Le aperture
Il Corriere della sera: “L’incognita greca scuote l’Europa”. “Le Borse bruciano 287 miliardi, Milano perde il 5,17 per cento. Merkel: se salta la moneta unica salta l’Unione”. “Tsipras: vogliono cacciare il governo ma resto premier a tutti i costi”. “Il Tesoro: Italia esposta per 39,5 miliardi”.
A centro pagina una intervista. “Poroshenko: ‘Putin non rispetta i patti. Chiediamo armi pesanti agli Usa’”. “Il presidente ucraino: pronti al negoziato, non allentate le sanzioni”.
A fondo pagina le vicende francesi di Uber: “Chi vuole mettere agli arresti una app. Francia, due dirigenti di UberPop in stato di fermo. Bloccheranno così i taxi fai da te?”.
La Repubblica: “Atene affonda le Borse”, “Milano la peggiore: -5,17%, colpite soprattutto le banche. Madrid nel mirino”, “ . , “Obama spinge per un’intesa. Merkel e Hollande: trattare anche dopo il referendum”.
A centro pagina: “L’appello di Juncker: greci, votate sì”.
La Stampa: “Bors ko, ultimo appello alla Grecia. Tsipras in tv: respingiamo i ricatti”, “L’Ue rompe la neutralità: votate sì all’accordo. Merkel: se fallisce l’euro, fallisce l’Unione”, “Anche Obama e la Cina in campo per un’intesa. I mercati europeo perdono 287 miliardi, Milano -5%”.
Sulla colonna a destra: “Così l’intelligence Usa controlla il Maghreb dalle basi italiane”, “strage in Tunisia, sette arresti”.
A centro pagina: “Ora Renzi anticipi la manovra”, di Alberto Mingardi.
E la vicenda Uber in Francia: “Parigi, pugno duro contro Uber. Fermati i due capi”, “Schierati 200 agenti anti-abusivi”.
L’Unità torna oggi in edicola ed ospita in prima un intervento del presidente del Consiglio Matteo Renzi: “La tua casa è l’Italia”. A salutare i lettori è il direttore Erasmo D’Angelis, con l’editoriale “Voglia di Unità”.
Il titolo di apertura: “#AntimafiaCapitale”, “Ecco le centinaia di associazioni di volontari che raccontano la vera Roma”, “Fuori i corrotti e i corruttori: la prima campagna del nostro giornale”.
In prima la foto della cancelliera Merkel davanti ad un busto di Socrate: “Magna Grecia”, “La Ue contro il referendum”.
Accanto alla testata, una foto di Papa Francesco: “Papa Francesco: basta saccheggiare la terra. L’enciclica integrale di Bergoglio a puntate su L’Unità”.
A fondo pagina: “Il racconto della piccola Lia: ‘Io felice con due papà’”, “Dieci anni fa la decisione del parlamento spagnolo di legalizzare le nozze gay. Il vento dei diritti soffia forte sul mondo, dall’America all’Italia”.
In prima anche un richiamo per il lungo intervento del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni: “La grande sfida contro il terrorismo globale”.
Il Sole 24 ore offre in alto una intervista al presidente del Consiglio Renzi: “Renzi: siamo fuori dalla linea del fuoco, vi spiego perché”. “Il percorso iniziato di riforme strutturali, l’economia che torna a crescere e l’ombrello Bce ci mettono al riparo dai rischi di un default greco”.
Il titolo grande: “Shock Grecia sulle Borse mondiali”. “Piazza Affari -5,17, Madrid -4,56, spread in tensione per Italia e Spagna, Btp al 2,39 per cento”. “Lunedì nero (senza panico) sui mercati finanziari dopo lo strappo di Tsipras. Listini europei e Wall Street in rosso, cadono le banche. Euro in rialzo sul dollaro”.
E poi: “L’appello di Merkel: se fallisce l’euro può fallire anche l’Europa”.
Il Giornale: “E’ guerra, primi feriti”. “Crollano le Borse, Milano brucia 36 miliardi. Si muovono Cina e Usa, Renzi scappa. Anche la Merkel ora ha paura che salti il sistema”.
