La Rassegna Stampa- Frattini: “A parte Gheddafi non conosciamo nessun altro”

Pubblicato il 23 Febbraio 2011 in , , da Vitalba Paesano

Le aperture

Il Corriere della Sera: “L’urlo di Gheddafi: qui fino alla morte. L’Onu in Italia: accogliete i profughi. No di Bossi. L’Eni chiude il gasdotto, ma assicura i rifornimenti”. L’editoriale è firmato da Sergio Romano: “Le colpe nostre (e degli altri)”. A centro pagina la politica interna: “Napolitano: va cambiato il decreto milleproroghe. L’alt del Quirinale. Il premier: rilievi condivisibili”.

Il Sole 24 Ore: “Eni chiude il gasdotto libico. Forniture sospese, ma nessun problema di approvigionamento. Il petrolio balza a 108 dollari, cadono i listini. Milano bloccata 6 ore per problemi tecnici, è polemica”.

La Repubblica: “La sfida di Gheddafi: resto, morirò qui. Il rais: l’Occidente ha armato i ribelli. Berlusconi gli telefona: basta violenze. Ancora bombe sulla folla. La Lega. ‘Spediremo i profughi in Francia e Germania’. Il rifiuto Ue: niente smistamenti”. Nel sottotitolo ancora su Gheddafi: “Attacca Usa e Italia, poi incita alla guerra civile. Già mille vittime. ‘In Sicilia presto 300 mila immigrati”. Sulla politica interna: “Napolitano boccia il Milleproroghe. Il Colle: è incostituzionale. Il premier: ha ragione”. “Bossi: non all’immunità”.

La Stampa: “Resto fino alla morte”. “Gheddafi: ribelli armati da Italia e Usa. Berlusconi lo chiama: falso. Palazzo Chigi: ora temiamo 300 mila profughi. L’Ue: gestiteli voi”. Di spalla: “Dal Quirinale altolà al governo. Napolitano: sul Milleproroghe ci sono vizi di incostituzionalità. ‘Sul decreto eluso il controllo del Colle”.

Il Foglio. “Contagio e infezione. ‘Resterò in Libia e morirò da martire’, dice Gheddafi. Ma la sua sorte dipende da clan e mercenari”. “L’Iran sfrutta le conseguenze della rivolta egiziana e infila due navi militari nel Mediterraneo”.

Il Giornale: “Arriva la bomba. Trecentomila clandestini alle porte, ma la Ue dice: affari vostri. L’aiuto? Tre funzionari. Gheddafi riappare e accusa gli Stati Uniti e l’Italia di armare la protesta. Berlusconi: falsità”.

Il Fatto quotidiano dedica l’apertura alla relazione annuale della Corte dei Conti: “Il governo del fare: corruzione più 30 per cento. La Corte dei conti denuncia l’impennata delle mazzette. Nel Paese delle cricche e del mercato dei parlamentari non poteva essere altrimenti”.

Libero: “Case regalate a Roma: i nomi dei raccomandati. Inquilini Enasarco Elio Vito, Sirchia e Castelli, che si arrende subito: ‘Lascio l’appartamento’. E a Milano si dimette il vertice del Trivulzio”: Il titolo di apertura è per Gheddafi: “La Libia ci taglia il gas e ci riempie di profughi.
Berlusconi chiama il Colonnello”.

Libia

La Repubblica ha un inviato in Libia, a Tobruk, che racconta la rabbia dei giovani di questa località davanti alle immagini in tv del rais. Ed un altro inviato al confine tra Tunisia e Libia. L’inviato in Libia dà conto dei racconti dei medici del principale ospedale di Bengasi: corpi carbonizzati o dilaniati da razzi o mortai, divisi in tre o quattro parti. Orecchie e nasi mozzati ai soldati che si erano rifiutati di sparare sulla popolazione. A Tripoli prosegue la carneficina, aerei ed elicotteri da guerra bombardano tutte le aree della capitale, gli elicotteri ancora ieri scaricavano mercenari.
Anche il Corriere della Sera ha un inviato a Tobruk, che racconta come nella città controllata dagli insorti siano stati messi in fuga “i mercenari”.

