Lega Nord.

Il Fatto quotidiano: “Figli di papà e figli di nessuno. Che paese è quello dove la laurea non vale quasi nulla e si assumono i ‘parenti di’? Dove si sanano gli abusi del rampollo Moratti? Dove, senza santi in Paradiso, ti cacciano dall’Università per una sigaretta?”.

Su tutte le prime pagine la notizia che il marchio Bulgari è passato al colosso francese Lvmh. Il titolo ha guadagnato il 60 per cento a piazza Affari.

Esteri

Secondo Lucia Annunziata, su La Stampa, ogni giorno che passa “i combattimenti stanno svelando la assoluta improvvisazione con cui i ribelli hanno avviato la loro rivolta”, spiegabile con il contesto generale con cui si sono mossi. Ma la sorpresa di fronte alla resistenza di Gheddafi, dice la Annunziata, dimostra la “esilità delle nostre conoscenze e dei rapporti di forza, della situazione sul terreno e della struttura di potere nella Libia di Gheddafi”. Gli Usa stanno tendando di recuperare tale ritardo e secondo alcuni avrebbero inviato osservatori alle frontiere libiche per valutare la situazione dell’emergenza e parallelamente personaggi dell’intelligence statunitense starebbero cercando di capire da chi è fatta e come è composta l’opposizione.
Lucio Caracciolo, su La Repubblica, esordisce così: “Liberarsi di Gheddafi non è difficile. Basta ricolonizzare la Libia”.  Caracciolo sottolinea che “In Cirenaica non c’è ancora un vero capo né un fronte unitario” e a differenza che in Tunisia o in Egitto “a Tripoli non c’è rete autoctona che garantisca contro l’anarchia. Dunque: o un potere esterno colma il vuoto, oppure siamo nella grande Somalia”. Tanto Gheddafi che i suoi oppositori vogliono tutta intera la Libia e non amano “trovarsi stranieri tra i piedi”. La memoria dei colonialismi europei è fresca. E si cita la disavventura del drappello di spie e messi britannici “accorsi in un non richiesto soccorso delle milizie anti-Gheddafi”: scoperti con un arsenale degno di James Bond, i britannici sono stati catturati dai miliziani del Consiglio rivoluzionario di Bengasi e riaffidati alla marina di Sua Maestà. Solo l’intervento di una coalizione a guida americana con mandato internazionale potrebbe disintegrare ciò che resta del regime, ma si indosserebbero così “panni coloniali”.

Europa intervista Mansour El-Kikhia, ex esponente di spicco dell’opposizione, allontanatosi dal Paese nel 1980 dopo l’uccisione del fratello. Perché in Libia la rivoluzione non ha la stessa fortuna di quella egiziana e tunisina? “La rivoluzione libica, in realtà, sta avendo molto più successo di quanto ci si aspettasse. Si combatte senza sosta in città come Misurata e Zawia, gli insorti puntano verso ovest, verso Tripoli. E soprattutto verso Sirte, che ha grande valore simbolico in quanto città natale del Colonnello”. Lo stallo si deve al fatto che – malgrando l’opposizone sia unita – ci sono settori del Paese che non riescono a voltare le spalle a Gheddafi, perché sanno che le proprie sorti dipendono da lui: le tribù, di cui il Colonnello si è guadagnato il sostegno grazie al denaro. El Kikhia dice che le sanzioni non sono state efficaci, sconsiglia un intervento diretto e ritiene invece che la soluzione migliore sarebbe l’imposizione di una no-fly zone.

Sul Corriere della Sera si scrive che Obama non vuole farsi coinvolgere in un altro conflitto senza fine, e considera anche la no-fly zone sulla Libia (cioé un’area più vasta della California e del Texas messi insieme) un impegno troppo gravoso. Sarebbe tentato allora da una mossa che ricorda la dottrina Reagan degli anni 80: aiutare i rivoltosi non con un intervento diretto, ma fornendo armi e sostegni logistici. Si riferisce di un articolo pubblicato ieri da Robert Fisk, secondo cui la Casa Bianca avrebbe chiesto all’Arabia Saudita di sostenere i ribelli libici armandoli e fornendo loro denaro. Razzi anticarro e missili aerei magari made in Usa, ma fornite dall’Arabia Saudita. Ma quest’ultima non avrebbe ancora risposto, anche perché colpita anch’essa da manifestazioni contro la monarchia.
Intanto il nostro ministro degli esteri ha dichiarato ieri che l’Italia ha contatti con il Consiglio provvisorio degli insorti di Bengasi: “Con discrezione”, ha precisato, anche citando l’episodio che ha coinvolto i britannici (“I nostri amici inglesi ci hanno provato e il Consiglio provvisorio ha detto che si rifiutava di incontrarli”).
Secondo Il Giornale dalla Nato è arrivato un “ultimatum al rais”, e “adesso Obama vuol portarci in guerra”.
Il Foglio dedica una intera pagina (“Sulle tracce di Gheddafi”) alle ipotesi sul campo: dall’attacco alla no-fly zone, passando per l’episodio che ha coinvolto le spie britanniche ma che comunque non dissuade il premier Cameron dal vagliare a fondo la possibilità di un intervento in chiave di “ingerenza umanitaria” blairiana.

Su La Stampa un tentativo di rintracciare “la galassia degli insorti”: il consiglio nazionale libico è guidato dall’ex ministro della giustizia Jalil. Nell’organismo ci sono prigionieri politici, banchieri, figli di esuli uccisi.
Walter Veltroni, intervistato da Il Sole 24 Ore, torna sull’invito rivolto al centrosinistra a manifestare a sostegno dei ribelli libici. Cita la mobilitazione che ci fu per le guerre dell’Iraq e dell’Afghanistan, e dice: “Mi rendo conto che ora non c’è più un Bush da contestare”, ma siamo “in un mare aperto in cui serve una bussola nuova, in cui il tema libertà-non libertà conti più di prima”. Dice di essere particolarmente sorpreso dalla “assenza di sindacati, associazioni, movimenti”.

Ieri il presidente Obama ha emanato un ordine esecutivo che da una parte autorizza nuovi processi militari contro i sospetti terroristi a Guantanamo, e dall’altra dà luce verde alla detenzione a tempo indeterminato di individui che – pur non essendo stati incriminati – sono considerati una minaccia per la sicurezza nazionale Usa. Ne parla ampiamente il Corriere della Sera, spiegando che il Presidente Usa ha ieri riaffermato la sua intenzione di portare i presunti terroristi nelle aule dei tribunali civili. La Casa Bianca ha riaffermato di voler chiudere Guantanamo. Ai liberal che accusano Obama di tradimento ha replicato il ministro della difesa Gates, sottolineando come si tratti innanzitutto di un problema logistico: “Il congresso ha reso impossibile processare i sospetti sul suolo Usa. O consegnarli ad altri Paesi perchè vengano processati all’estero”.

Ieri si è celebrata a Parigi la prima udienza del processo che vede imputato l’ex presidente Chirac, per fatti riferibili a quando era sindaco di Parigi (dal 1977 al 1995). Il Sole 24 Ore spiega che tanto la procura che l’avvocato di uno dei nove coimputati dell’ex presidente hanno chiesto al tribunale di pronunciarsi su una questione di costituzionalità relativa alla possibile prescrizione dei reati. Chirac viene accusato di aver utilizzato fondi pubblici per pagare gli stipendi ai dipendenti del suo partito. Sarebbe il primo presidente francese alla sbarra. Fino al 2007 ha potuto beneficiare dell’immunità. L’attuale ministro degli esteri Juppe è stato condannato nel 2004 nell’ambito della stessa inchiesta. Il Foglio scrive che “per i suoi concittadini è già assolto”. In una lunga analisi il quotidiano diretto da Ferrara spiega che “perfino gli arcinemici di Chirac” hanno deposto le armi: il sindaco socialista di Parigi Delanoe ha rinunciato a costituirsi parte civile, dopo un accordo extragiudizario da più di due milioni di Euro. “La messa è finita, l’accanimento giudiziario non è mai stato il mio forte”, dice Cohn Bendit. Secondo un sondaggio soltanto il 56 per cento dei francesi ritiene che Chirac debba essere processato come qualsiasi cittadino. “Il Tribunale giudica Chirac, ma la Francia lo ha già assolto”, scrive il corrispondente da Parigi del Corriere della Sera: “I francesi (e non solo loro) chiedono ai politici una ammissione di responsabilità” più che “l’espiazione a scoppio ritardato della colpa”.
Forse oggi, forse domani, Chirac comparirà nella “Chambre dorée”, l’aula più famosa del palazzo di giustizia, dove venne condannata a morte Maria Antonietta. Anche La Repubblica scrive che tanto a destra che a sinistra si mostra indulgenza e il Pubblico ministero è pronto a chiedere l’assoluzione. Scrive il corrispondente del quotidiano che “il 71 per cento dei francesi pensa che Chirac vada giudicato come un cittadino qualsiasi”.

Alla assemblea del Parlamento cinese è dedicata una lunga analisi-corrispondenza sul Sole 24 Ore, dove si tenta di individuare anche coloro che saranno gli uomini chiave del Partito, che guideranno il Paese dal 2012 al 2022.

Su Europa un intervento critico di una giornalista turca corrispondente in Italia contro la politica del governo Erdogan: si riferisce agli arresti di alcuni suoi colleghi in patria che hanno fatto particolarmente scalpore. Ma la lista di casi che sembrerebbero rimettere in discussione la libertà di stampa o che che farebbero dubitare che l’egemonia del partito di Erdogan possa essere un modello è lunga.

Politica

“Bossi sterza: ‘la Lega corre da sola alle comunali'”, titola Il Giornale, spiegando che “per il senatur ‘è arrivato il momento di recuperare l’identità. Liberi il più possibile'”, tranne che nelle grandi città. Nei ballottaggi è sicuro l’apparentamento con il Pdl, ma “nessuna alleanza con l’Udc”.
Il Corriere della Sera spiega anche che dalla Lega è arrivato un via libera a Letizia Moratti candidata del centrodestra a Milano. E che il Carroccio correrà in coalizione nelle grandi città (Milano, Torino, Bologna). Per il resto deciderà caso per caso, ma la tentazione di correre da soli è forte.
Libero: “Progetto Lega: da sola ovunque si può. Bossi accetta l’alleanza solo a Milano, Torino e Bologna. Maroni incaricato di mediare sulla giustizia”.
Tornando al Corriere, un’analisi viene dedicata al “fattore Maghreb” nella campagna elettorale. Bossi sarebbe convinto che l’allarme invasione possa avvantaggiare il centrodestra.

(Fonte: Rassegna italiana di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)