A centro pagina: “In Italia ci sono già 50 mila musulmani che tifano per i tagliagole dell’Isis. Il terroe è tra noi”.
Grecia
Su La Stampa il corrispondente da Bruxelles Marco Zatterin sottolinea come l’emergenza abbia riscritto “il galateo politico dell’Europa. Il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, ha rotto ieri uno storico tabù e ha invitato gli elettori greci a votare ‘sì’ al referendum del 5 luglio. Non s’era mai vista un’invasione di campo nelle questioni nazionali così netta. Il lussemburghese ha voluto giocare il tutto per tutto. ‘Un ‘no’ sarebbe interpretato come una presa di distanza, un rifiuto dell’Unione e dell’euro’, ha detto, dando la linea al dibattito che ha animato il fronte a 12 stelle sino a notte. Da un lato si invita Atene a evitare il peggio. Dall’altro, si continua a tendere la mano per scongiurare il tracollo e la crisi. ‘Se fallisce l’euro -afferma con tono grave la cancelliera Merkel- fallisce la Ue’. Oggi è l’ultimo ‘G-day’ che rientra nelle regole già scritte, il ‘Giorno più lungo della Grecia’ che, salvo miracoli, comporterà due eventi da ‘peggior scenario’. Alle ore 18 di Washington, il Fondo monetario internazionale si aspetta che Atene gli invii un bonifico da 1,6 miliardi, cosa che difficilmente accadrà. A mezzanotte scade anche il secondo programma di salvataggio coi 7,2 miliardi che avrebbero permesso a Tsipras di pagare i debiti per qualche settimana: la rottura di venerdì sera ne ha impedito l’utilizzo”.
Su La Repubblica, pagina 2: “Atene affonda le Borse, addio aiuti. Juncker, appello ai greci: ‘Votate sì’”, “Ue: delusi da Tsipras. Il premier: ‘I voti per il no ci rafforzano’. Oggi nessun rimborso all’Fmi. Europarlamento chiede summit. Merkel: ‘Senza euro fallisce la Ue’”. Andrea Bonanni, da Bruxelles, scrive che “come sempre, la fine della ricreazione la suona Angela Merkel, quando si dice pronta a riaprire i negoziati, ma ‘dopo il referendum’. E spiega anche di non vedere ‘alcun motivo’ per convocare un summit straordinario dell’eurozona: richiesta avanzata dal vertice dei capigruppo del Parlamento europeo”. Più avanti si dà conto della posizione espressa dal presidente del Parlamento europeo, il socialdemocratico tedesco Martin Schulz, invitando i greci a votare sì al referendum: “Il referendum greco -ha detto- non riguarda solo il sì al piano Ue, ma è un voto fondamentale sul fatto se Atene intende stare nell’eurozona o no”.
Sulla stessa pagina, in un “retroscena” di Alberto D’Argenio, si legge che “quando alle istituzioni europee una manina di ‘Nia Dimokratia -il partito conservatore dell’ex premier Samaras- ha fatto arrivare la bozza del quesito referendario prima che questa venisse resa nota in Grecia, tutti sono caduti dalle sedie. Tsipras esplora un inedito della psicologia politica: sulla scheda della consultazione popolare il ‘no’ viene prima del ‘sì’”. Ma, scrive D’Argenio, “c’è un altro punto, molto politico, che a Bruxelles e nelle grandi cancellerie non hanno mandato giù. I greci non voteranno sull’ultima proposta degli europei pubblicata due giorni fa da Juncker, ma su un testo più vecchio, meno appetibile per i cittadini ellenici. Che non contiene gli ultimi passi avanti negoziali registrati venerdì notte prima che Tispras facesse saltare il banco convocando il referendum”.
Il quotidiano intervista Costas Lapavitsas, deputato dell’ala più radicale di Syriza e professore di economia all Soas University of London: “L’intromissione di Juncker sul referendum è l’ultima prova che la Troika continua a ricattare la Grecia. Atende deve votare ‘no’ e voltare pagina. L’addio all’euro? Qualsiasi cosa, per quanto dolorosa, è meglio di un’altra overdose di austerità imposta da Ue, Bce e Fmi”.
Su La Stampa: “L’intesa era davvero impossibile?”, di Marco Zatterin, “In pensione a 67 anni, tagli alla Difesa e Iva con nuove aliquote: i punti a cui la Grecia ha detto no. Ma Tsipras non ha aperto neppure sul salario minimo. Ecco le posizioni di Atene e Bruxelles”.
Alla pagina delle “Idee” de La Repubblica, a confronto le opinioni di Jean-Paul Fitoussi (“Rischiamo il disastro, la Merkel poteva evitarlo se voleva salvare la Ue”, “La Germania potrebbe ricordarsi che dopo la seconda Guerra mondiale le fu condonato un immane debito”) e di Lucrezia Reichlin (“Governo greco inetto, ma questa Europa non sa dare speranza”, “Con l’uscita di Atene entrano in crisi le fondamenta stesse del progetto dell’Unione, e le colpe sono di tutti”).
Su Il Giornale Fabrizio Ravoni definisce “una ingerenza senza precedenti” l’intervento di Juncker che ha auspicato il sì al referendum greco. E aggiunge che “non è l’unica ingerenza in atto. I capigruppo del Parlamento europeo hanno votato una mozione con cui chiedono la convocazione di un altro consiglio europeo straordinario sul caso greco, prima di domenica prossima. Unico gruppo astenuto, i Popolari”, cita le preoccupazioni di Obama e cita la visita – ieri a Bruxelles – del premier cinese Li Kequiang, perché la Cina si è detta pronta “a giocare un ruolo costruttivo”, e che Pechino ha già “fatto i propri sforzi per aiutare la Grecia a superare la crisi”. “Formalmente, Li Kequiang ha voluto difendere gli investimenti cinesi in Eurolandia in quanto maggior partner commerciale nonché maggior detentore di titoli sovrani in euro. Ma è ovvio che Pechino punti a estendere ulteriormente la propria sfera di influenza. Anche la Russia di Vladimir Putin ha già conseguito un importante risultato: il nuovo gasdotto che porterà il metano in Europa non passerà più per l’Ucraina, ma per la Grecia. Questo genere di accordi potrebbero innescarne altri di tipo strategico-militare. Ecco perché la Nato è seriamente preoccupata dell’evoluzione della crisi greca”.
Anche sul Sole spazio per le dichiarazioni del premier cinese Li: “Tenete la Grecia nell’euro”.
Sul Corriere l’editoriale firmato da Antonio Polito: “contravvenendo a una regola ferrea che proibisce a Bruxelles di ingerirsi nelle vicende interne degli Stati, è stato proprio il capo della tecnocrazia non eletta della Commissione, l’impettito Jean-Claude Juncker, a rivolgersi direttamente al popolo greco affinché dica sì al referendum, e smentisca così la coppia scravattata Tsipras-Varoufakis. In cambio, gli fa eco Berlino, nuove trattative dopo il referendum; e forse, chissà, anche la ristrutturazione di un debito a detta di tutti non sostenibile, un ostacolo ormai insormontabile per qualsiasi nuovo inizio”. “Ma è una tragica ironia della storia che, in questa sfida democratica senza precedenti con un Parlamento nazionale, il campione del progetto europeo finisca per essere proprio Juncker, certo non il volto più seducente da schierare contro i demagoghi di Atene”.
Su La Repubblica, in prima, l’analisi di Giancarlo Bosetti, direttore di “Reset”: “Che cosa resta del popolo sovrano”. Scrive Bosetti: “Che cosa resta della ‘sovranità popolare’ nel referendum di domenica prossima in Grecia? Qualcosa sì, certo, e importante, ma siamo lontani da quel che quelle parole significavano quando gli Stati-nazione perimetravano con certezza l’orizzonte del comando politico, economico, militare e quello del diritto. I greci pronunceranno un nai o un oxi, un ‘sì’ o un ‘no’, apparentemente chiari. Ma indirizzati a ordini di ‘sovranità’ assai diversi, nazionale, europeo, internazionale”. Sulla piazza “strettamente greca”, scrive Bosetti, i sì e i no saranno un modo di misurare il consenso al partito di maggioranza relativa e forse anche dei simpatizzanti di Tsipras sparsi per l’Europa: “ma è questa la posta delle vera sfida? C’è da dubitarne. La catena degli effetti dell’uno o dell’altro risultato non è controllabile. Quale ne sia l’esito, questo passaggio drammatico segnala una fase inevitabile di trasformazione dell’Unione europea, una costruzione che sta in mezzo al guado, tra livelli di sovranità, vecchi e resistenti (nazionali), oppure nuovi e latenti (federali), tra rischio di retrocedere e disintegrarsi da una parte e possibilità di dar luogo a une vera costruzione politica dall’altra”.
In prima su La Stampa un editoriale di Gian Enrico Rusconi (“La cancelliera e un gioco pericoloso”). Scrive Rusconi, ricordando che il ministro greco delle Finanze Varoufakis, nei momenti di successo di cui godeva, si lasciava lodare come grande esperto di teoria dei giochi, che “il referendum popolare per il rifiuto del compromesso offerto dalla Commissione europea è il tentativo di cambiare gioco, introducendo una risorsa che spiazza l’avversario -la legittimità della sovranità popolare. A meno che proprio questo gioco non si rivolti contro chi l’ha proposto, contro il governo Tsipras. E’ questo l’esito che in cuor suo si augura la cancelliera Merkel. E allora forse farà anche qualche consistente sconto in più ai greci che vogliono rimanere cittadini europei”.
Sul Corriere Danilo Taino, da Berlino, scrive che “Frau Merkel continua a volere la Grecia nella moneta unica. Ieri, però, ha cambiato tono. Davanti ai dirigenti del suo partito, la Cdu, ha reso omaggio, tra applausi scroscianti, a Wolfgang Schäuble per come ha gestito la trattativa con Atene. A smentire che lei sia la colomba e il suo ministro delle Finanze il falco”. Quanto alla Banca centrale europea, ieri “è stata sul mercato per l’intera giornata e gli operatori dicono che è intervenuta in momenti critici per rallentare le vendite. Domani, terrà un’altra riunione del Consiglio dei governatori per decidere se mantenere invariata la quantità di liquidità d’emergenza (vitale) che ha dato alle banche elleniche, se aumentarla, se ridurla. Gran parte degli operatori si aspetta che mantenga le cose come stanno fino a dopo il referendum del 5 luglio. Draghi non può dare altro denaro a un Paese che non sembra in grado di restituirlo. Ma non può nemmeno togliere quello che ha già dato”. “Draghi e la Bce, insomma, stanno puntellando Atene: le danno qualche giorno per evitare la Grexit”.
Secondo Il Sole la Bce si prepara anche ad una uscita della Grecia dall’euro. Una possibilità che “non può essere esclusa” secondo Benoit Coeurè, consigliere esecutivo della Bce, in una intervista a Les Echos in cui rispondeindirettamente alle affermazioni di Yannis Vorufakis, che dalle colonne del Telegraph ha evocato la possibilità di un ricorso alla Corte di giustizia europea da parte di Atene per bloccare l’espulsione dall’euro. “Considereremo di certo un’ingiunzione alla Corte di giustizia europea. La nostra appartenenza non è negoziabile” ha detto Varoufakis. Coeure’ dalle pagine di Les Ecohs, si dice sicuro che “se al referendum prevarrà il sì le autorità dell’area euro troveranno un modo per onorare gli impegni. Se prevarrà il no sarà difficile ristabilire un dialogo politico”.
Sul Corriere alla pagina dei commenti Wolfgang Munchau firma un commento: “L’impresa difficile (ma possibile) di salvare le banche greche”. “Francia e Italia potrebbero tentare di riaprire le trattative per evitare il Grexit, convincendo la Germania”. Servirebbe, a giudizio di Munchau, un intervento diretto della Bce sulle banche greche, che rischiano il fallimento perchè fallirebbe lo Stato greco. Non soldi al Paese ma soldi freschi e una ristrutturazione delle banche, fino a sottrarli persino alla legislazione greca. Se ci fosse una unione bancaria sarebbe stato più semplice, dice Munchau. Ma Italia e Francia potrebbero lavorare per questa soluzione.
Francesco Grillo sul Messaggero scrive del “default politico” dell’Europa sulla vicenda greca. “Non è un referendum sulla permanenza della Grecia nell’Euro quello che si terrà domenica prossima e che ci ha fatto scivolare nel precipizio sul cui orlo stavamo danzando da cinque anni”, perché i greci sono chiamati a decidere “‘solo'” se “accettare o meno i termini di un accordo proposto da Banca Centrale Europea, Commissione e Fondo Monetario Internazionale e che, però, nella commedia degli equivoci che ci intrappola, potrebbe essere già non più valido vista la decisione delle tre istituzioni di negare l’estensione del piano di salvataggio che ne era la contropartita”, ricorda Grillo. “I Greci potrebbero rifiutare le condizioni richieste dalla Troika e fallire il giorno dopo. E, tuttavia, nessuno potrà sbattere fuori dall’Euro i Greci, a meno di voler operare un inedito ‘colpo di stato’ a livello europeo: del resto uno dei problemi dell’Euro è che fu concepito come un matrimonio senza alcuna clausola che preveda e disciplini un eventuale divorzio”. Grillo scrive che “non può che essere giudicata fallimentare una terapia intensiva che ha prodotto un peggioramento delle condizioni del paziente e una crescita del rapporto tra debito pubblico e PIL dal 130 al 170 per cento”, in Grecia, ma più in generale in Europa è stato “un errore” contrapporre “l’argomento dell’austerità a quello della crescita infilandoci in una di quelle guerre di trincea che impediscono di fare un qualsiasi passo avanti”. Secondo Grillo i greci probabilmente voteranno no ad un accordo “e ad un metodo che, finora, è sempre partito dall’assunto che l’Europa è questione troppo complicata per poter essere spiegata ai cittadini; ma voteranno, probabilmente, sì – tra un anno – gli inglesi, se l’Unione dovesse ricordarsi che le istituzioni sopravvivono solo se capaci di risolvere i problemi e di non trattare i cittadini come chi tutt’al più ratifica decisioni”. La possibile ricetta per uscire dall’angolo è “ricominciare da leader che siano capaci di far sentire ad un numero sufficientemente elevato di persone che l’Europa è un patrimonio di tutti e di sfidare sul terreno del consenso chi ci vuole chiudere a difesa di sicurezze che si stanno sgretolando”.
Renzi
Lunga intervista del direttore del Sole a Matteo Renzi. Sulla Grecia dice che “l’Italia è già fuori dalla linea del fuoco. Abbiamo iniziato un percorso coraggioso di riforme strutturali, l’economia sta tornando alla crescita e l’ombrello della Bce ci mette al riparo: tre caratteristiche che rendono questa crisi diversa da quella di quattro anni fa. La questione greca è preoccupante perché l’Europa non ha una visione politica di lungo periodo che da tempo manca. E può avere ripercussioni economiche soprattutto per i rischi di contagio con altri Paesi extraeuropei debitori del Fondo monetario internazionale. La mia preoccupazione dunque non è per ciò che potrebbe accadere all’Italia, ma per gli scenari globali di difficoltà che si potrebbero aprire”. Sul ruolo dell’Italia rispetto a a Francia e Germania: “I due Paesi procedono insieme ovunque: per la crisi Ucraina, per la Grecia, per il riassetto dell’Eurozona, per l’immigrazione. Che poi queste proposte funzionino o meno lo dirà il tempo. Noi ce li ricordiamo nel sorrisino di Cannes di Sarkozy quando sul banco degli imputati avevano messo noi. Qual è il nostro posto? Il nostro posto in passato era tra i problemi, adesso è tra quelli che provano a risolvere i problemi”. E ancora: “I luoghi dove si fanno le trattative non sono quelli a favore di telecamere. Nel merito l’Italia ha tentato fino all’ultimo di riportare buon senso e ragionevolezza, contribuendo all’ultima proposta della Commissione, quella più favorevole alla Grecia. Il no di Alexis e dei suoi mi è sembrato inutilmente ostinato”. Sulla Grecia: “Il punto è che la Grecia può ottenere condizioni diverse ma deve rispettare le regole. Altrimenti non c’è più una comunità. Scusi, noi abbiamo fatto la riforma delle pensioni: ma non è che abbiamo tolto le baby pensioni agli italiani per lasciarle ai greci eh!”