I MERCATI IGNORANO L’ACCORDO SUL DEBITO USA. Milano cede il 3,87%

Pubblicato il 2 Agosto 2011 in da redazione grey-panthers

Le aperture

Corriere della Sera: “Borse giù, Italia ancora nel mirino. I mercati ignorano l’accordo sul debito Usa. Milano cede il 3,87 per cento. Male tutte le piazze finanziarie. Record negativo per i titoli di Stato, si allarga la forbice con i Bund tedeschi”. L’editoriale, firmato da Francesco Giavazzi, è titolato “Ultima occasione per una svolta”, e si riferisce all’intervento di Berlusconi domani in Parlamento, di cui parla un richiamo in prima pagina: “Berlusconi e la crisi: domani parla in Aula. I timori di Bossi”. A centro pagina la notizia della nuova tragedia al largo di Lampedusa: “La stiva, il gas, le urla per uscire. Tragedia a Lampedusa, 26 morti. Scontri e feriti a Bari e Crotone”.

Il Fatto quotidiano: “L’accoglienza. Lampedusa: venticinque immigrati asfissiati nel barcone della disperazione. Bari: rivolta nel centro per i rifugiati e scontri nelle strade con la polizia. Nell’Italia incattivita dalle leggi leghiste ormai le vite umane valgono pochissimo. Tutto è negato, niente è garantito. Però nelle campagne le bracciia degli schiavi servono, eccome”.

La Stampa dedica alla notizia due foto di prima pagina (sulla tragedia di Lampedusa e sulle rivolte a Bari), mentre il titolo di apertura è per gli Usa: “Niente effetto Usa, Borse ko. Milano maglia nera (-3,8 per cento). Briciati 15 miliardi. Nel mirino i titoli di Stato. Crisi: il premier domani interviene in Parlamento, poi vedrà le parti sociali”.

Il Sole 24 Ore: “Borse, il salva Usa non basta più. L’accordo anti-default americano non fuga i timori sul deficit federale e sulla crescita economica”.

Il Foglio: “Il colpo d’ala sul debito americano diventa tempesta nei mercati europei. Effetto Obama, buio a Piazza Affari, lampi a Palazzo Chigi”. Secondo Il Foglio “Il Cav sceglie la via obamiana per scoraggiare l’urto della speculazione e i sostenitori del governo tecnico”. Di spalla un articolo sulla Siria: “Assad estende l’offensiva preventiva di Ramadan fino al confine con l’Iraq. In Siria la repressione non spaventa i fedeli. Il Consiglio di Sicurezza Onu si riunisce d’urgenza ma non decide nulla. Nuove sanzioni dall’Ue”.

Il Riformista: “Silvio si presenta alla Camera. Berlusconi cede alla richiesta delle opposizioni e delle parti sociali”. A centro pagina: “Siria, ramadan di sangue”.

La Repubblica: “Crollo dei mercati, tonfo Italia. Milano chiude al -3,87 per cento. Spread al massimo storico. Svanito l’effetto Obama. Torna la paura sulle piazze finanziarie. In Borsa bruciati 15 miliardi. Tremonti convoca il Comitato per la stabilità, vertice con Consob,. Bankitalia e Isvap”. A centro pagina la tragedia di Lampedusa e un articolo sulla politica italiana: “Crisi, premier in aula, poi vedrà le parti sociali. Bersani: ora si voti”. E poi: “Tangenti, trovati 11 mila euro in casa a Penati”.

Libero: “Ecco chi è l’uomo che affonda il Pd. Amici e affari dell’ex braccio destro di Bersani. E spunta un’altra accusa”.

Il Giornale: “Si raddoppiano la paga. Nel Lazio pronta la delibera per aumentare lo stipendio ai manager regionali. Alla faccia dei tagli. Inchiesta Milanese, per l’ex braccio destro di Tremonti spunta un’altra casa sospetta”.

Politica

Secondo un retroscena de La Stampa Berlusconi sarebbe stato spinto ad annunciare il suo discorso in Parlamento da alcuni “fautori del rischiatutto” all’interno del governo, a partire dal segretario Alfano. “La loro testi spericolata (ma non sono tempi normali) ha prevalso su quella dei consiglieri ‘pavidi’ o semplicemente ‘prudenti’, primo tra tutti Gianni Letta” che temono, al contrario, che se dopo il discorso del premier lo spread dovesse allargarsi, sarebbe chiaro che il problema è Berlusconi. Secondo il quotidiano “l’azzardo del Cavaliere” è andato oltre, poiché ha deciso di parlare alle Camere senza neanche informare la Lega e il ministro Tremonti. Tanto che  ieri mattina Bossi, Calderoli e Tremonti, a colloquio nella sede milanese del Carroccio, sarebbero restati sbalorditi che Berlusconi aveva deciso di andare in Parlamento. E gli avrebbero telefonato per dirgli che è una vera follia. La Stampa esclude che sia stato il Presidente Napolitano a chiedere al premier di fare questo passo.
Secondo Libero, invece, “il Cav cede a Napolitano. Parla in Aula sulla crisi. Lui e Bossi erano contrari”. Secondo il quotidiano Napolitano avrebbe sollecitato Berlusconi ad esercitare la sua leadership in questi giorni difficili, specie dopo l’uscita pubblica delle parti sociali, che hanno chiesto risposte più incisive alla crisi e discontinuità.
Ma il discorso del premier non conterrà “fuochi d’artificio”, neanche sul fronte dei tagli e neanche su quello delle province.
Secondo un retroscena de La Repubblica (“Il premier commissaria Tremonti, prendo io in mano la situazione”), tanto Bossi che il ministro dell’Economia sarebbero “furiosi” e considererebbero la mossa un suicidio politico.
Il Foglio scrive che Berlusconi ha deciso di tornare “sulla scena”, proprio quando gli auspici degli antipatizzanti gli consigliavano di fare “il morto a galla”. Il Cavaliere prova a giocarsi il fine legislatura da protagonista, anche se resta da vedere se questo governo e questa maggioranza “hanno ancora la forza e la coesione necessaria ad affrontare la tempesta che s’annuncia sui mercati mondiali e nelle Procure di mezza Italia”. Se il Cav ha deciso di tornare nel “cono di luce”, anche a costo di oscurare i primi passi del neosegretario del Pdl Alfano, il palcoscenico su cui si dovrà muovere non gli è né congeniale né favorevole, non solo perché la crisi economica lo costringe alla difensiva, ma perché da quella posizione deve fronteggiare quello che, nel suo entourage, citando Gramsci, viene definito “il ricorrente sovversivismo delle classi dirigenti italiane”: la convinzione dei berlusconiani è che l’establishment socio-economico punti ancora su un governo tecnico.
Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale, firma un editoriale dal titolo: “No, l’inciucio no”. Commentando la decisione del governo italiano di convocare le parti sociali, ricorda che “quando le cose girano al peggio, tornano i vecchi riti della concertazione, come se sindacati e Confindustria avessero la bacchetta magica”, ma per Sallusti “è l’inverso”, perché proprio le parti sociali, complice una politica scellerata, sono responsabili di “quel debito pubblico gigantesco accumulato nei decenni di cogestione impropria della cosa pubblica”. Da Reagan alla Thatcher, la storia dell’Occidente dimostra che un Paese si salva “con una guida forte, che ha il coraggio di mettere le parti sociali di fronte alle loro colpe e alle loro responsabilità”.

