La Rassegna Stampa: Venti di rivolta anche in Libia

Pubblicato il 17 Febbraio 2011 in , , da Vitalba Paesano

Le aperture

Il Corriere della Sera: “Il premier: governo fino al 2013. Berlusconi si dice tranquillo di fronte ai processi. E Bossi avverte: avanti se ci sono i numeri”. E poi: “Si sfalda il partito di Fini, in Senato il gruppo è a rischio”. Sulla inchiesta milanese su Berlusconi il quotidsiano si sofferma sulle “versioni di Ruby. Due verità opposte in due interrogatori”. A centro pagina notizie di “scontri e morti a Bengasi”, in Libia. “La rivolta ora sfida Gheddafi”.

La Repubblica: “Il Gip: le prove contro il premier. Evidenza dei reati, per il giudice di Milano, nei verbali di Ruby e nei versamenti di denaro. Bossi: se non ha i numeri il governo cade. Berlusconi: il processo non mi preoccupa, vado avanti”. Un approfondimento sulle “carte” della inchiesta milanese, con parole virgolettata: “Il Cavaliere mi disse: sei minorenne, ti procuro i documenti”. Di spalla: “Venti di rivolta anche in Libia: via Gheddafi. Morti a Bengasi. Proteste in Iran e Bahrein”. A centro pagina: “Milleproroghe, arrivano altre tasse. Il decreto approvato con la fiducia al Senato. Parte la nuova social card, si spacca Fli”.

La Stampa: “Berlusconi: io vado avanti. Il premier incassa la tregua con Tremonti e rilancia la campagna acquisti. Bagnasco: serve responsabilità. Bonifici e assegni, ecco le carte del gip: agì al di fuori delle sue prerogative”. A centro pagina due richiami sulla politica: una intervista a Matteo Renzi (“Bersani sbaglia, basta inseguire Bossi”) e un articolo sul “terremoto tra i finiani”. “Un senatore se ne va, a rischio il gruppo”.

Il Giornale apre con la notizia di un proiettile con volantino allegato inviato alla redazione: “Proiettile Br al Giornale. L’odio fa un salto di qualità. Minacce eversive a noi e a Berlusconi. Si saldano con il terrore che spira dalle Procure e dai salotti intellettuali che vogliono abbattere il Cavaliere ‘ad ogni costo'”. L’editoriale, firmato da Nicola Porro, si sofferma sulla conferenza stampa che ieri hanno tenuto Berlusconi e Tremonti: “Il premier va avanti e Tremonti ci mette la faccia”.

Libero: “Vendola vuole la Bindi. La sinistra in cimbali. L’Orecchino pugliese propone la presidente Pd quale candidata premier contro il Cavaliere. Una mossa che tradisce la disperazione della Santa Alleanza antiberlusconiana”. A centro pagina: “Fini è già alle comiche finali: il Fli in Senato non esiste più. Inchiesta sul clan di Gianfranco”.

Il Foglio: “Tremonti e Cav in forma, forti dubbi che il suo ciclo debba finire con una esecuzione”, editoriale firmato dall’Elefantino. L’articolo spiega che “crescere, riformare combattere” è il “piano del Cav in tre mosse”.

Il Riformista mostra in foto Tremonti e Maroni sotto il titolo “Cavaliere, dopo di lei. La partita per la successione a Berlusconi ha due grandi antagonisti: Tremonti e Maroni”. “Il premier prova a far finta di nulla: ‘Vado avanti tranquillo fino al 2013’. Il ministro dell’Economia si riallinea e mette la faccia sul piano crescita. Il ministro dell’Interno si schermisce: Io premier? Sto per andare in pensione… Ma tutte le grandi manovre per uscire dal pantano ruotano interno a due partiti trasversali: quello di via XX settembre e quello del Viminale”. Sul tema anche un “retroscena” de Il Giornale: “Dopo Silvio, è sfida Maroni-Tremonti.

Il Sole 24 Ore: “Debiti Pmi, via alla moratoria. Intesa sulla proroga di altri sei mesi. La sfida delle piccole imprese: maggiore presenza sui mercati lontani. Tremonti: ora la crescita. Marcegaglia: evitata crisi di liquidità”.

Ruby

Un articolo sul Corriere della Sera pubblica ampi stralci dalle “fonti di prova” prodotte dall’accusa e accolte dal Gip di Milano che ha deciso il processo immediato per Berlusconi. “Si va dai momenti della notte in Questura, passando per le relazioni di servizio firmate dai poliziotti che, due mesi dopo i fatti, innescarono in parte l’inchiesta per passare ai cinque interrogatrori di Ruby dinanzi ai pm tra il 2 luglio e il 3 agosto fino agli interrogatori delle ragazze che partecipavano alle feste, tra le quali la brasiliana Iris Berardi, presente di notte anche quando era minorenne. Ci sono poi le interccettazioni (mai di parlamentari) e la documentazione bancaria raccolta recentissimamente. Un altro articolo dello stesso quotidiano si sofferma sulla circostanza dell’età di Ruby: la ragazza in uno degli interrogatori afferma “di aver informato Berlusconi addirittura già nel marzo 2010 (cioé tre mesi prima della notte in Questura, che è del 27 maggio) di essere minorenne. Sarebbe decisivo per l’imputazione di prostituzione minorile. Ma già il fatto che questa circostanza non fosse valorizzata il 14 gennaio nell’invito a comparire a Berlusconi, dove piuttosto i pm sottolineavano altri elementi, ben più indiretti, lasciava intuire che quel verbale non fosse esattamente il colpo del KO. E difatti la spiegazione c”è: sempre il 3 agosto fu fatto un secondo interrogatorio nel quale, alla medesima domanda dei pm, Ruby rispose in modo diverso, poco compatibile con la precedente versione, e cioè dicendo che al telefono Berlusconi la notte del 27 maggio in Questura si era lamentato con lei (usando anche un appellativo tra l’affettuoso e l’arrabbiato) del fatto che non gli avesse parlato prima della sua età.

Il Giornale dedica al processo (“assalto giudiziario”) due pagine: “Ecco le nuove carte. Anche per il giudice Ruby è poco credibile. Nell’ordinanza di rito immediato il Gip Di Censo mette in dubbio l’attendibilità della minorenne”. Da segnalare anche un altro articolo così titolato: “Collegio composto solo di donne? In Italia era vietato per legge”. Appena un ventennio fa – si ricorda – una apposita norma stabiliva che dei sei giudici popolari chiamati ad integrare il collegio popolare delle corti d’assise, almeno tre dovevano essere necessariamente uomini. La preoccupazione del legislatore era “quella di evitare che si potesse – anche in modo indiretto, malizioso, strumentale quanto si voglia – revocare in dubbio la legittimità di una sentenza della Corte d’assise, chiamata a giudicare i reati più gravi, quali omicidio e strage, mettendo in luce come una composizione tutta femminile non garantisse le necessarie freddezza e obiettività, stemperate da una umanissima emotività”.

Il Fatto quotidiano offre la versione degli agenti di polizia che erano in Questura a Milano la notte del 27 maggio. “Niente telefono perché abbiamo tutti un abbonamento stipulato dalla polizia e, chissà, potrebbero controllare i tabulati”. L’incontro è “lontano dalla Questura”, il testimone – poliziotto racconta l’arrivo di Ruby in Questura, la prima telefonata al Pm, e poi “verso mezzanotte è arrivata quella telefonata”. Il titolo di apertura del quotidiano è “Noi che abbiamo inguaiato Berlusconi”. Politica Ieri La Repubblica intervistava il leader di Sinistra e Libertà Nichi Vendola, che ha lanciato Rosy Bindi come candidato premier dell’alleanza democratica. Oggi il quotidiano torna sul tema e scrive: “Bindi candidata premier piace anche a Prodi”. E in un altro articolo, descrivendo il personaggio: “Le escort di Silvio, la nemesi di Rosy”. “Così ogni festino diventa un punto per lei”. Anche su La Stampa, ma con letture diverse: “Bindi premier’. Prodi suggerisce. Vendola aderisce. Ma Bersani e D’alema frenano subito”. Ci si riferisce al fatto che sabato scorso, in occasione del compleanno della Bindi, l’ex presidente del consiglio Prodi si sarebbe lanciato nella seguente dichiarazioni: “Tutto il potere a Rosy. Perché non lei premier?”. Su La Stampa si torna invece sulla apertura del Pd alla Lega in materia di federalismo. E lo si fa intervistando il sindaco di Firenze Matteo Renzi. Renzi è molto critico: “Per mesi abbiamo inseguito Fini, malgrado alcuni di noi dicessero che fosse una follia. Ora che ci ha detto di no, continuiamo a corteggiarlo inseguendo pure Bossi”, “con questa gente noi non abbiamo niente a che vedere! Poi, se si deve fare un accordo sul federalismo si può fare, ma sono contrario a stringere un patto con la Lega per fare con loro un governo se dovesse cadere Berlusconi”. Sul Corriere della Sera un approfondimento firmato da Mario Sensini e Sergio Rizzo: “Tasse e federalismo, tariffe più care”. Per recuperare gettito, le bollette aumentano il doppio dell’inflazione. Con schede sui numeri della devolution, sulle spese per il personale nei comuni in rapporto agli abitanti, e sui trasferimenti dello stato ai comuni (chi prende di più, chi prende di meno, indebitamento procapite dei comuni).

Esteri

Su La Repubblica due pagine sulle rivolte arabe: “Libia, esplode la protesta anti Gheddafi. Guerriglia nelle strade di Bengasi”. “La polizia spara: due morti e 40 feriti”. Oggi in Libia è stato proclamato il “giorno della rabbia” Poi l’Iran: “Navi da guerra verso Suez. Israele: ‘E’ una provocazione'”. Ma si parla anche degli scontri a Teheran verificatisi ieri tra studenti e milizie, in occasione dei funerali di uno dei due studenti uccisi dalle forze dell’ordine. Per domani il regime ha annunciato “una giornata di odio e di collera” contro i “sediziosi”, come vengono definiti gli aderenti all’Onda verde. E ancora, focus sul Bahrein, “tra i ribelli che sfidano il re”. “Lavoro e libertà”, ovvero gli slogan del Cairo, hanno fatto breccia anche nel piccolo Paese che ospita la sesta flotta Usa. Anche qui oggi sarà una giornata cruciale. La prima grande anomalia che ha fatto esplodere la rivolta è che in Bahrein la maggioranza della popolazione è di religione sciita, ma a guidare il Paese, praticamente da sempre, è la minoranza sunnita. E all’interno di questa minoranza la famiglia Al Khalifa: insomma, dopo le repubbliche ereditarie, appare come un’altra peculiarità mediorientale quella di uno “stato famiglia”. I leader della rivolta chiedono una “vera” monarchia costituzionale. Parte dell’inserto R2 de La Repubblica focalizza l’attenzione sulle origini delle rivolte nel mondo arabo, sui tamtam che hanno utilizzato Facebook e Twitter. I blogger sono in prima linea. Il quotidiano intervista Gene Sharp, il professore di Harvard che con la sua teoria della rivolta nonviolenta ha ispirato anche la giovane rivoluzione araba. “E’ questa la lezione di Gandhi, il people power abbatte i regimi”. Anche sul Corriere della Sera ci si sofferma sulle origini dei metodi adottati in queste rivolte: “Così i giovani egiziani sono andati a scuola dai serbi di Otpor, che nel 2000 rovesciarono i regimi”: “I ragazzi di Belgrado dietro la rivoluzione del Cairo”. Uno dei leader della protesta egiziana, Ahmed Maher, si è formato su testi di lotte nonviolente come quelli del politologo Usa Sharp, su Gandhi. E il suo braccio destro in autunno è andato in Serbia per uno stage: destinazione Cambas, dove si trova il centro per la lotta nonviolenta nato da Otpor, e diretto da uno dei leader della rivolta serba, Popovic. Sulla rivolta in Libia, segnaliamo anche Il Sole 24 Ore: dove si legge che in previsione della giornata della collera, il regime ha rilasciato 110 detenuti, accusati di far parte del gruppo combattente islamico libico. Con il loro rilascio sale a 250 il numero dei prigionieri liberati da marzo per aver “rinunciato alle violenze”. Secondo il principe Idris, nipote del sovrano deposto, “Gheddafi li ha rilasciati per creare il caos, spaventare l’occidente con lo spettro del fondamentalismo e pretendere ulteriori aiuti”. Quanto alla situazione economica dei libici, il quotidiano ricorda che essi hanno un reddito medio procapite di 12 mila dollari all’anno. Molti hanno un impiego pubblico, in polizia e nei servizi segreti, e dispongono dei generi di prima necessità a prezzi calmierati. Fino a poco tempo fa avevano anche la casa gratuita. C’è ovviamente un problema di corruzione, ma il quotidiano si domanda per quanto tempo i libici saranno ancora disposti a barattare la partecipazione politica per un relativo benessere. Su Il Giornale (Fausto Biloslavo): “Ecco perché Gheddafi non deve cadere”, “proteste anche in Libia, scontri con morti e feriti a Bengasi. E per oggi proclamata la giornata della collera. Il colonnello per ora non vacilla. Ma i nostri 007 sono in allerta: ‘se cade lui, un esodo insostenibile per noi'”. Sul Sole 24 Ore anche una analisi dei riflessi in Israele della crisi in Egitto: il ministro degli esteri Lieberman, incontrando ieri Catherine Ashton, ha detto che “il più grande problema è l’iranizzazione della regione”. Persino David Grossman, o Amos Oz – dice il direttore esecutivo di Kesher, centro per la protezione della democrazia in Israele – hanno evitato di dire qualcosa di chiaro sulla democratizzazione egiziana. L’unico a dire qualcosa “di sinistra” è stato un uomo di destra: Nathan Sharansky, l’ex dissidente sovietico, ha concesso una lunga intervista al Jerusalem Post, invitando ad aver fiducia nella protesta (“Ten years ago, in Egypt, the Muslim Brotherhood would have had 10% support. Today they say they have 25 or 30%. Who knows what it will be in 10 years if things don’t change. People are unhappy. The only alternative to that unhappiness has been the Muslim Brotherhood. The free world has been helping to destroy any democratic alternative”, diceva Sharansky nell’intervista al Jerusalem Post). “Zende hastim”, “siamo vivi” è invece la parola d’ordine dell’Iran che sfida il regime, come racconta Il Foglio. I bassiji si sono scatenati ieri in occasioni di uno dei funerali delle vittime, che peraltro hanno tentato di accreditare come uno dei loro esponenti: “Una attribuzione negata dagli amici, che non hanno esitato a difenderne la memoria, facendosi pericolosamente citare per nome e cognome, pur di testimoniare l’ammirazione del giovane Saneh (questo è il suo nome, ndr) nei confronti dell’ayatollah Montazeri, il tifo per Moussavi durante la campagna presidenziale e la partecipazione alla manifestazione della Ashura del dicembre 2009. Il quotidiano però sottolinea che, a differenza che in Egitto, il fine della protesta non è altrettanto chiaro. Al Cairo era cacciare Mubarak, in Iran “non si sa”, dice Sadjapour, del Carnegie Endowment, da “Where is my vote”, i cartelli hanno chiesto “morte al dittatore”, ma Moussavi e Karrubi (gli sfidanti del presidente Ahmadinejad) frenano la veemenza della base cercando di ricondurre la protesta nell’alveo di un possibile riformismo dall’alto. E poi La Stampa intervista Alan Dershowitz, uno degli avvocati più famosi degli Stati Uniti, già difensore di O.J. Simpson, giurista che ha anche difeso l’uso di forme di tortura “soft” nella lotta al terrorismo. “Difenderò Assange e la libertà di parola”, il titolo. L’avvocato ha accettato di difendere Assange perché “questa è la battaglia per la libertà di stampa del XXI secolo”. E spiega anche che sta “tentando di evitare che l’America diventi come l’Italia”, nel senso che “negli ultimi tempo la libertà di espressione da voi si è molto indebolita: il governo italiano influenza pesantemente i media e sosno stati incriminati i genitori di Amanda Knox, colpevoli solo di aver fatto una pubblicazione esprimendo delle opinioni sul processo di Perugia, peraltro viziato da legittimi dubbi”. Sul Corriere della Sera, una intervista al ministro della Difesa Ignazio La Russa, che risponde alle polemiche sulla festa del 17 marzo (giorno delle celebrazioni per i 150 anni dall’unità d’Italia): “La Lega capirà, giusto fermarsi”. Alle celebrazioni e alle polemiche sul giorno di vacanza, peraltro, è dedicato R2 Diario della Repubblica: “Quando il Paese di divide sulla festa dell’Unità d’Italia”. La contesa rivela la carenza di una “religione civile” condivisa dalla Nazione. Ne parlano Carlo Galli, Massimo L. Salvadori, e Benedetta Tobagi. Sul Corriere si sottolinea che il Colle aspetta il decreto sulla festa dell’Unità: ha invitato 69 capi di Stato e chiede che il governo chiarisca le decisioni per il 17 marzo. Oggi a riprendere il dibattito sul “fallimento del multiculturalismo” è Libero: “Pure l’Olanda si pente di essere multietnica”. Ci si riferisce al fatto che il premier olandese lunedì, in tv, ne avrebbe decretato il fallimento. Su Il Riformista: “Dall’email del labour sparirà la parola ‘new'”. Prosegue il dibattito sulla opportunità di cambiare il nome del partito, aggiungendo l’aggettivo ‘progressive’. Una battaglia tra ‘blairiani’ e sostenitori di Miliband”.

(Fonte: RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)