. E ancora: “Noi vogliamo salvare la Grecia. Ma devono volerlo anche i greci. Altrimenti non funziona”. “Dare la colpa alla Germania di ciò che sta avvenendo in Grecia è un comodo alibi che non corrisponde alla realtà. Dare sempre la colpa ai tedeschi non può essere una politica. Può tirare su il morale, ma non tira su l’economia”. Sul referendum dice che ha sbagliato “il mio amico Juncker a lanciare la campagna elettorale del ‘sì’. Questo non è un referendum tra leader europei. Questo è un ballottaggio: euro o dracma. I greci non devono dire se amano più il loro premier o il presidente della commissione europea. Ma se vogliono restare nella moneta unica o no”. Secondo Renzi se vincono i no “la Grecia va verso l’abbandono dell’euro. Torna alla dracma”. Renzi elenca i risultati del suo governo (legge elettorale, jobs act, legge sulla corruzione, “operazione 80 euro” e – alla fase finale – scuola, pubblica amministrazione e riforma costituzionale. Renzi rivendica anche di aver “personalmente bloccato la riforma del catasto perché era una buona norma in teoria ma non potevo garantire gli effetti fiscali”. Chiede Napoletano: “Ci spiega finalmente perché avete cambiato i vertici della Cassa depositi e prestiti prima della scadenza assembleare? Qual è il mandato che hanno i nuovi amministratori? La Cdp diventerà una banca pubblica per lo sviluppo? Che cosa diventerà?”. Risposta: “La missione di Cdp non cambia. Rimane la stessa con attori nuovi. Il che non mi sembra un dramma dopo cinque anni. Lo hanno spiegato molto bene Franco Bassanini e Giovanni Gorno Tempini, cui va la mia gratitudine per il loro lavoro. Se qualcuno pensa che sia un pasticcio nominare due professionisti come Claudio Costamagna e Fabio Gallia buon per lui. All’estero stanno notando come tanti privati si facciano tentare dal venire a dare una mano all’Italia. Il primo è stato Andrea Guerra, certo. Ma non sarà l’ultimo”.
Su Il Giornale si legge che “se a febbraio dello scorso anno Renzi dettava l’agenda ora a malapena la insegue” e dunque si ritrova “a subire l’agenda che dettano altri. L’Europa, per esempio, che è concentrata soprattutto sulla crisi della Grecia e sull’emergenza immigrazione, due fronti su cui il leader del Pd gioca in difesa ormai da giorni. Ma pure in casa nostra la musica non cambia di molto, con il premier costretto ad inseguire la minoranza dem su tutti i temi sensibili. La riforma sulla scuola è il fronte più delicato e si porta dietro uno strappo che sta ormai lacerando l’intera sinistra”.
Tunisia, terrorismo, Egitto
Su La Stampa, l’inviata a Sousse, Grazia Longo: “Sette arresti per la strage di Sousse. Il killer era stato addestrato in Libia”, “Colpita la cellula terroristica di Rezgui, ma restano i dubbi sulla dinamica dell’attentato. Dodicimila aspiranti jihadisti tunisini bloccati mentre volevano andare in Siria e Iraq”. I sette arresti sono stati effettuati tra Sousse, Tunisi e Kasserine. E mentre si rafforzano le misure di sicurezza sulle spiagge e contro i terroristi, “ci sono ancora molte perplessità”: “e non solo perché anche dopo l’attentato al museo del Bardo, lo scorso 18 marzo, venne rilasciata la maggior parte della trentina di persone arrestate. Stavolta anche molti punti oscuri gravano anche sulle modalità della strage”, visto che non è neanche chiaro se l’attentatore sia arrivato dal mare, come sostengono alcuni bagnanti, o a bordo di un’utilitaria, come afferma il ministro dell’Interno Gharsalli.
