Alle Gallerie d’Italia di Napoli, “London Shadow”, in mostra la rivoluzione inglese degli ultimi decenni

Pubblicato il 18 Dicembre 2018 in
Intesa Sanpaolo

Fino al 20 gennaio, nella sede museale di Intesa Sanpaolo a Napoli, a Palazzo Zevallos Stigliano, la mostra London Shadow – La rivoluzione inglese da Gilbert & George a Damien Hirst, a cura di Luca Beatrice.

L’esposizionea, attraverso ventitré opere di sedici artisti di fine anni ’80 e primi anni ’90, lo spirito di un’autentica rivoluzione. Ispirata al titolo di un’opera di Gilbert & George *, il “duo terribile” attivo fin dalla fine degli anni ’60, precursori di quelle temperature caustiche e irriverenti che saranno alla base di ciò che accadrà nella seconda metà degli anni ’80, London Shadow riassume tensioni, ambiguità, vitalità e contaminazioni della cultura inglese degli ultimi decenni, fino a oggi.

Negli anni ’90 Londra è la città più cool del mondo, complice anche la musica (il Brit Pop, l’elettronica dei club), la letteratura (Irvine Welsh e gli acidi scozzesi, le periferie indiane di Hanif Kureishi), la moda (l’icona Kate Moss, le riviste e i giovani stilisti come Alexander Mc Queen). Nell’ultimo decennio del secolo Londra si propone come la rinnovata capitale mondiale dell’arte, nonché l’ultima scuola europea a presentarsi unita e compatta all’attenzione internazionale, tanto da far parlare di “Cool Britannia”.

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Intesa SanpaoloGilbert & George, all’anagrafe Gilbert Prousch (San Martino in Badia, 1943) e George Passmore (Plymouth, 1942) sostengono l’Art for all: tale frase-slogan, utilizzata fin dalle origini del loro sodalizio esistenziale-artistico, sintetizza al meglio la logica che sottende la loro attività artistica. L’obiettivo principale del loro lavoro è, fin dall’inizio, quello di produrre un’arte di forte impatto comunicativo, volta al superamento delle tradizionali barriere tra arte e vita e ad analizzare in profondità la condizione umana. Essi sono perciò interessati a riprendere esperienze umane di ogni tipo indagando le paure, le ossessioni, e le emozioni che provano gli individui soprattutto quando sono posti davanti a temi forti quali sesso, razza, religione e politica. Essi stessi, con il loro vissuto, per primi si sottopongono a tale minuzioso esame, in un’ottica che vede l’artista e l’opera d’arte, coincidenti: “Essere sculture viventi è la nostra linfa, il nostro destino, la nostra avventura, il nostro disastro, nostra vita e nostra luce” dichiarano i due artisti, indicando nel problema del rapporto tra l’arte e la vita l’asse portante della loro poetica 


In mostra tre opere di Damien Hirst * e in particolare l’opera Problemseccezionalmente concessa in prestito dallo stesso artista e proveniente dal suo studio di Londra, a cui si affiancano le spatolate materiche di Jason Martin, le strisce di colore, espressione della cosiddetta Process Paintingrealizzate da Ian Davenport, i grandi fiori super pop di Marc Quinn, la manipolazione digitale di Julian Opie.


Intesa San Paolo* Damien Steven Hirst (Bristol, 7 giugno 1965) è un artista britannico, capofila del gruppo conosciuto come YBAs (Young British Artists). Noto soprattutto per una serie di opere contraddittorie e provocanti, tra cui corpi di animali (come squali tigre, pecore e mucche) imbalsamati e immersi in formaldeide, vetrine con pillole o strumenti chirurgici o “mandala” costituiti di farfalle multicolori, o il celebre teschio ricoperto di diamanti. La morte è il tema centrale delle sue opere. Hirst domina la scena artistica britannica durante gli anni novanta, portandola alla ribalta internazionale.

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Damien Hirst Problems 1989-2010, glass, faced particleboard, ramin, wooden dowels, plastic, aluminiun and pharmaceutical packaging, 54x40x9 in (1372x1016x229 mm)

Napoli Gallerie d'Italia
Damien Hirst 3-Methyluracil 2003, household gloss on canvas (vernice lucida su tela), cm 40,6 x 50,8 – 2 – in spot, Collezione Privata

L’esposizione ripercorre la provocazione delle giovani bad girls, che esaltano i temi del femminismo sfiorando la cattiveria e la sessualità esplicita. È il caso dei neon di Tracey Emin, delle sculture di Sarah Lucas, dell’installazione video di Sam Taylor-Wood. Senza dimenticare la versione contemporanea della Vanitas secondo Marc Quinno la rivisitazione del mito, tutto inglese, di Ophelia nell’opera di Matt Collishaw. Beffardo e sarcastico l’intervento di Gavin Turk, che gioca sul rovesciamento tematico e sull’inganno percettivo in lavori che “imitano” celebri icone della storia dell’arte, il Love di Robert Indiana e un Concetto Spaziale di Fontana.

La mostra, infine, non tralascia l’arte inglese che degli anni’90 si fa concettuale, a testimonianza di una temperie che coinvolge l’intero panorama creativo: le serie fotografiche di Darren Almond, l’installazione minimalista  di Liam Gillick, la scritta Things di Martin Creed, e ancora fotografie cieche di Douglas Gordon e la fine riflessione mentale di Gillian Wearing.

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Foto Mario Laporta/KONTROLAB

Gallerie d’Italia – Palazzo Zevallos Stigliano

via Toledo, 185 – 80132 Napoli 

Tel. 800.454299

info@palazzozevallos.com

www.gallerieditalia.com

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