La Rassegna Stampa: Allarme dell’FMI- ‘Ripresa incerta. Il mondo va, l’Italia rallenta’

Pubblicato il 26 Gennaio 2011 in , , da Vitalba Paesano

Le aperture

Il Corriere della Sera: “Pdl e Lega all’attacco di Fini”. “Caso Ruby, tutte le testimonianze. Tensione alla Camera. ‘Ora discutere il suo ruolo’. E la Farnesina invia ai Pm le carte sulla casa di Montecarlo”. In prima anche le notizie sulle proteste in Egitto: “Basta Mubarak”. “Scontri e morti nelle vie del Cairo”. “La protesta più imponente da trent’anni”. A centro pagina la notizia su Mike Bongiorno: “Rubata la salma di Mike”. A fondo pagina il richiamo a una intervista al dissidente russo Mikhail Khodorkovskij: “Io uscirò dalle prigioni di Putin”. L’editoriale è firmato da Dario Di Vico e parla di federalismo fiscale: “Federalismo con più tasse?  I dubbi su Ici e Irpef”.

La Repubblica: “Berlusconi: la mia verità su Ruby”. “Alla Camera le carte della difesa: pm incompetenti. Pdl e Lega: Fini deve lasciare”. “Ventinove testimoni, una sola tesi. ‘Ad Arcore cene normali, mai sesso’. Battaglia in giunta. L’opposizione sull’attacco a Lerner: superato ogni limite”: A centro pagina: “In Egitto esplode la rivolta anti-Mubarak, 4 morti”. Di spalla l’economia: “Allarme FMI: ‘La ripresa più debole è in Italia”. A fondo pagina il “rapimento” della salma di Bongiorno con commento di Michele Serra: “Quel vecchio rimasto bambino”.

La Stampa: “Pdl-Lega, riparte l’assedio a Fini. Oggi il voto su Bondi, per il ministro fiducia vicina”. “La maggioranza: discussione alla Camera sul ruolo ‘anomalo’ del leader Fli”. In alto le notizie dall’Egitto: “La giornata della collera: dopo la Tunisia le manifestazioni contro i governi coinvolgono tutto il Medio Oriente”. “Egitto e Libano, la rabbia incendia la piazza”. A centro pagina: “Allarme dell’FMI: ‘Ripresa incerta. Il mondo va, l’Italia rallenta. Napolitano: fare di più”.

Libero: “Caro Fini, fai le valigie. La casa di Montecarlo è del cognato. Si sapeva già, ma ora da Santa Lucia sono arrivate nuove carte che inchiodano l’ex leader An alla sua promessa: ‘Se Tulliani è il proprietario, lascio la Camera”.

Il Giornale: “Fini nei guai giudiziari. Confermato l’arrivo di nuove clamorose prove: il presidente della Camera ha mentito. Le carte in Procura. Il pdl chiede le sue dimissioni, ma lui vieta il dibattito in Aula. E pensare che aveva promesso di andarsene”. In prima pagina anche una foto di Nichi Vendola, ad un gay pride: “Ma quest’uomo può mettersi a fare la morale?”, il titolo.

Il Riformista: “Spudoratamente. Nuova offensiva berlusconiana per riscrivere e occultare il caso Ruby. La riapertura del dossier Montecarlo anticipa l’assalto finale a Fini. Ghedini suggerisce una nuova versione dei fatti. Signorini intervista un cugino prete. Muro contro muro sulla sfiducia a Bondi: oggi il voto”. A centro pagina: “Il contagio tunisino fa un morto in Egitto. 25 mila giovani scendono in piazza contro Mubarak”.

L’Unità, con foto di Berlusconi: “L’uomo che scambiò l’Italia per un bordello. Piange al telefono: è in crisi di nervi. Può guidare il Paese?”.

Il Fatto quotidiano: “Premier sotto ricatto, governo inetto. Tenersi buona la testimone chiave Minetti: ecco il perché della piazzata di B. contro Lerner. Lui difende l’indifendibile ma l’Italia è alla paralisi”. “Altro che puttanaio: nella memoria difensiva le serate di Arcore diventano ‘Il ballo delle debuttanti’. Mentre Mora e Ruby si contraddicono”. A centro pagina: “E Masi prepara la guerriglia per far saltare AnnoZero. Il pubblico verrà selezionato dai direttore di rete. Basterà qualche guastatore per mettere in crisi i talk show critici con il governo”:

Il Sole 24 Ore: “Tutti in coda per il bond Ue. Emissione da 5 miliardi e domande nove volte l’offerta, con boom di richieste dagli investitori asiatici. L’economia britannica torna in recessione, cade la sterlina”. A centro pagina: “Dopo la Tunisia ora rivolta anti Mubarak, vittime al Cairo e Suez”. In evidenza una foto dalle proteste egiziane: un manifestante brandisce un cartello sui cui sta scritto: “Mubarak dégage”, rievocando così gli slogan della piazza tunisina, che invocavano l’uscita di scena dell’ex presidente Ben Ali.

