La Rassegna Stampa: Un fiume di donne in piazza

Pubblicato il 14 Febbraio 2011 in , , da Vitalba Paesano

Le aperture

La Repubblica: “Un milione di donne: via Berlusconi. Oltre 200 mila sciarpe bianche a Roma: ‘Riprendiamoci la dignità’. Bersani: hanno licenziato il governo. La Lega: legislatura a rischio. Casini: meglio le urne”. “La protesta supera ogni attesa e invade 230 città. Fini: dimettiamoci tutti e due, poi il voto”. A centro pagina: “Sbarchi senza fine, la Tunisia schiera l’esercito. Migliaia di immigrati a Lampedusa, riaperto il Cie. Maroni: esodo biblico, la Ue non ci aiuta. Clinton: siamo preoccupati”. In prima anche l’atlante politico di Ilvo Diamanti, che offre un quadro del gradimento dei leader politici: rispetto ad un anno fa sale il gradimento di Giulio Tremonti, al 50.4 per cento. Seguono Nichi Vendola, Emma Bonino, Pierferdinando Casini ed altri. Berlusconi è al 30,4 per cento, dopo Bossi.

Il Corriere della Sera: “Un fiume di donne in piazza. Niente simboli politici, slogan contro Berlusconi. La Gelmini: poche radical chic. La protesta in 230 città. ‘Siamo più di un milione'”. L’editoriale di Pierluigi Battista è titolato: “Se il leader si sospende”, ed è dedicato al congresso di Futuro e Libertà. Ieri infatti Gianfranco Fini ha sfidato Berlusconi a dimettersi (“dimettiamoci insieme, e poi si vada al voto”). “Se il leader si sospende” è il titolo dell’editoriale.

L’Unità: “E’ solo l’inizio. Oltre un milione di donne nelle piazze d’Italia e del mondo: ‘Difendiamo la dignità di tutti’. Da Roma a Tokyo. Giornata storica, il movimento fa vacillare il premier sultano. Camusso: la misura è colma”. Il quotidiano parla anche di una “scossa alla politica” e offre un “colloquio con Bersani: qui c’è la parte migliore del Paese, dice il leader del Pd.

La Stampa: “Un esodo biblico verso Lampedusa. Arrivano altri barconi, il ministro dell’interno: l’Europa ci lascia soli”. A centro pagina: “La sfida delle donne. Manifestazioni senza simboli politici. Prodi: E’ il risveglio. Gelmini: ‘Poche radical chic'”. Di spalla: “Fini a Berlusconi: ‘Dimettiamoci'”. “Il Pdl: solo ricatti, ha la pistola scarica” Fli, subito la grana delle nomine dopo l’assemblea”.

Il Giornale apre con una foto del 1979 che raffigura, insieme a due amici, un giovane Nichi Vendola in un campo nudisti. “Ecco il leader nudo (e in luogo pubblico). “Non è Berlusconi”. “La sinistra in piazza, ma l’unica foto scandalo è quella del suo Nichi Vendola”. A centro pagina un richiamo alle manifestazioni di ieri: “Le minorenni? La sinistra le usa per portarle in corteo”. In prima anche il congresso di Futuro e Libertà: “Fli spaccato, Fini furbetto: si dimette soltanto se lo fa anche il premier. Capo senza neanche il voto”.

Il Sole 24 Ore oggi si sofferma sul fisco comunale: “Con il federalismo rischio di aliquote più elevate sugli immobili aziendali. Difficile per le regioni ridurre l’imposta. Dall’Imu all’Irap gli operatori nel mirino dei prelievi decentrati”. Sul tema l’editoriale di Massimo Bordignon: “Le acrobazie di una promessa impossibile”.

Politica

Secondo un retroscena de La Stampa, dedicato al Pdl, “nella partita con il Colle” il partito di Berlusconi “sceglie la linea dura”. Stamane (mentre scriviamo) il premier dovrebbe parlare alla trasmissione di Belpietro su Canale 5. “Questa scelta di confidarsi con lui, anziché ricorrere ai soliti videomessaggi, viene considerata già parecchio indicativa degli orientamenti berlusconiani”. Un documento diffuso ieri con le firme dei capigruppo del Pdl, che avrebbe avuto il via libera di Gianni Letta, dice in sostanza: “Caro Napolitano, attento, perché così il gioco si fa pesante, se proseguirai su questa strada non esiteremo a darti prima o poi del golpista. Confida l’estensore del documento che la scelta è stata quella di usare un tono “grave e misurato” nei confronti di quella che viene considerata una “piega ostile” che avrebbe preso il Quirinale nei confronti del Premier.
Su Il Giornale si legge: “Berlusconi: il Colle non intervenne mai su Prodi. Nei colloqui privati il premier si dice sorpreso per il richiamo di Napolitano al voto anticipato: non mi aspetto trattamenti di favore, ma almeno un comportamento pari a quello tenuto col governo precedente che si reggeva su un solo voto al Senato”. Secondo un retroscena, sullo stesso quotidiano, dal Quirinale viene anche una sorta di rassicurazione: “Ma il Quirinale: quell’appello è uno stimolo, niente manovre anti-premier”.

Ampio spazio sui quotidiani al congresso fondativo di Futuro e Libertà. Sulle pressioni del Pdl perché desse le dimissioni da presidente della Camera, Fini ha detto: “Sono pronto a dimettermi domani mattina se Berlusconi prende atto che, se io sono presidente della Camera perché ho preso i voti anche di Forza Italia, lui è premier anche perché lo hanno votato tanti uomini e tante donne di An”. L’invito è quindi a dimissioni contestuali: “Faremmo entrambi una splendida figura per poi consentire agli italiani di esprimersi con il voto”. Su La Repubblica si racconta però la “bagarre su Bocchino reggente”, con le ‘colombe’ che “minacciano l’addio”. Gianfranco Fini, presidente, ha deciso di autosospendersi, proponendo Italo Bocchino come suo vice e reggente plenipotenziario. Significa sfidare le resistenze delle colombe Viespoli, Urso, Ronchi e di alcuni senatori. Ma la goccia che scatenerà la rivolta è la scelta a sorpresa del laico ex radicale Benedetto Della Vedova come capogruppo a Montecitorio al posto di Bocchino “per segnare l’apertura a esperienze diverse dalle nostre origini”. 
Su Il Giornale: “Rissa sulle poltrone Fli: nessuno comanda. Guerriglia tra colonnelli al congresso di Rho per i ruoli di vertice, poi il diktat di Fini: Bocchino leader, Menia vice. Un mix di falchi e colombe, perché il leader vuole avere l’ultima parola su tutto. Su Urso declassato voci di addio”.
Su La Stampa una intervista ad Ignazio La Russa: “da Fini piccoli ricatti, ma ha la pistola scarica”. “La Russa: dice di volere il voto, ma in realtà ne ha paura”. Ormai il Fli “è un partito di opposizione dipietrista. Non ha un progetto politico. Anzi, ne ha uno solo: liquidare Berlusconi, costi quel che costi”.

Sul Corriere della Sera Aldo Cazzulo scrive del “duro editoriale” uscito su Il Giornale e firmato da Giuliano Ferrara contro il ministro dell’economia Giulio Tremonti: “Non lo voglio militante, ma neppure piccola vedetta lombarda silenziosa”. Si parla di un “attacco finale al non allineato”, che non si è schierato sulla necessaria “frustata all’economia” auspicata dal direttore de Il Foglio “per dimostrare che il premier ha ancora le redini del governo (e per parlar d’altro che non sia Ruby). “Ma no, assicura Ferrara al telefono – non pretendo affatto che Tremonti si trasformi in un militante politico del berlusconismo più acceso. Non sono un bambino. E non credo a un Tremonti che punti a restare in piedi da solo tra le macerie del suo campo politico. Però il ministro dell’economia non può disinteressarsi alla proposta per la crescita”, dice. “Se ritiene che il piano non può essere realizzato, lo dica. Oppure convochi il ministro per le attività produttive fino alle cinque del mattino e ne esca con cinque punti per il rilancio, che non possono essere a costo zero ma vanno finanziati con nuovi tagli. Se invece pensa – ma io non lo credo – alla botta secca che gli chiedono Amato e Merkel, sappia che da un ulteriore aumento della pressione fiscale sarebbe travolto il governo, e lui stesso”.

“Attività parlamentare al minimo. Solo una legge dall’inizio dell’anno”. E’ il titolo di un articolo di Sergio Rizzo, su Il Corriere della Sera: dal primo gennaio è stata sfornata una sola legge, ovvero il decreto di novembre dello scorso anno sui rifiuti in Campania. Nei 409 giorni trascorsi dal primo gennaio del 2010 l’Aula di Montecitorio si è riunita 171 volte, mentre a Palazzo Madama i giorni di seduta sono stati 129. Da votare c’è ben poco. Nel 2010 sono state approvate soltanto dieci norme proposte da deputati e senatori.

Egitto

“Pieni poteri alla giunta militare”, titola il Corriere della Sera, dando conto dell’annuncio dei generali di sciogliere il Parlamento e sospendere la Costituzione. Il Consiglio delle forze armate ha annunciato che guiderà il Paese per sei mesi o fino al voto per la Presidenza e l’assemblea nazionale. Nel frattempo il governo di Ahmed Shafiq resterà in carica in attesa che ne nasca uno nuovo, mentre una commissione emenderà la Costituzione e le sue decisioni saranno oggetto di un referendum. Il Nobel El Baradei dice: “i militari non possono guidare il gioco. Urge una consistente presenza civile nella transizione”. Il Corriere dice che comunque la piazza ha esultato apprendendo della fine della Costituzione ad personam dell’ex presidente e del suo Parlamento.
La Stampa dà conto del comunicato in nove punti con cui il Supremo consiglio ha indicato la direzione di marcia dell’Egitto. Tra l’altro, il Consiglio supremo ha assunto l’autorità di pubblicare leggi per decreto e il Paese si impegna a mettere in applicazione i trattati e gli accordi regionali e internazionali. “Un decimo punto non scritto aggiunge che saranno i militari a determinare il ruolo di Omar Suleiman, che Mubarak aveva nominato vicepresidente in extremis, nella speranza di salvare la sua poltrona. Invece il premier Shafiq, un altro generale, conserva il posto alla gfuida del governo provvisorio. Ciò rafforza le sue ambizioni politiche, anche in vista delle presidenziali, dove probabilmente il blocco sostenitore del regime cercherà comunque di esprimere un candidato. L’opposizione si divide su un comunicato: se l’ex dissidente Ayman Nour lo considera “la vittoria della rivoluzione”, El Baradei avrebbe preferito un governo di tecnocrati e i Fratelli Musulmani invocano l’eliminazione delle leggi marziali e la definizione di un preciso calendario per la transizione. Dallo stesso quotidiano segnaliamo un reportage da Alessandria, dove si è combattuto forse più che al Cairo, ma di certo con maggiore violenza. E per il quotidiano si tratta di “irriducibili” che dei soldati poco si fidano.
L’Unità intervista Rony Brauman, presidente in passato di Medici senza frontiere e oggi docente alla Facoltà di scienze politiche di Parigi. Sul ruolo dell’esercito ricorda che esso detiene il potere “dal 1952, e non può pertanto non essere responsabile dell’azione dei presidenti, e a questo proposito non so a cosa andremo incontro”. Rappresenta però per il Paese – aggiunge – “un fiore all’occhiello in quanto sconfisse, anche se solo provvisoriamente, l’esercito israeliano nel 1973. Infine, è interamente finanziato dagli Stati Uniti e dunque i suoi rapporti con Washington non possono che essere più che buoni”. Sullo stesso quotidiano, intervista a Yossi Sarid, una delle figure più rappresentative della sinistra israeliana e fondatore del Meretz. Parlando delle rivolte in Egitto, dice: “Non ho visto bruciare una sola bandiera israeliana”, “Israele non deve sentirsi orfano di Hosni Mubarak”, perché ciò che è avvenuto in queste settimane in Egitto è “qualcosa di epocale che mette in crisi vecchie certezze e impone a tutti di ripensare se stessi, compresi i nuovi israeliani”. La ribellione egiziana è un fatto di straordinario significato, “in un mondo arabo in cui l’alternativa ai vecchi regimi sembrava essere, o si sperava che fosse, il fondamentalismo islamico”. Chi lo sperava? “I nostalgici del ‘conflitto di civiltà’, e quanti agitavano lo spauracchio fondamentalista per difendere l’attuale status quo”. Il discorso vale anche per Israele, “perché l’idea di essere circondati da piazze arabe dominate da barbuti che invocano la jihad contro il Nemico sionista, piazze in cui si bruciano bandiere con la stella di David, questa idea, che ha avuto – è bene riconoscerlo – anche conferma dalla realtà, serve per giustificare l’arroccamento e per sostenere che è impossibile fidarsi degli arabi”. Hamas ha esaltato la rivolta egiziana: “A parole, in realtà ne temono il contagio”, dice Sarid.

E poi

La Stampa parla di un documentario choc della BBC che ha indagato sulle scuole musulmane che proliferano in Inghilterra. Un giornalista della tv pubblica britannica si è infiltrato nella scuola “Darul Uloom Islamic High School” di Birmingham, raccogliendo voci di odio contro gli “infedeli”. Nove giorni dopo il discorso del primo ministro Cameron sulla fine del multiculturalismo. La Darul Uloom fa parte di un gruppo di istituti note nel mondo come le “Eton dell’Islam”, che hanno l’obiettivo di formare la prossima generazione di leader musulmani. I responsabili della scuola giurano che l’uomo che incitava all’odio nel filmato non era un insegnante, ma uno studente anziano. E che l’altro protagonista, altrettanto violento, è già stato espulso.
Da segnalare su La Repubblica una intervista al ministro delle finanze tedesco Schauble, alla vigilia della riunione di oggi dell’Eurogruppo: “Fissare un tetto al debito nella Carta Costituzionale” è la proposta avanzata, anche perché in Germania funziona. Problemi come quello greco sarebbero stati evitati meglio, dice Schauble.
“Abbiamo sempre detto che l’Euro non è un pericolo”, aggiunge. “Non ci sarà una spaccatura dell’Eurozona, ma per ridurre i pericoli bisogna lavorare sul patto di stabilità, la competitività, un meccanismo di stabilità europeo”.
Su tutti i quotidiani si racconta la “svolta” britannica (così la definisce, ad esempio, il Corriere): sì ai matrimoni gay, che potranno essere celebrati anche in Chiesa. E la notizia è che l asvolta è del governo conservatore di David Cameron. “Da un punto di vista giuridico e pratico -scrive il Corriere– il cambiamentop no nè epocale. Lo è, invece, il principio che lo ispira: la partnership civile, gay compresa, può formarsi liberamente e va riconosciuta in ogni ambito, sociale, e religioso”.
La Chiesa anglicana è divisa: l’Arcivescovo di York pensa che “la democrazia liberale promuove l’uguaglianza” mentre il portavoce della stesso Chiesa anglicana è più cauto: “La Chiesa d’Inghilterra non impartisce la benedizione a coloro che si registrano per le partnership civili”. Il piano è stato messo a punto dal ministro delle pari opportunità, la Lib Dem Featherstone.
Scrive La Stampa che la ministra è pronta a rivedere la legge sulle unioni civili, il Civil Partnership act del 2004, cancellandone l’unica parte che sancisce ufficialmente una diversità impedendo alle coppie dello stesso sesso di giurarsi amore eterno in un luogo di culto: “Non è una questione di diritti dei gay. E’ un fatto di libertà religiosa”, ha detto un portavoce del governo.
“Scandalo a Londra, il governo vuole le nozze gay in Chiesa”, scrive il vaticanista de Il Giornale, spiegando che gli anglicani sono contrari a una riforma che piace solo ad alcune minoranze religiose. Quaccheri, protestanti unitari, ebrei liberali britannici, oltre ad una parte della Chiesa d’Inghilterra, sono disponibili ad ospitare i matrimoni nei rispettivi luoghi di culto.

(Fonte: RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)