Siria, Egitto

Su tutti i quotidiani si parla della seconda giornata di cannonate in Siria. Il massacro nella città di Hama, ancora sotto il fuoco dei tank, ha fatto almeno novanta morti. Il presidente Bashar El Assad ha elogiato le truppe “patriottiche” in un messaggio pubblicato dalla rivista militare “L’esercito del popolo”. Il Corriere sottolinea che il discorso era già scritto, ma le parole hanno fatto scalpore nei giorni dei bombardamenti con l’artiglieria. Nessuno può lasciare la città di Hama, fanno sapere alcuni abitanti. I soldati e le milizie della famiglia Assad bersaglierebbero con le mitragliatrici chi prova a muoversi. Un testimone ha raccontato alla agenzia Reuters che i carri armati hanno sparato un colpo ogni dieci secondi . Il massacro alla vigilia del ramadan ha spinto il presidente turco Gul a intervenire: “Le immagini che abbiamo visto sono raccapriccianti”, ha detto. “Non possiamo accettare questa atmosfera sanguinaria all’inizio del periodo che dovrebbe essere pacifico e rasserente per tutti”. Anche il ministro degli esteri turco è intervenuto: la crisi può diventare internazionale.
La Repubblica ricorda che due giorni fa il ministro degli Esteri britannico Hague aveva ipotizzato un intervento militare per fermare la repressione in Siria, precisando che basterebbe il via libera dell’Onu, come sulla Libia. Ma il segretario generale Nato Rasmussen ha sottolineato le differenze tra Libia e Siria: “A Tripoli non solo conduciamo una operazione su un chiaro mandato dell’Onu, ma abbiamo anche il sostegno dei Paesi vicini. Queste sono due condizioni che non sussistono in Siria, anche se ovviamente condanno le violenze nel Paese”.
L’Ue intanto, racconta La Stampa, va verso un inasprimento delle sanzioni, che sarebbero già estese ad altri membri del clan Assad. Per la prima volta si è fatta sentire anche la Russia, tradizionalmente riluttante come Cina e Brasile. Mosca ha dichiarato “inaccettabile” l’uso della forza da parte delle autorità siriane.
Il Foglio sottolinea che il programma di controllo militare del regime di Assad si è allargato ad altre città oltre ad Hama, soprattutto vicino al confine con l’Iraq. La zona più orientale del Paese, per quanto isolata, è il secondo focolaio delle rivolte: la città di Dayr Al Zor è la riserva di gas e petrolio della Siria, zona di beduini e armeni. Anche alle pagine interne, una intera pagina firmata, tra gli altri, da Daniele Ranieri, dove si legge che “ora la Siria a secco di petrolio è appesa ai tormenti dell’iracheno Maliki”. Il primo ministro iracheno – scrive Il Foglio – sa benissimo che gli converebbe aiutare il vicino siriano. Come lui, anche Assad è un governante sciita (alawita) “in un mare di sunniti furiosi”. Si parla di un accordo per cui l’Iraq potrebbe trasferire 150 mila barili al giorno in Siria. Ed un’altra analisi: “Se l’inflazione si mangia gli Assad”. Poi, in un altro commento, si sottolinea che l’unica possibilità di un intervento credibile a breve termine è affidata alla Turchia, che potrebbe creare con il suo esercito una zona cuscinetto in territorio siriano: potrebbe essere una zona protetta per i profughi e per i disertori dell’esercito in fuga.
E ancora: “Altro che scontro di religioni, è lotta di classe”. Dove si legge che il segreto della tenuta del regime siriano sta nell’assenza di proteste consistenti nei centri di Aleppo e Damasco, perché quella siriana è una rivolta dei poveri contro i ricchi, non dei sunniti contro gli alauiti. Nulla a che fare con l’interclassismo a segmenti verticali di piazza Tahrir.
Restiamo in Egitto con un articolo de La Stampa dal Cairo, dove l’esercito ha deciso di spazzar via la tendopoli di piazza Tahrir, alla vigilia del processo a Mubarak. Lo sgombero inatteso ha provato la dura reazione di centinaia di attivisti, che hanno tirato sassi contro le forze dell’ordine. Alcuni tra loro volevano trasformare piazza Tahrir, in occasione del ramadan, nel più grande luogo di preghiera aperto al mondo. Ma la loro presenza, con una tendopoli, nel cuore del Cairo, non era gradita né alla giunta alla militare né agli automobilisti di una metropoli già congestionata, né ai proprietari dei negozi vicini. I Fratelli musulmani, assai vicini alla giunta militare, hanno esultato per lo sgombero: occorreva mettere fine a questa situazione anomala, hanno detto. La piazza deve restare il simbolo della rivoluzione, e non un luogo dove vengono aggirate le richieste equo del popolo”. In realtà, i fondamentalisti pianificano di strappare la piazza dalle mani dei gruppi laici, con cui si erano scontrati venerdì scorso nel giorno della preghiera.
Il Foglio dice che Mubarak sarà processato in un’aula dell’accademia di polizia al Cairo, dove saranno ammessi seicento spettatori, e il processo sarà trasmesso in diretta tv sul primo canale nazionale: “Hanno vinto i fratelli musulmani, che chiedevano una gogna pubblica”.
Sull’inserto R2 de La Repubblica Bernardo Valli racconta “la lunga marcia della democrazia araba”: “In Tunisia e in Egitto la gente continua a scendere in piazza e a credere a una società aperta e liberale, anche se prosegue lo scontro tra laici e religiosi, mentre i militari tengono ancora le redini del potere. A sei mesi dalle prime proteste, la rivoluzione è più viva che mai, ma è azzardato immaginare quale sarà l’esito finale”.

E poi

Un approfondimento del Corriere della Sera è dedicato al debito Usa: “Vinti e vincitori di uno scontro storico”. Katrina Van Heuvel, opinionista progressista del Washington Post, dirige The Nation (“Gli americani vogliono più tasse per i ricchi, non tagli al welfare”), e Marc Thiessen, capo degli speechwriter di Bush, fa parte dell’American Enterprise Institute, che invece spiega come “gli Hobbit dei Tea Party” abbiano “cambiato la politica” Usa in sei mesi.

(Fonte: La Rassegna Italiana di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)