Monti già rientrato a Roma: pronti per la fase 2

Pubblicato il 27 Dicembre 2011 in da redazione grey-panthers

Le aperture

La Repubblica: “Pensioni, crollo del 30 per cento. Consumi a picco a Natale. Monti già rientrato a Roma per avviare la fase 2. Berlusconi: io sempre in pista, anche per il futuro”. La foto in prima è di Giorgio Bocca, “il partigiano che raccontò l’Italia”. In taglio centrale le parole del Presidente della Corte dei Conti, Giampaolino: “La corruzione dilaga, cambiamo subito le leggi”. Si tratta di una intervista nel corso della quale Giampaolino dice che va “rinforzato” il falso in bilancio.

La Stampa: “Consumi giù, timori per i Btp. L’appello degli economisti a Monti: più crescita. Fase 2: le sei mosse del governo. Pensioni, nel 2011 in calo del 30 per cento. Il peggior Natale dal 2000: cenone e regali al risparmio, al cinema sale vuote. Occhi puntati sull’asta dei bond di giovedì. Berlusconi: la manovra è recessiva”.

Il Sole 24 Ore: “Meno pensioni nel 2011. Effetto finestre sulle uscite: – 94 mila nei primi 11 mesi, ma l’età media è in discesa a 60,2 anni. Calano gli assegni di vecchiaia (-39,4 per cento) e quelli di anzianità”. L’editoriale è firmato da Giuliano Amato ed è dedicato all’Europa. In taglio basso anticipazioni dal Consiglio dei ministri, dove ci sarà il “primo esame della fase 2”: “Un piano antisprechi da 5 miliardi. Allo studio del governo le misure per contenere la spesa pubblica”. In evidenza anche il rapporto Adusbef sulle spese di Natale, che sono “in caduta”. “Acquisti tagliati del 10 per cento, resiste soltanto l’hi tech”.

Il Corriere della Sera: “Statali, la truffa dei due lavori”. Si parla di un rapporto della Guardia di Finanza sui raggiri ai danni dell’Amministrazione pubblica e dell’Inps: “Migliaia sotto inchiesta. ll funzionario con 62 consulenze”. A centro pagina: “Dietro la strage dei cristiani in Nigeria. Al Qaeda apre il fronte africano”. In prima anche un ricordo di Gian Antonio Stella: “Giorgio Bocca, la passione senza paura di sbagliare”.

Libero dedica a Bocca il ricordo di Giampaolo Pansa (“La mie guerre con l’uomo che negava le Br”), mentre il titolo di apertura del quotidiano diretto da Belpietro è: “Togliamo i soldi alla Rai. Con un voto popolare non si può abolire il canone, ma la legge che assegna a Viale Mazzini il servizio pubblico sì. Così ogni anno si risparmierebbero 1,6 miliardi di euro”. L’idea è stata lanciata nei giorni scorsi da Maria Giovanna Maglie, ed è “piaciuta molto ai lettori” del quotidiano, scrive Belpietro.

Spese

Secondo Il Sole 24 Ore il governo si impegnerà per una “spendig review”, una ricognizione a tutto campo sul fronte della spesa pubblica. La svolta è non agire più sulle uscite a legislazione vigente, ma sulle previsioni riferite al consuntivo del 2010. A metterlo a punto è stato il ministro per i rapporti con il Parlamento Piero Giarda che, riferendosi al calderone della spesa pubblica (il 51,2 per cento del Pil nel 2010) sottolinea come si annidino “sprechi e inefficienze” classificati in tre grandi comparti: inefficienza produttiva, “per sprechi nella produzione o organizzazione di singoli servizi o attività pubblica”, inefficienza gestionale, “per il mancato livellamento dei benefici associati alle diverse tipologie di spesa”, quindi alla cattiva allocazione delle risorse disponibili; inefficienza economica, “per l’avvio o il mantenimento di spese i cui benefici non compensano i costi causati dalla elevata pressione tributaria”. E per fare esempi di ogni tipologia di sprechi, si cita il caso di due impiegati utilizzati per fare un lavoro per il quale uno sarebbe sufficiente, oppure di una macchina “costosa e ad alto potenziale” che viene sottoutilizzata. Oppure, del secondo tipo, “prezzi superiori al loro prezzo di mercato”, come farmaci o modi di produzione inefficienti. Infine, “le errate identificazioni di soggetti meritevoli di essere sostenuti”, rispetto ai quali, come scrive Giarda, “la spesa potrebbe essere ridotta senza causare riduzione dell’offerta di servizi”.

La seconda e la terza pagina del Corriere della Sera sono dedicate ad una inchiesta sui conti pubblici. Attraverso una lettura del rapporto della Guardia di Finanza, ci si occupa del “doppio lavoro degli statali”, ovvero “consulenze e incarichi privati”. Sarebbero già stati scoperti 3300 casi: impiegati e funzionari, anche di alto livello, che hanno guadagnato illecitamente oltre 20 milioni di euro, causando un danno alle casse dello Stato che sfiora i 55 milioni di euro. Scrive il quotidiano che la legge disciplina le incompatibilità, il cumulo degli impieghi e gli incarichi, consentendo ai dipendenti pubblici di eseguire attività professionali al di fuori dell’orario di lavoro, purché il fatto venga portato a conoscenza della pubblica amministrazione, al fine di evitare fenomeni di incompatibilità o di conflitto di interesse. Un esempio citato dal rapporto della Guardia di Finanza è quello, ad esempio, di un geometra in servizio in una amministrazione provinciale che ha percepito consulenze per 885 mila euro: pareri che riguardavano spesso pratiche che doveva poi esaminare nello svolgimento del proprio incarico presso l’ente locale. Oppure, dirigenti dell’agenzia delle entrate che hanno svolto mansioni per società private in materia fiscale. In un’altra pagina: “L’esercito dei finti disoccupati: i costi dei raggiri all’Inps, assegni e pensioni di parenti deceduti”.

La Repubblica intervista il presidente della Corte dei Conti Giampaolino, soffermandosi soprattutto sulla questione corruzione: “La fattispecie del falso in bilancio” – dice tra l’altro – “andrebbe ripristinata in tutta la sua portata di tutela di beni fondamentali dell’economia e di sanzione di comportamenti che ledono”. A Giampaolino viene anche chiesto un parere sulla manovra: dice che “è molto fondata sulle entrate e su un rilevante aumento della pressione fiscale. La lotta all’evasione rientra in una tale strategia, anche se non va dimenticato che quanto più viene elevata la pressione fiscale, tanto più vi è pericolo di evasione”. Il “problema strutturale rimane quello della spesa pubblica e di una riduzione qualitativa della stessa”. Una “dura lotta all’evasione fiscale presuppone sempre, come contropartita, una severa attenzione su come si spendono i soldi pubblici, e la certezza che vi sia una eguale osservanza di tutti gli altri obblighi costituzionali che contornano, se non addirittura sono il presupposto” dell’obbligo per tutti di concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.

Alessandro Penati su La Repubblica firma il primo capitolo di un dossier relativo alla lotta all’evasione: vi si legge che lo Stato ora dispone di tutti gli strumenti per contrastare questo fenomeno, può controllare ormai ogni pagamento, transazione finanziaria o investimento dei cittadini. Quel che serve è una operazione di trasparenza: per comprendere e giudicare l’efficacia dell’azione dello Stato, agli italiani deve esser fornito un dato ufficiale, verificabile, analitico e indipendente sull’ammontare dell’evasione. Si tratta di adottare quella che altrove si chiama “tax-gap”, ovvero la comunicazione sulla differenza, per ciascuna imposta, tra il gettito fiscale effettivo e quello teorico.
Il secondo obiettivo è quello di stabilire un tetto alla pressione fiscale, fissando un obiettivo ufficiale come si fa per deficit, debito e saldo primario.

Giuliano Amato sul Sole 24 Ore, in prima pagina, si sofferma sull’accordo intergovernativo deliberato dal Consiglio europeo il 9 dicembre scorso, scritto “su impulso preminente della Germania”, per portare nei nostri ordinamenti il pareggio di bilancio e i principi della più severa austerità. Amato sottolinea come questo accordo dedichi alla crescita “nulla più che un generico auspicio”. Ma anche che si è preteso, con un accordo intergovernatico, come tale estraneo alle fonti del diritto previste dal Trattato, di modificare la disciplina dei disavanzi eccessivi adottata con un regolamento comunitario esattamente un mese prima”. E si chiede come si possa pensare che a gestire queste modifiche sia la Commissione, le cui funzioni non sono regolabili da accordi intergovernativi.

Politica

Il Corriere della Sera intervista il ministro per la Cooperazione e l’integrazione Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio. Il titolo per riassumere le sue parole: “I cattolici ritrovano il gusto della politica. I partiti si ripensino”. Riccardi sottolinea come non abbia mai voluto fare politica: ma il governo Monti rappresentava “un’occasione per il risanamento economico” e contemporaneamente per “il rilancio della politica”. Il bipolarismo che abbiamo alle spalle era “conflittuale” ed ha prodotto “lacerazioni”. Nel nuovo contesto i cattolici “hanno ritrovato il gusto della politica come servizio al bene comune. Quando tutto non si riduce più solo a un ‘Berlusconi-sì-Berlusconi-no, si riappasssionano”. La priorità non è “costruire un nuovo soggetto politico” ma il rinnovamento della “cultura politica in un quadro generale di rifondazione della democrazia”. Del suo ministero dice che “è stato disegnato per contribuire a ridare identità a un Paese che per troppo tempo è stato “introverso”: quindi rilancio della cooperazione internazionale e poi integrazione, “perché l’immigrazione non è solo questione di flussi”. Si tratta di chiedersi come costruire il nostro Paese: “come un Libano fatto di comunità giustapposte? O vogliamo integrare queste comunità che spesso hanno anche voglia di farlo?”.
La Repubblica riferisce le parole di Berlusconi, convinto che il Pdl sia in recupero. Ma dedica un ‘retroscena’ alla “diaspora” che sarebbe in preparazione nel partito, dove quaranta delusi sarebbero tentati dal centro e dalla creazione in un nuovo partito dei moderati. Anche perché, come spiega uno di loro, rigorosamente anonimo, “Berlusconi non è in grado di garantire più nessuno e pensa solo ai fatti suoi”.
Restiamo a La Repubblica per segnalare un’analisi del direttore di Reset, Giancarlo Bosetti, che compare sotto il titolo: “I leader del dopoguerra e i pigmei della politica”.  “Ci fu un tempo, dopo la seconda guerra mondiale, in cui i politici erano visionari e capaci di inauditi atti di coraggio come accantonare il piano Morgenthau (che avrebbe punito tragicamente gli sconfitti) e adottare un piano Marshall (che li avrbbe risollevati”, scrive Bosetti. Quelle ‘élites reponsabili’, incarnate nel tempo dai Churchill, Einaudi, Monnet, Schuman, Spinelli,  erano dominate dalla paura che la società si disgregasse sotto la pressione del panico di massa, dell’insicurezza, dei rancori, del populismo da cui germinano  razzismo, xenofobia: “le politiche di welfare si svilupparono per controllare questi rischie spinsero ad abbandonare una fede dogmatica nell’individualismo e a sostenere l’azione di gruppo e la partecipazione”.

Internazionale

Una strage di cristiani in Nigeria, nel giorno di Natale: i terroristi hanno piazzato un’autobomba davanti ad una chiesa, 35 morti. La notizia viene commentata da tutti i quotidiani: Guido Olimpio, sul Corriere della Sera, scrive che a rivendicare l’attentato è stato il gruppo Boko Haram, sigla che sta per “l’educazione occidentale è peccato”. E’ L’Africa la “nuova frontiera del terrore”: il gruppo della strage ha subito una scissione ed è stato scavalcato nella sua leadership da un’ala dura e jihadista internazionalista, che è in collegamento con gli Shabab somali, i talebani e, soprattutto, con ” Qaeda nella terra del Maghreb”. Il quotidiano intervista lo scrittore nigeriano Biyi Bandele, che vive a Londra: dice che recentemente questi attentatori hanno spedito forze in Somalia e che sono stati addestrati da ‘Al Qaeda nel Maghreb’. Non si capisce bene “cosa vogliano realmente”: prima erano contro gli islamici, per loro troppo moderati, poi contro lo Stato, ora contro i cristiani. Ma odiano la cultura e perciò colpiscono i simboli occidentali.
Su Il Giornale, con firma di Gian Micalessin: “Talebani neri a caccia di cristiani”. Dove si riferisce delle rivendicazioni dell’attentato e delle dichiarazioni del portavoce del movimento: “vogliamo la sospensione della democrazia e della Costituzione, la piena e immediata applicazione della legge islamica (già in vigore in 12 province musulmane, ndr), e la liberazione di tutti i fratelli incarcerati”. Micalessin scrive che l’epopea sanguinaria dei Boko Haram inzia dalla capitale del Borno, dove un predicatore 32enne, Mohammed Yusuf, insegnava, finché non è stato ucciso, nel 2009, a rinnegare tutti gli insegnamenti della civiltà occidentale non contemplati dal Corano, compresa la conivnzione che la terra fosse tonda.
Su La Repubblica, con copyright New York Times, una riflessione di Bill Keller dedicata ai “figli arrabbiati di Putin” che stanno cambiando la Russia: oggi in piazza vanno giovani trentenni di successo della classe media, che si sentono ingannati.
Su La Stampa un articolo, dalla cella in cui si trova, dell’ex primo ministro ucraino Yulia Timoshenko, condannata a 7 anni di carcere per ‘abuso di potere’.
La Stampa offre ai lettori un’analisi di Mimmo Candito sull’Afghanistan: “Vittoria impossibile se non si tratta con taleban e Pakistan”. Il controllo del territorio “è labile”: nel 2014 si rischi ail disastro. Dove si ricorda che il Pakistan ha boicottato la conferenza di Bonn sull’Afghanistan, malgrado sia l’arbitro di ogni accordo.

Giorgio Bocca

Su La Repubblica lo ricorda il fondatore del quotidiano, Eugenio Scalfari. Ma anche l’attuale direttore Ezio Mauro e Nello Ajello. Il quotidiano pubblica anche un’anticipazione dall’ultimo libro di Bocca, che uscirà l’11 gennaio: “Grazie, no”. E l’ultima intervista, rilasciata a Maria Pace Ottieri: “gli italiani danno il meglio solo nei momenti peggiori”.
Su Libero il ricordo è di Giampaolo Pansa, che si definisce “il suo allievo-avversario”: “le mie guerre con Giorgio Bocca, la più memorabile delle carogne”.
Su Il Giornale, Vittorio Feltri ricorda che Bocca “come la maggioranza netta dei compatrioti di quel periodo, fu fascista”.

DA RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini