E’ passato da me Roberto, di Pio Iglesias

Pubblicato il 24 Febbraio 2010 in , da Vitalba Paesano

E’ passato da me Roberto, lui, il suo cane e i suoi baffi da nomade in cerca di stabilità.

Abbiamo preso un tè in giardino, facendo finta, in pieno inverno, che fosse primavera, spacciandoci il gelido tepore del pomeriggio come promessa di climi più umani. Mentre i cani giocavano, abbiamo parlato dei nostri universi, simili e irraggiungibili. Lui è nato sotto i tendoni di un circo, ha visto scorrere le città intorno al suo mondo fatto di animali, paglia, sudore, esercizio e disciplina. Ha imparato presto a vedere le cose dall’altro lato del mondo: la felicità e l’eccitazione dei bambini quando arrivava il circo in città, significava per lui solo un lavoro massacrante e inevitabile. Gli altri bambini gli invidiavano la vita libera, la compagnia degli animali e sicuramente la loro amicizia. Lui invidiava i loro vestiti in ordine, le mani innocenti senza calli, il sorriso facile di chi può essere bambino da bambino. Invidiava i genitori certi, poter andare alla scuola di sempre, la serenità dell’appartamento, una grotta e non una nave in continua navigazione.   Guardando i cani giocare, le mani intorno alle tazze fumanti, Roberto mi ha regalato, come raramente fa, uno spiraglio sul suo mondo. Mi ha detto, parlando di cani, fedeltà e senso della vita, di essere alla ricerca del cane ideale. Non per razza o mole o indole, ma un cane che abbia le stesse età del suo padrone. Così il cane perfetto ci accompagna nelle fasi della vita, gioventù, maturità e vecchiaia. Avremmo solo un cane per tutta la vita, un compagno giusto per ogni età che ci tocca vivere. Poi, finito il tè e finita anche la canna, il freddo ci ha spinti a rientrare e accendere il camino.

Lì davanti, la conversazione è proseguita, mentre fronteggiavamo con schiene e mani il fuoco amico. Certo il cane perfetto aveva dei pregi, un unico rapporto che si sviscera per tutta la vita. Molto di più di ciò che succede con genitori, mogli e figli, destinati a perdersi se non per ragioni anagrafiche, per soldi, invidie, incomprensioni, egoismi o anche per troppo amore. Certo, lui diceva, il cane così com’è, non si discute, riproponendoti durante la tua vita le stagioni a cui anche noi si va fatalmente incontro, ti allena, abituandoti all’idea dell’invecchiare e del morire. Ci ricorda anche, con le sue giovinezze, cosa è stato della nostra e ci riconcilia con il nostro passato. Il cane, diceva Roberto, di certo è un dono fatto all’uomo anche così com’è. Abbiamo finito tè, canne e tempo da dedicare al nostro incontro. Cosi Roberto si alza e io lo accompagno, lui, il suo cane e i suoi baffi, al cancello: è tradizione africana, accompagnare l’amico fino alla fine del tuo terreno. Usciamo in giardino, il buio ha trasformato il giardino, il freddo si fa sentire e ci stringiamo i giacconi. Pochi passi in silenzio ed eccoci al cancello. Salendo sulla sua macchina Roberto mi saluta e poi con gli occhi che ridono mi dice di non preoccuparmi troppo, la prossima volta il cane  lo creerà meglio.

La sua macchina è solo più rumore, ma sono ancora lì, fermo davanti al cancello, non sento neanche il freddo, penso solo che Roberto dovrebbe proprio scriverle le sue visioni. Poi penso che le mille scuole che ha frequentato non sono riuscite a scalfire la sua ottusa meravigliosa ignoranza e davvero, Roberto non sa scrivere.

E sono certo che, come tutti gli analfabeti, sarebbe un grande scrittore.

 

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