Sulla stessa pagina ci si riferisce alla foto che è circolata nei giorni scorsi e che ritrae l’attentatore con il kalashnikov in mano dopo la strage: lungi dall’esser stati inerti, i tunisini che si trovano alle sue spalle hanno formato una “catena umana” , si sono offerti come “scudi umani” e gli hanno urlato: “ti devi fermare, se vuoi ammazzare altra gente devi ammazzare prima noi. E noi siamo musulmani”.
Mohsin Hamid, lo scrittore anglo-pakistano autore de “Il fondamentalismo riluttante”, in un’intervista a La Repubblica, dice: “I nuovi terroristi sono figli di emarginazione e terrorismo”.
Su L’Unità un lungo intervento del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni: “La grande sfida del terrorismo globale”, “Un’unica crisi lega il venerdì nero di Tunisia, Francia, Kuwait. Dobbiamo fronteggiarla con nuovi strumenti. La lotta al Daesh richiede strategia a più livelli. Il Mediterraneo può disegnare i confini della nuova politica”, “Il ‘primato’ del Mediterraneo nella politica estera italiana è, anzitutto, un principio di realtà per un Paese con 8000 chilometri di coste ed esposto nel suo vicinato ai focolai di instabilità, anche nelle loro implicazioni economiche ed energetiche”.
Su La Repubblica, una lunga analisi di Patrick Cockburn, con copyright “The Independent”, dedicata all’Is: “Un anno di califfato, così gli errori dell’Occidente hanno aiutato l’Is”, “Nonostante i bombardamenti aerei della coalizione guidata dagli Usa, lo Stato islamico è più forte oggi di quanto non fosse quando è stato proclamato. Fra le cause della disfatta, le valutazioni sbagliate di Stati Uniti e Unione europea, ma anche la debolezza degli alleati iracheni e siriani”, “La crescita della rivalità fra sunniti e sciiti, l’ideologia estremista e l’abilità militare: sono questi tre elementi che fanno degli uomini di Al Baghdadi una realtà molto difficile da sconfiggere”.
Su La Stampa, il “retroscena” di Paolo Mastrolilli: “Così aerei e truppe speciali Usa controllano il Maghreb dall’Italia”, “Washington ha stretto un’intesa con il governo per un’intesa con il governo per usare oltre a Sigonella anche la base di Pantelleria per i voli di ricognizione in funzione anti-terrorismo”.
Sul Corriere una intervista a Rachid Ghanouchi, “leader islamico tunisino”, leader storico di Ennahda, che fa parte della maggioranza di governo. Dice che il terrorismo vuole colpire il suo Paese perché “con successo sta conducendo la transizione verso la democrazia”, dice che il terrorismo non si batte solo con la repressione “bensì con l’educazione nelle scuole, con la predicazione nelle moschee, il lavoro sull’opinione pubblica”. Del suo movimento dice che fin dall’11 settembre ha condannato il terrorismo: “Per me è quasi banale ripetere che siamo noi musulmani moderati le prime vittime del terrorismo jihadista”. Sui tre o quattromila tunisini che sarebbero arruolati nelle fila dell’Isis dice che non sa quanto siano “magari è un numero esagerato” e che comunque “sono pericolosi e vanno combattuti senza tregua”. Sull’intervento militare in Libia: “Sono contrario in linea di principio ad interventi militari stranieri. Si pensi all”Iraq che dall’invasione del 2003 è scivolato nel caos e destabilizza il Medio oriente.
Da segnalare dal Sole la notizia dell’uccisione ieri al Cairo del Procuratore generale Hisham Barakat, giudice dei processi ai Fratelli Musulmani, “da tempo nel mirino del ramo dell’Isis in Egitto”. Il convoglio che scortava il giudice è stato colpito da un’autobomba. Almeno tre passanti sono morti sul colpo, lui è morto poco dopo in ospedale. La rivendicazione è stata fatta da un movimento chiamato Resistenza popolare di Giza, nome fino ad oggi sconosciuto.