Il leader libico è comparso sugli schermi tv poco prima delle cinque del pomeriggio di ieri, scegliendo accuratamente la location: la residenza di Tripoli bombardata dall’aviazione Usa ai tempi di Reagan. Ha promesso agli insorti un destino “simile a Tien an Men e a Falluja”, impegnandosi a “ripulire la Libia casa per casa”. Nelle strade, secondo il Colonnello, sfilano “ratti e mercenari” oppure “drogati” o giovani “fanatici influenzati dagli avvenimenti tunisini ed egiziani”. Il discorso è contraddittorio: all’inizio parla di un “piccolo gruppo di terroristi” che vuole trasformare la Libia in “un altro Afghanistan”, anzi in una “Somalia lacerata dalla guerra civile”. Comunque “in uno stato islamico” o, addirittura, “in una base di Al Qaeda”. Poi parla di un “complotto per toglierci il petrolio” e accusa Usa e Italia. A chi vorrebbe la sua uscita di scena dice: “Non sono un presidente, ma un leader nazionale, non posso dimettermi. Ho sconfitto americani e inglesi, vincerò anche questa volta”.
Tra le defezioni, fa sapere il Corriere della Sera, da segnalare quella del ministro degli interni Abdel Fatah Yunis, braccio destro di Gheddafi, che ha dichiarato: mi unisco alla popolazione e alla rivoluzione. Due navi militari che dovevano bombardare Bengasi dal mare hanno disertato e si trovano ora al largo di Malta.

Il Ministro degli esteri Frattini, che oggi riferirà in Parlamento sui fatti di Libia, concede una intervista al Corriere della Sera. Dice che “il problema della Libia è che a parte Gheddafi non conosciamo niente altro. Nessun altro politico, partito. E adesso ci è impossibile immaginare un futuro, dopo di lui”. In Libia, in Cirenaica – dice Frattini – ci sono le tribù: e noi non abbiamo idea di chi siano quelli delle tribù. Si fa quindi riferimento alla Libia dell’est, a quelli che si sono autoproclamati “emirato islamico”: “sappiamo però che sono pericolosi. Lì ci sono componenti di Al Qaeda, per questo fino dal 2006 abbiamo deciso di chiudere il consolato italiano in Cirenaica”. Quel che è sicuro, secondo Frattini, è “cosa ci aspetta quando verrà giù il sistema Paese Libia: una ondata anomala di 2 o 300 mila immigrati”, ma non saranno i libici ad arrivare qui da noi, perché “in Libia un terzo della popolazione non è libica, ma subsahariana”.
“In Cirenaica integrazione fallita”, è il titolo di una analisi che compare sul Sole 24 Ore: neppure l’impero ottomano era riuscito ad unificare il Paese. E la regione ha sempre sognato un assetto federale, ma lo stato non ha saputo creare istituzioni comuni e una vera entità nazionale. La zona in questione è quella del “gran Senusso”, discendente di Maometto, che a fine 700 fonda una confraternita e governa uno stato esteso dalla Cirenaica alla Sirte in conformità ai precetti dell’Islam. E’ in quella zona che gli italiani dovettero uccidere, nel 1911, ottantamila libici per domare la rivolta di Omar Al Mukhtar, seguace della Senussia, impiccato da Graziani nel 1931. Della devozione all’Islam di queste terre nulla sapeva certamente, ricorda Il Sole, il ministro Calderoli, allorché, esponendosi con una maglietta raffigurante una vignetta su Maometto, provocò l’assalto al consolato italiano a Bengasi.

Ancora dal Sole un racconto su quanto sia detestato il rais dai fratelli arabi (nel 2003 il principe saudita Abdullah gli augurò la morte).

Sul Corriere della Sera da segnalare una intervista all’ex Amministratore delegato della Fiat Cesare Romiti, che ricorda i dieci anni di compartecipazione della LIbia all’azionariato Fiat: “Fiat firmò con Tripoli. Ma solo dopo il sì della Cia”.

Sul Sole 24 Ore si ricostruisce invece la storia dei rapporti con l’Eni: dal primo arrivo dell’Agip, nel 1958, quando al potere c’era ancora re Idris ed Enrico Mattei si vede sfilare da due società statunitensi un contratto di ricerca già perfezionato con il governo.

Ancora sul quotidiano di via Solferino segnaliamo una intervista all’ex premier Romano Prodi: “Io e il Colonnello, rapporti dignitosi senza show”. Fu lui, da presidente della Commissione Ue, a sdoganare nel 2004 il rais, gettando le basi per la sua prima visita in Europa dopo la fine dell’embargo Onu.

Il Corriere ripropone ai lettori anche l’intervista che Oriana Fallaci realizzò con il Colonnello Gheddafi nel dicembre 1979 (Si parla anche del rapimento Moro, della Fiat e di Agnelli, del colpo di stato di Gheddafi diventato rivoluzione, nella spiegazione dello stesso colonnello, che dice: “Io ho fatto il colpo di stato e i lavoratori hanno fatto la rivoluzione, occupando le fabbriche, diventando soci anziché salariati”).

L’Unità intervista l’ex presidente del Tribunale per la ex Jugoslavia Fausto Pocar, e gli chiede “come e chi potrebbe processare Gheddafi per crimini contro l’umanità”. Pocar risponde che la Corte internazionale di giustizia dell’Aja può esercitare la giurisdizione se una situazione in cui appaiono essere commessi gravi crimini è sottoposta alla Corte dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite inb base al capitolo VII della Carta dell’Onu”. Pocar ricorda che in proposito c’è stato un solo precedente, quello del Sudan, che ha portato alla formazione di un atto di accusa per crimini di guerra e contro l’umanità nel Darfur e a un mandato di arresto nei confronti del presidente sudanese Al Bashir”.

Su Il Foglio si enfatizza “la primaverà della libertà” e si spiega perché “la freedom agenda seminata da Bush oggi dà i suoi frutti”. Sostanzialmente si segue il filo del ragionamento elaborato da Christian Rocca, ex caporedattore del quotidiano, oggi al Sole 24 Ore. Una intera pagina del quotidiano – o quasi – è occupata dall’intervento di Paul Wolfowitz, che compare sotto il titolo “Che fare con le rivolte arabe”. Per Wolfowitz non basta condannare i massacri, bisogna aiutare le piazze, a partire dalla Libia; si riferisce di voci secondo cui i più stretti collaboratori dell’ex dittatore tunisino Ben Ali avrebbero fatto penetrare in Libia numerosi mercenari. Se queste voci fossero confermate, Usa, Francia e Tunisia dovrebbero interrompere immediatamente questo flusso. Molto utile sarebbe per Wolfowitz che gli Usa rompessero il blocco delle comunicazioni imposto da Gheddafi per isolare il suo popolo: anche adottando semplici iniziative come, per esempio, dare nuove carte telefoniche a tutti i libici che non possono più usare il proprio telefonino.
Un allarmante articolo sulla stessa pagina si occupa di Egitto: si scrive che ieri l’alta corte amministrativa egiziana ha ammesso il primo partito islamico ad una tornata elettorale. Il Wassat, formazione nata dai Fratelli Musulmani. Poi si sottolinea che anche un leader dei Fratelli Musulmani è chiamato a partecipare alla stesura della nuova Costituzione egiziana, “ma i copti ne sono stati esclusi”. E lo stesso “politburo” della Fratellanza avrebbe reso noto che i cristiani e le donne non potranno diventare presidenti del “nuovo Egitto”.

Politica

Un alt da Napolitano al decreto Milleproroghe è arrivato, secondo La Stampa. Con una lettera ai presidenti di Camera e Senato e al capo del governo, Napolitano ha spiegato che “il decreto milleproroghe contiene vizi di incostituzionalità”. A mio avviso – scrive Napolitano – “non mancherebbero spazi, attraverso una leale collaborazione tra governo e Parlamento da un lato, e tra maggioranza e opposizione dall’altro, per evitare che un decreto concernente essenzialmente in una proroga di alcuni termini si trasformi in una sorta di nuova legge Finanziaria dai contenuti più disparati. Per questo – avverte il Capo dello Stato – a fronte di casi analoghi non potrò d’ora in avanti rinunciare ad avvalermi della facoltà di rinvio, anche alla luce dei rimedi che l’ordinamento prevede nell’eventualità della decadenza del decreto legge”. Il Capo dello Stato ha ricordato che al testo originario del Milleproroghe “a seguito delle modifiche sono stati aggiunti altri cinque articoli e 196 commi” e “l’inserimento nei decreti di disposizioni non strettamente attinenti ai loro contenuti, eterogenee e spesso prive dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza, elude il vaglio preventivo spettante al Presidente della Repubblica”. Napolitano non ha mancato di sottolineare che “il frequente ricorso al voto di fiducia, realizza una ulteriore pesante compressione del ruolo del Parlamento”.

E poi

Su L’Unità da segnalare una intervista alla filosofa Chantal Mouffe, che insegna all’università di Westminster, e che parla dei movimenti populisti di estrema destra in Europa. Dice che alla sinistra manca “un progetto alternativo al neoliberismo”, spiega che “la terza via di lair non ha smontato l’ereditò thatcheriana: le ha dato solo un volto umano”. Il titolo dell’intervista (“Il vento del Medio Oriente muterà la nostra idea di Islam”) allude alla parte di risposte dedicate ai movimenti nel mondo arabo.

Il corrispondente dagli Usa de La Stampa racconta come nella fiction Usa su Amanda, protagonista del delitto di Perugia, “Murder on trial in Italy”, il colpevole è la giustizia italiana. Spiega La Stampa che il film non assolve la Knox ma lancia l’accusa che sia stato violato il suo diritto alla difesa. Un giornalista britannico, David Willey, spiega come sia il nostro sistema processuale visto dall’estero (“fughe di notizie, inutili dettagli, perché gli anglosassoni vi bocciano”).

(Fonte: RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)