ANGELI, DIAVOLI, DIVI E DIVINE: Gérard Philipe, un divo con “il diavolo in corpo”

Pubblicato il 16 Gennaio 2017 in

Lo star system sulla Senna/05: Gérard Philipe, un divo con “il diavolo in corpo”

Il 26 novembre 1959 tutti i giornali francesi piangono la scomparsa, a soli trentasette anni, di Gérard Philipe avvenuta nella notte tra il 24 e il 25 in un ospedale parigino in seguito a un embolo. L’attore, tra i più popolari in patria, ma di fama internazionale, era stato sottoposto quindici giorni prima a una delicata operazione al fegato per via di una grave malattia esplosa improvvisamente ad Acapulco, in Messico, durante la lavorazione dell’Isola che scotta (La fièvre monte à El Pao) di Luis Buñuel. La stampa di tutto il mondo non mancherà in quei giorni di ricordare il suo talento e la sua personalità artistica, in grado di toccare le corde più intime del pubblico sia sul palcoscenico che sul grande schermo.01 Philipe e Marça Felix in L'isola che scotta

Nato a Cannes il 4 dicembre 1922 da un famiglia benestante (suo padre è proprietario di un albergo) il futuro divo aspira a diventare avvocato o medico nelle colonie francesi o, come ultima chance, ereditare il mestiere paterno. Niente di tutto questo per lui, che nel frattempo ha scoperto l’amore per la recitazione. Dopo essersi aggregato a una filodrammatica di dilettanti nella vicina Grasse, si trasferisce a Parigi per seguire i corsi dell’Accademia d’Arte Drammatica. Nel 1942, in piena guerra, esordisce sulla scena teatrale nel ruolo dell’angelo in Sodoma e Gomorra, da Marcel Proust. Presto si afferma come uno degli interpreti più straordinari del Théâtre National Popoulaire di Jean Vilar, tanto che il nuovo principe della scena francese gli affida il ruolo di Rodrigo nel Cid di Corneille in cartellone al III Festival di Avignone. Philipe, professionista esemplare, scrupoloso e autocritico, non si sente sufficientemente pronto per una prova così impegnativa e rifiuta l’offerta, ma a partire dal 1950 è protagonista di diverse pièces importanti: Il principe di Hombourg (von Kleist), Ou ne badine pas avec l’amour (Musset), Madre Coraggio (Brecht). Uomo colto, intelligente e politicamente progressista, è membro del Consiglio nazionale del movimento per la pace e attivo nel sostenere i prigionieri politici spagnoli sfuggiti dal loro paese dopo la vittoria di Franco.

Il suo debutto davanti alla macchina da presa è Rondini al nido (1943) di Marc Allegret. Parte ottenuta grazie a sua madre, cartomante che a Nizza, durante la lettura della mano al regista, convince quest’ultimo a sottoporre il figlio a un provino. Philipe (dopo la Liberazione ha aggiunto al suo cognome originario una -e) è un lavoratore infaticabile, di giorno impegnato sul set e di sera sul palcoscenico. Timido e riservato (difenderà gelosamente nella vita privata la sua famiglia, la moglie Nicole Fourcade sposata a Avignone nel ’51 e i suoi due figli) con il suo volto giovanile intenso è perfetto nel ruolo del dongiovanni e in quello dell’aristocratico idealista. Nel ’47 è protagonista dell’Idiota di George Lampin da Dostoevskij, ma è soprattutto con il personaggio di François, giovane amante tenero e romantico del Diavolo in corpo di Claude Autant-Lara tratto dal romanzo di Raymond Radiguet del 1918, che diviene il simbolo della generazione uscita dal tunnel della guerra alla ricerca di un mondo libero e sentimentalmente più disinibito. Il film è accusato di oscenità in una Francia che non poteva ancora accettare la storia amorosa “illecita” dello studente liceale e di Marthe, una donna di qualche anno più anziana di lui (Micheline Presle) il cui marito è un ufficiale al fronte.

03 gerard-philipe La bellezza del diavoloDopo questa prova il venticinquenne Gérard è ormai a suo agio nelle parti in costume, L’ombra del patibolo (1947) di Christian Jacque; La ronde (1950) di Max Ophüls, Fanfan la Tulipe (1951) ancora di Christian Jacque. Nel ’49 inizia la sua intensa collaborazione artistica con René Clair. «Quando presi in considerazione la leggenda di Faust – afferma il regista – che sta alla base della Bellezza del diavolo pensai subito a Gérard Philipe che ancora non conoscevo. Da quel momento cominciai a cercare idee e copioni adatti all’attore con cui intendevo girare altri film». Nella Bellezza del diavolo assistiamo al confronto tra il giovane Mefistofele di Gérard e l’anziano Faust di Michel Simon impegnati in un duetto recitativo di alta classe. Seguono poi Le belle della notte (1952), storia di un professore di musica di una piccola città di provincia diviso tra la realtà e il sogno e Le grandi manovre (1955) che vede il giovane affascinante tenente dei Dragoni Armand de la Verne desiderato da tutte le signore della buona società innamoratosi perdutamente di Marie-Louise (Michèle Morgan), una parigina divorziata da lui sedotta per una banale e crudele scommessa. Il film, apprezzato dal critico André Bazin, sarà invece detestato dagli esponenti della Nouvelle Vague.04 GÇrard_Philipe e Michäle_Morgan_Le grandi manovre

Nei ventisei film girati in dodici anni la versatilità e il talento di Gérard Philipe sono presenti nei diversi personaggi da lui rappresentati: il povero alcolizzato di Gli orgogliosi (1953) di Yves Allegret: il moschettiere D’Artagnan in Versailles (1954); il cinico seduttore di Le amanti di Monsieur Ripois di René Clement dal romanzo di Louis Hémon; il sofferente Modigliani in Montparnasse (1957) di Jacques Becker, opera dedicata a Max Ophüls autore della sceneggiatura morto prima di iniziare le riprese e ispirato a Les Montparnos di George Michel; l’ex seminarista Julien Sorel ambizioso e arrampicatore sociale nella Francia della Restaurazione di L’uomo e il diavolo (1954) dal romanzo Il rosso e il nero di Stendhal. E, ancora, il precettore russo che per amore di una donna diviene schiavo della roulette in Il giocatore (1958) di Claude Autant-Lara dall’omonimo racconto di Dostoevskij; Ottavio, il giovane Casanova giunto a Parigi dalla provincia per fare strage di cuori femminili, in Le donne degli altri (1957) di Julien Duvivier e, infine, il libertino Valmont di Relazioni pericolose (1959) di Roger Vadim tratto dall’opera di Choderlot de Laclos. L’attore dirigerà un solo film, Le diavolerie di Till (1956) con la collaborazione del grande documentarista Joris Ivens, rifiutando sempre di trasferirsi a Hollywood dove lo consideravano il degno erede di Charles Boyer. Tanto che il New York Times nel momento del suo massimo splendore scriverà: “Philipe è un grande intrattenitore dal viso affascinante e tragico”. Il 25 novembre 1959 cala invece per sempre il sipario sulla sua breve, ma intensa carriera.

 

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