Anche su Il Giornale: “Bomba dei Fratelli Musulmani. Ucciso il giudice anti Califfato”. Secondo il quotidiano l’attentato è stato rivendicato dalla organizzazione Moqawma Al Shabia, “cellula terroristica notoriamente vicina ai Fratelli Musulmani”.
Ucraina
Sul Corriere intervista a Petro Poroshenko. Ricorda che “gli accordi di Minsk sono stati firmati il 12 febbraio tra Ucraina e Russia, con la mediazione decisiva della cancelliera Merkel e del presidente Hollande. Le misure da attuare sono quattro: il cessate il fuoco; il ritiro dell’artiglieria pesante; il rilascio dei prigionieri; l’accesso immediato agli ispettori dell’Osce in ogni area del conflitto per verificare il rispetto dell’intesa. Ebbene, sfortunatamente, non è successo nulla”. “Non siamo solo noi a dirlo. C’è il rapporto dell’Osce (l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa ndr ). La Russia sta continuando a mandare truppe, armi e finanziamenti per un miliardo di dollari ai terroristi nel Donbass. Noi siamo pronti al dialogo, il nostro Parlamento sta discutendo una legge speciale per tenere elezioni locali in quelle regioni. Siamo pronti a ricostruire le città e i villaggi distrutti. Siamo pronti a rimettere in piedi il sistema bancario. Ma certo non possiamo farlo fino a quando banditi armati di kalashnikov bloccano i nostri convogli umanitari o rubano i soldi che spediamo e poi li usano per finanziare attentati nelle nostre città, a Kharkiv, Odessa e altrove”. E ancora: “oggi per ordine di Putin sul nostro territorio sono ammassati 200 mila uomini e un arsenale rifornito di carri armati, sistemi sofisticati lancia missili, razzi per la contraerea. Uno di questi ha abbattuto l’aereo civile della Malesia lo scorso anno”. Domanda: “State chiedendo armi pesanti, letali, agli Stati Uniti?”. Risposta: “Sì, stiamo chiedendo questo tipo di armamento agli Stati Uniti. Fa parte del nostro diritto di Stato sovrano. Ma finora non ne abbiamo ricevute. Stiamo negoziando con loro”. L’Ucraina ha ricevuto – dice Poroshenko “nella mia qualità di comandante in capo”, – “postazioni elettroniche di contro artiglieria, equipaggiamenti per le comunicazioni, un piccolo numero di blindati con mitragliatrici, piccoli droni da ricognizione. Inoltre collaboriamo con l’intelligence americana e abbiamo istruttori statunitensi, britannici e canadesi”. Dice che “non sono maturi i tempi” per entrare nella Nato.
E poi
Sul Corriere Ernesto Galli della Loggia si chiede se sia davvero così conveniente e desiderabile ospitare le Olimpiadi, come dice per esempio Luca di Montezemolo, presidente del comitato promotore per Roma 2014. Cita lo studio di un economista americano specializzato in economia dello sport, Andrew Zimbalist, ( Circus Maximus, The Economic Gamble Behind Hosting The Olympics and the World Cup, Brookings Institution Press). Scrive che intanto le previsioni sui costi sono puntualmente semtite – è successo anche a Londra. Che i posti di lavoro promessi a Londra sono stati 70 mila, e quelli realmente creati 10 mila. Che il gettito da diritti e biglietti ha portato oltre 5,2 miliardi ma il 70 per cento è incamerato dal Cio. Che le statistiche dicono che a Pechino e Londra i turisti sono stati meno che negli anni precedenti la Olimpiade. Che le infrastrutture costruite – è accaduto ad Atene, ma anche altrove – “passata la festa, sono oggi in abbandono, cadono in rovina, ovvero hanno richiesto centinaia di migliaia di euro per la manutenzione o per essere efficacemente riutilizzate”.
Fonte: RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini