Referendum 2020, tutto quello che occorre sapere prima del voto

Pubblicato il 14 Settembre 2020 in Ideas
referendum

Domenica 20 e lunedì 21 settembre i cittadini italiani sono chiamati alle urne per esprimere il proprio giudizio sul referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari e, in alcuni Regioni, Comuni e specifiche circoscrizioni, anche per dare il proprio voto alle elezioni suppletive del Senato, alle elezioni Regionali e a quelle Comunali.

In tutta Italia si vota per il referendum costituzionale, indetto per approvare o respingere la legge di revisione dal titolo “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”. Approvato in via definitiva dalla Camera l’8 ottobre 2019, il testo di legge prevede il taglio del 36,5% dei componenti di entrambi i rami del Parlamento: da 630 a 400 seggi alla Camera dei deputati, da 315 a 200 seggi elettivi al Senato. Originariamente previsto per il 29 marzo 2020, il referendum è stato rinviato a settembre a seguito della pandemia di COVID-19.

L’11 luglio 2019 la legge è stata approvata a maggioranza assoluta senza raggiungere la maggioranza qualificata a causa del voto contrario espresso dai senatori del Partito Democratico e di Liberi e Uguali, allora opposizione del Governo Conte I, e della non partecipazione al voto di Forza Italia. Nell’ultima lettura alla Camera dei deputati, l’8 ottobre 2019, invece, ottenendo il sì di tutti i gruppi parlamentari di maggioranza e opposizione, con l’eccezione di alcune componenti del gruppo Misto, il testo ha raggiunto la maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti. Non avendo però ottenuto i due terzi anche al Senato, come prescritto dall’articolo 138 della Costituzione, il provvedimento non è stato direttamente promulgato proprio per dare la possibilità di richiedere un referendum confermativo entro i successivi tre mesi: tale facoltà è stata esercitata da 71 senatori, appartenenti a quasi tutti i gruppi parlamentari e partiti, con l’esclusione di Fratelli d’Italia e il gruppo Per le Autonomie, che hanno depositato la richiesta di referendum presso la Corte suprema di cassazione il 10 gennaio 2020.

Il quesito sottoposto a referendum è il seguente: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente ‘Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari’, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 240 del 12 ottobre 2019?”.

Il referendum, essendo un referendum costituzionale, non richiede il raggiungimento di un quorum per avere efficacia, quindi in ogni caso vincerà il Sì o il No nelle percentuali che decreteranno le urne.

referendum 2020

Cosa succede se vince il sì

Il sì dà il via libera alla riduzione del numero dei parlamentari, con la modifica degli articoli 56 e 57 della Costituzione. È un taglio lineare, che non tocca le funzioni di Camera e Senato (il bicameralismo paritario): il numero dei deputati passa dagli attuali 630 a 400, quello dei senatori eletti da 315 a 200. Cifre che includono i parlamentari eletti all’estero: con la riforma 8 deputati (oggi sono 12) e 4 senatori (oggi sono sei). Camera e Senato vengono ridotte di poco più di un terzo (del 36,5% a voler essere pignoli). Oggi c’è un deputato ogni 96 mila abitanti, con il taglio ce ne sarebbe uno per 151 mila. A Palazzo Madama oggi siede un senatore ogni 188 mila abitanti, con il taglio ce ne sarebbe uno ogni 302 mila.

Quanto si risparmia con il taglio dei parlamentari

Tra i temi principali della campagna — su cui insiste il fronte del sì — c’è poi il nodo risparmi:tagliando i seggi, la sforbiciata si abbatterà infatti su 315 stipendi. I compensi dei parlamentari variano, c’è la paga base e c’è la diaria, le indennità di carica e altre voci. Possiamo però considerare in media un compenso, rimborsi inclusi, di 19 mila euro e rotti per un deputato e poco di più, tra 20 e 21 mila euro, per un senatore (nei bilanci di Camera e Senato si può ricavare una media di circa 230 mila euro di compenso annuo per deputati e di 250 mila euro per senatore). Si arriva a un risparmio annuo di 53 milioni alla Camera e di 29 milioni al Senato. L’Osservatorio sui conti pubblici diretto da Carlo Cottarelli ha fatto notare come, però, sia importante considerare anche le cifre nette. Parte dei compensi torna allo stato sotto forma di tasse: calcolato sullo stipendio netto il risparmio sarebbe di 37 milioni per la Camera e 27 per il Senato. Di contro si può pensare, però, a una riduzione di altre spese ‘generali’ (gestione degli uffici, dalla cancelleria ai telefoni, fondi ai gruppi, ecc..) più difficili da quantificare (secondo alcune stime, si tratta di circa 30 milioni).

Le differenze nei territori

Il taglio è lineare, gli effetti variano da regione a regione. Alla Camera il quadro è comunque abbastanza omogeneo: per alcune regioni, come Basilicata, Molise e Umbria, il taglio è di circa il 33%, per altre si arriva al 39; in Abruzzo c’è un deputato ogni 145 mila abitanti, in Liguria poco meno (uno ogni 157 mila). In Senato le forbici del taglio hanno movimenti più ampi: il Veneto, ad esempio, perde il 33% degli eletti, la Basilicata il 57%. Il Senato è eletto su base regionale e oggi la Costituzione prevede per ogni territorio un numero minimo di seggi: sette senatori per ogni regione (tranne due per il Molise e uno per la Valle d’Aosta). Se vince il sì il numero minimo sarà di 3 senatori per regione o provincia autonoma. La quota minima è prevista per Basilicata e Umbria, 4 senatori avranno Friuli Venezia Giulia e Abruzzo, 5 Liguria, Marche e Sardegna. Le differenze tra una regione e l’altra sono più marcate: se la Basilicata avrà un senatore ogni 193 mila abitanti, Abruzzo e Sardegna ne avranno uno ogni 327 o 328 mila. Ecco un altro nodo del dibattito: quello sulla rappresentanza. Per il fronte del no le regioni più piccole non sarebbero adeguatamente rappresentate. E non solo. I collegi piccoli portano con sé un effetto di «sbarramento naturale»: se in palio ci sono tre o quattro seggi, passano solo i partiti più grandi, e restano fuori tutti gli altri, a volte anche con percentuali a due cifre. Anche questo, per i sostenitori del no, indebolisce la rappresentanza.

Nelle pagine qui a fianco le ragioni per il voto Sì o No di costituzionalisti e giuristi.

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