Il Foglio: “Al Cairo la piazza cerca un’alternativa al regime dinastico dei Mubarak. Migliaia di giovani contro le forze dell’ordine. Un poliziotto e due manifestanti uccisi, seicento arresti. L’opposizione che non c’è”. Di spalla. “Così Confindustria cerca di far rientrare la Fiom nelle fabbriche. Angeletti (Uil) esorta Federmeccanica a disdire l’accordo del 93. Il contratto auto intralcia le intese aziendali”.

Egitto, Tunisia, Libano

La Stampa offre una corrispondenza dal Cairo che racconta la manifestrazione di ieri al Cairo. “La profezia di coloro che avevano prenosticato che il vento tunisino non avrebbe sfiorato l’Egito, ‘perché è una realtà diversa’, ieri è stata smentita dalla piazza”.
La Repubblica ha come inviato in Egitto Bernardo Valli che spiega come quella che è stata denominata “la giornata della collera” ieri è nata come protesta contro il rincaro dei prezzi ma contiene anche una richiesta di democrazia. Si è estesa a tutto il Paese: il Cairo è stato l’epicentro, con scontri intorno alla Corte Suprema, intorno al Parlamento e in numerosi quartieri popolari inaccessibili ai cronisti. Ma la collera si è estesa al resto del Paese, da Alessandria ad Assuan, da Asyut (nel sud) a Ismaylia, sul Canale di Suez, e persino nel nord del Sinai. Gli internati hanno diffuso in diretta le immagini della manifestazione: più di novantamila persone avevano sottoscritto su Facebook il documento in cui si legge che “la Tunisia è una soluzione” e che “Mubarak se ne deve andare”. Ma le autorità hanno bloccato cellulari, Twitter e Facebook.
“Un’altra protesta partita da Facebook”, scrive Il Sole 24 Ore, spiegando però come l’Egitto non sia la Tunisia: è un Paese di oltre 80 milioni di abitanti (10 in Tunisia) ed è il Paese chiave di tutta l’area mediorientale, oltre che uno dei migliori alleati degli Usa. Ieri Hillary Clinton, peraltro, ha immediatamente ribadito il sostegno Usa a Mubarak, precisando però che “sta cercando soluzioni per rispondere alle legittime necessità della popolazione”. Mubarak è al potere da quasi trent’anni, e potrebbe ripresentarsi alle elezioni del prossimo autunno. O potrebbe candidare suo figlio Gamal. L’ex direttore dell’Agenzia per l’energia atomica Baradei, che aveva ipotizzato una sua candidatura, ha benedetto le manifestazioni invitando su Facebook a “manifestare contro la repressione”. I Fratelli musulmani invece, al momento, si stanno tenendo in disparte.

Sul Corriere della Sera si scrive che in Egitto è scesa in piazza una folla di oltre 30 mila persone, e che se dovesse sfaldarsi il potere egiziano si andrebbe incontro a una vera catastrofe, sia per il Paese, che è il più importante del mondo arabo, sia per l’intera regione. Si sottolinea poi la grandissima popolarità acquisita in questi mesi da El Baradei. E si sottolinea che le manifestazioni più dure si sono svolte ad Alessandria, teatro dell’attentato contro i copti della notte di Capodanno: ed il paradosso è che mentre i Fratelli Musulmani, al Cairo, apparivano defilati, ad Alessandria erano in prima fila. Il Corriere della Sera continua peraltro ad avere un inviato in Tunisia, dove la tensione rimane alta e ieri due disoccupati si sono dati fuoco. Oggi verrà annunciato un rimpasto ministeriale per sostituire i cinque membri dimissionari. E pare che altri uomini simbolo dell’era Ben Ali, come l’attuale ministro degli esteri, siano pronti a lasciare.

Ricostruisce come si è arrivati alla crisi in Libano un retroscena de La Stampa, dove si spiega come lo schieramento filo-occidentale e filo-saudita dell’ex premier sunnita Hariri e il fronte dell’8 marzo, composto da Hezbollah e sostenuto da Siria e Iran, si siano scontrati sulla questione del Tribunale Onu che indaga sull’omicidio di Hariri. Dopo le dimissioni dei ministri di Hezbollah dal governo di unità nazionale, è stata cruciale la decisione del leader druso Jumblatt di passare al fronte dell’8 marzo “in nome dell’interesse nazionale”. Hezbollah ha puntato sul magnate delle comunicazioni Najib Miqati, un tempo alleato del premier Hariri. Così è accaduto che il fronte anti-Hezbollah si è ritrovato in piazza, per le giornate della rabbia. Sullo stesso quotidiano, una intervista allo stesso tycoon neopremier, Miqati: si spiega che deve parte delal sua fortuna economica alla famiglia Assad, al potere in Siria. All’accusa di essere il candidato di Hezbollah, risponde che “non ha senso dire che sono ‘un candidato di Hezbollah’ o della coalizione dell’otto marzo guidata dal movimento sciita. Loro mi hanno sostenuto e hanno fatto il mio nome, ma la candidatura è venuta dal profondo del mio cuore. Mi è stato chiesto di salvare il Paese e mi sono fatto trovare pronto. Nega di essere condizionato dalla Siria e nega anche di aver trattato la sua candidatura in cambio di un qualche affossamento del Tribunale Onu: “Non ho dovuto accettare nessuna precondizione, tanto meno in merito al tribunale internazionale”.
Il Sole 24 Ore dice che quando il leader di Hezbollah dice che non sarà la sua formazione a guidare il prossimo governo (“Miqati non è dei nostri”) ci si ritrova a metà tra una verità e una bugia: Miqati non è in senso stretto uomo di Hezbollah, eppure, mai come ora, questa formazione è stata tanto potente in Libano. Non ci sarà alcuna islamizzazione del Libano, ma semplicemente Hezbollah continuerà più di prima a perseguire la sua agenda di Stato nello Stato, con un potere militare più forte dello stesso Stato libanese, restando un avamposto iraniano a cinque minuti di missile da Tel Aviv, nel caso Israele e Usa decidessero di bombardare l’Iran, oltre a rappresentare una minaccia rivoluzionaria per tutti i regimi arabi moderati. 

Obama

Scrive La Stampa che Barack Obama “tende la mano ai repubblicani offendogli di costruire ‘assieme il futuro dell’America’, risanando le finanze pubbliche e per dimostrare che fa sul serio propone il congelamento della spesa per cinque anni”. Parlando davanti al Congresso in sessione congiunta, il Presidente Usa ha pronunciato il suo discorso sullo stato dell’Unione incentrandolo sull’economia e sulla determinazione a raggiungere accordi bipartisan. “Le leggi passeranno solo con il sì di ambo i partiti, andremo avanti insieme o non lo faremo affatto”.
Il Sole 24 Ore offre il parere di Paul Ryan, “figura emergente”, repubblicano, è il deputato che presiede la Commissione bilancio della Camera ed è autore di un “piano radicale di riduzione del disavanzo”. “Spiacenti ma non basta. Si può riassumere così il messaggio che il partito repubblicano ha trasmesso martedì sera al presidente e al paese nell’intervento televisivo di risposta al discorso sullo stato dell’Unione”. “Non bastano vaghe intenzioni, occorre un duro intervento di tagli al budget federale. E, soprattutto, niente più piani di spesa spacciati per stimoli economici. L’unico strumento di manovra che potrà rilanciare l’economia e quindi l’occupazione è l’accetta”.
Su Obama da segnalare sullo stesso quotidiano un commento di Christian Rocca: “Obama 2.0 torna alle origini. La svolta moderata si confronti con i moti democratici in Nordafrica”.

Russia, Ungheria

La Repubblica torna ad occuparsi di Ungheria, e del dissenso esploso nelle piazze contro la legge sui media del primo ministro conservatore Viktor Orban. Cresce l’allarme anche tra gli intellettuali per gli Istituti culturali a rischio di epurazione. Secondo la Repubblica sarebbero a rischio anche le istituzioni indipendenti come quelli sulla storia della rivoluzione del 1956. Il direttore del prestigioso teatro nazionale Alfoeldi pare sia stato licenziato su due piedi ed insultato come traditore ebreo ed omosessuale. Pare fosse contestata la sua decisione di concedere in uso il teatro nazionale ad un party diplomatico per la festa nazionale romena. Una colpa che i nazionalisti magiari non gli avrebbero perdonato. Sulla stessa pagina una lettera-appello dei due filosofi Habermas e Nida-Rumelin che compare sotto il titolo: “La UE intervenga, il dissenso è represso come avviene in Cina”.
Il Corriere della Sera intervista l’ex patron di Yukos, Khodorkhovskji che, alla domanda perché crede che continuino a tenerla in carcere, risponde: “Forse Putin sa meglio di noi quanto sia debole in realtà il suo potere. E cosa potrebbe rappresentare una spinta sufficiente per farlo cadere. O forse è semplicemente il fatto che i funzionari che si sono riempiti le tasche con il saccheggio della Yukos sono veramente bravi a manipolarlo”. Mostra un qualche ottimismo sul nuovo presidente Medvedev, dal quale si ha il diritto di attendersi di più, e tuttavia dice: “Possiamo credere ai suoi desideri, non alle sue promesse”. La faranno mai uscire dalla prigione? “Sì, credo che mi rilasceranno, come credo nel futuro democratico del mio Paese”.

E poi

Su La Repubblica, alle pagine R2 Cultura, l’anticipazione del testo del sociologo polacco Zygmunt Bauman sulla “formazione delle identità nel mondo contemporaneo”, dove l’io riconfigura il resto del mondo come propria periferia.
Sul Corriere della Sera un articolo di Guido Ceronetti dedicato al dibattito in Francia su Céline e la scelta di eliminarlo dal calendario delle celebrazioni per il 2011. “Ma io, filosemita, celebro Céline. La Francia sbaglia a cancellare l’omaggio, era l’occasione per analizzarlo'”.
La rubrica de la Jena su La Stampa, oggi: “Guai seri anche per lo zio di Ruby”.

(Fonte: La rassegna stampa di Caffè Europa, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)