L’ALLEANZA LITIGA ASPETTANDO LE DECISIONI DELLA NATO. Europei e americani contestano la leadeship di Sarkozy

Pubblicato il 22 Marzo 2011 in da redazione grey-panthers

Le aperture

Il Corriere della Sera: “La guerra libica divide Italia e Francia. Berlusconi: il comando passi alla Nato. Poi lo sfogo con i suoi: addolorato per Gheddafi”. “Terzo giorno. Tensione su obiettivi e guida della missione. Frattini: si cambi o controlleremo noi le basi. Il premier: i nostri aerei non sparano”. A centro pagina: “A Lampedusa sbarchi continui. Il numero degli immigrati raggiunge quello degli abitanti. Il piano di Maroni: vanno distribuiti tra le regioni”. A fondo pagina: “Inseguì e uccise il rapinatore: assolto”. “Per il tabaccaio ‘legittima difesa’. L’accusa aveva chiesto 9 anni”.

La Repubblica. “Italia-Francia, scontro sulla Nato. Nessun accordo al vertice di Bruxelles. Il ministro degli Esteri: o si cambia o ritireremo le basi. Giallo sul figlio del Colonnello Gheddafi, i ribelli annunciano: ‘Khamis è morto'”. A centro pagina le parole di Berlusconi: “Noi non bombardiamo, dolore per Gheddafi'”. “Berlusconi rassicura la Lega e chiama Mosca”.

Libero: “Lo scopo della guerra. A loro il petrolio, a noi i clandestini. All’ombra dell’Onu, inglesi e francesi conducono un’operazione coloniale per sottrarre la Libia all’influenza dell’Italia e spartirsela”. Articolo firmato da Maurizio Belpietro, e commento di Vittorio Feltri: “Combattiamo, ma dirlo è proibito”.

Il Fatto quotidiano: “L’armata rotta. Bagarre nella coalizione: chi guida la guerra a Gheddafi? Scontro Parigi-Roma. Frattini: ‘Senza la Nato faremo un nostro comando’. Raid su Tripoli per tutta la notte”.

Il Riformista, con foto di Berlusconi: “Ci sta ripensando. Gli imbarazzi del governo italiano, i dissidi tra gli alleati: già vacilla la coalizione anti-Gheddafi”.

Europa: “Invece che con Gheddafi, siamo in guerra con Sarkò”. I bombardamenti continuano ma c’è confusione sulla guida delle operazioni”.

L’Unità: “Chi guida? Bombe e liti. Razzi a Tripoli nel bunker del rais. A Misurata infuria la battaglia. Gli alleati si dividono sul comando”. “Premier addolorato per Gheddafi. Berlusconi si confessa con i suoi. Intervista a Enrico Letta: il nostro sì è all’Onu”.

Avvenire: “Bombe sulla Libia. L’Alleanza litiga”. In evidenza le parole del Papa: “Anzitutto la sicurezza per i civili”.

La Stampa, con il titolo sulla Libia (“Bombe su Tripoli, strappo dell’Italia), offre un commento di Boris Biancheri: “L’allenza dove ognuno va per sé”. Di spalla il Giappone, dove “è allarme cibo contaminato. Stop al latte”.

Il Foglio: “La guerra (disunita) di Libia. Europei e americani contro la Francia che ‘telecomanda’ la guerra. Gheddafi reagisce. Berlusconi vuole una conclusione rapida e la via diplomatica. Perciò frena Parigi e incalza la Nato”. Di spalla: “Crisi atomica in Giappone. Incendi, sviste e scuse. Chi pensa che sia Tepco il guaio di Fukushima. La società che gestisce la centrale ha una lunga storia di fallimenti (smascherati dal WSJ). Tutti i sospetti di Washington”.

Il Sole 24 Ore: “La Libia divide gli alleati”. In evidenza sul quotidiano anche l’avvio della conciliazione nel processo civile: “Scatta l’obbligo di cercare accordi di pre-processo. Alfano: Più efficienza nel contenzioso civile con la conciliazione”:

Libia e Germania

Su L’Unità si dà conto delle critiche che ha subito la Cancelliera tedesca Angela Merkel per la scelta della Germania di astenersi sulla risoluzione sulla Libia. Critiche sono venute dal quotidiano conservatore Die Welt, ma anche dalla Suddeutsche Zeitung, che ha sottolineato “l’isolamento della Germania”. Arrivano critiche dalle opposizioni e persino dalle file della maggioranza. La linea non interventista della Merkel piace solo alla Linke. Ed alcuni si chiedono se non si tratti proprio di una strizzatina d’occhio alla opinione pubblica pacifista in vista delle elezioni regionali. Il quotidiano registra una serie di correzioni di tiro in corsa, e ricorda che la Merkel volò a Washington per esprimere la propria vergogna nei confronti della decisione del governo rossoverde di Schroeder che aveva negato l’appoggio alla guerra in Iraq.
Daniel Conh Bendit, leader dei Verdi, intervistato da La Repubblica, dice: “Chi scende in piazza contro la missione internazionale cerca magari una terza via, ma di fatto non è neutrale bensì con Gheddafi. Perché niente cortei quando Gheddafi massacrava il suo popolo? Ricordate Francia e Gran Bretagna del 1936, che lasciarono sola la repubblica spagnola contro Franco, Hitler e Mussolini”. Nell’intervista ci si riferisce esplicitamente alle dichiarazioni di Nichi Vendola, anche perché la pagina è dedicata alla decisione di tenere una manifestazione pacifista a Roma sabato prossimo, con lo slogan “né guerra né tiranno”. A promuovere la manifestazione sono la Tavola della pace, Emergency, Cgil, Arci, Acli, Libera. Insistono per la via diplomatica. Sulla linea della Germania, Daniel Conh Bendit dice: “Merkel e Westerwelle sono opportunisti, fiutano aria di pacifismo, e temono per le elezioni di domenica”.

Libia e Francia

Sul Corriere della Sera il filosofo Bernard-Henry Lévy, che ha spinto il presidente francese a prendere l’iniziativa, argomenta le ragioni del conflitto. Dice che è il contrario della guerra “insensata” in Iraq, ed è il contrario della guerra “giusta” in Afghanistan, è il contrario di una spedizione coloniale, una guerra “non meno araba che occidentale”. Lo scopo non può essere solo proteggere i civili, o accontentarsi di un Gheddafi che si finga moderato e si ritiri nel suo feudo di Tripoli nella prospettiva di riprendersi la rivincita tra sei mesi, un anno. O almeno “spero di no”: “Non si può pensare che la comunità internazionale faccia lo stesso errore che fece con Saddam Hussein, lasciando intatta, venti anni fa, dopo la prima guerra del Golfo, la sua capacità di nuocere”. Quanto ai rappresentanti del Consiglio nazionale di transizione che Sarkozy ha coraggiosamente riconosciuto, “certamente, non sono degli angeli”, “non sono democratici alla Churchill, nati, chissà per quale miracolo, dalla coscia del gheddafismo”: forse tra loro ci sono persino antisionisti o antisemiti mascherati da antisionisti. Ma saranno sempre meglio di un “dittatore psicopatico”.

Se Bernard-Henry Lévy sottolinea che è una guerra di iniziativa francese, ma non è una guerra francese, Bernard Guetta su La Repubblica si concentra invece proprio su quella che legge come “la rivincita di Sarkozy” e un modo per far dimenticare le connivenze di Parigi con i dittatori. Questo l’incipit: “Nicolas Sarkozy era a tal punto poco amato che non si prestava neanche più attenzione a ciò che andava dicendo. Se avesse affermato – anche solo 15 giorni fa – che a mezzodì è pieno giorno, la stampa francese avrebbe stroncato un presidente che dice simili sciocchezze”. Quando il 10 marzo ha annunciato all’improvviso che la Francia riconosceva gli insorti come unici legittimi rappresentanti della Libia, per poi inviare un ambasciatore a Bengasi e chiedere all’Onu di proteggere la popolazione dagli aerei di Gheddafi, “tutta l’elite francese, a destra come a sinistra, ancora una volta si è fatta beffe di questa nuova stravaganza” del presidente che non sa più cosa inventarsi per far dimenticare le connivenze con i dittatori tunisino ed egiziano. Indiscutibile il fatto che Sarkozy voleva ridare smalto alla propria immagine, in un momento in cui soltanto un elettore su cinque ne approva l’operato. E’ stato sostenuto dal nuovo ministro degli affari esteri Juppe, uno dei pochi superstiti del gollismo, attento alla posizione che la Francia occupa nel mondo: proprio quel gollismo con cui Sarkozy aveva voluto rompere. Ora ascolta sempre più spesso gli uomini dell’ex presidente Chirac.

Il Foglio scrive che “la Francia vorrebbe il regime change a Tripoli, e spinge per mantenere la guida della missione”. Intanto ieri il segretario alla difesa americano Gates ha annunciato che Washington ridurrà presto il proprio impegno, ed ha aggiunto che uccidere Gheddafi “sarebbe un errore”: “Per Obama – scrive Il Foglio – nessuna risoluzione dell’Onu autorizza a cacciare il rais”. Secondo fonti del quotidiano, la Francia avrebbe “violato un patto che prevedeva di aspettare ancora qualche ora prima di lanciare l’attacco”: l’attacco veloce rispondeva solo all’agenda politica di Parigi, sottolinea un interlocutore anonimo al quotidiano. Ed aggiunge che nella riunione di ieri dei ministri degli esteri dell’Ue c’è stato un duro scontro franco-tedesco. Persino il Regno Unito, finora allineato alle posizioni francesi, ha sostenuto il passaggio alla Nato.

Secondo il politologo ed ex comandante della marina militare Usa Harlan Ullman, intervistato da La Stampa, la no-fly zone non basta e sarà necessario l’invio di soldati. Ma la Nato è l’unica in grado di gestire la situazione: “E’ necessario coordinare le operazioni militari, e solo l’Alleanza atlantica può farlo, specie se accanto alle forze occidentali operano i Paesi arabi”.

Libia e Italia

Stefano Folli si occupa invece del versante italiano dell’intervento in Libia, alla luce delle “suggestioni neutraliste” della Lega, e ritiene urgente che Berlusconi chiarisca in Parlamento quale sarà la linea italiana. Sottolinea che far intervenire la Nato “finirebbe per dare un ruolo maggiore all’Italia, il Paese che ospita un gran numero di basi messe a disposizione dell’offensiva aerea alleata”.

Yemen

“In Yemen i generali si schierano con la piazza”, titola Il Corriere, spiegando che dopo la repressione, che ha prodotto 45 morti, starebbe vacillando il regime del presidente Saleh. Ha perso quasi metà degli ambasciatori all’estero, il procuratore generale, il governatore della città di Aden, ma la diserzione più importante è quella del generale Ali Mohsin Al Amar, che si porta dietro quattro comandanti e i suoi carri armati, e li ha dispiegati davanti all’università per proteggere un raduno di protesta. Viene dallo stesso villaggio del presidente e appartiene alla stessa tribù, gli Hashid, una confederazione di capiclan che sta lasciando da solo il leader. Ma sono gli stessi che lo hanno sostenuto per 32 anni. Secondo un cable Wikileaks il generale Ali Mohsin avrebbe accumulato un patrimonio in traffici di armi e gasolio, sostiene i salafiti ed ha potenti sostenitori wahabiti in Arabia Saudita. Viene considerato un possibile successore, ma piace poco agli occidentali e ancor meno agli yemeniti.
Anche sul Sole 24 Ore si sottolinea come vi siano state defezioni importanti: “Generali con la piazza”, mentre si registra l’ostinazione del presidente Saleh a rimanere al suo posto, chiedendo peraltro la mediazione dell’Arabia Saudita, “senza comprendere che, dopo l’arrivo dei carri armati di Riad in Bahrein, i sauditi godono di pessima stampa nella piazze arabo.
L’Avvenire descrive così il generale Ali Mohsen: “Uomo forte dell’esercito, ma anche sospetto fiancheggiatore di Bin Laden, almeno nella prima fase del tentativo di penetrazione di Al Qaeda nella regione meridionale della penisola”. Secondo il quotidiano il generale controllerebbe il 60 per cento dell’esercito yemenita. E’ il fratellastro del presidente Saleh. Secondo Avvenire sarebbe gradito agli Usa come presidente di transizione.

Egitto

Per Il Foglio la vittoria del sì al referendum che doveva emendare la Costituzione egiziana sabato scorso è un “trionfo degli islamisti”. Mai visti prima 14 milioni di egiziani alle urne: sconfitti dalle urne escono tutti i partiti laici, dal Wafd di Ayman Nour al Partito di sinistra del Tagamù, dai nasseriani ai giovani di piazza Tahrir, dal candidato alle presidenziali Baradei ad Amr Moussa. Questo fronte aveva invitato a votare no alle modifiche parziali: per il sì erano i Fratelli Musulmani, la cui “forza d’urto” si è collegata a quella dell’elettorato del partito nazionale democratico di Mubarak. Un volantino distribuito dalla Fratellanza recitava: “Se voti ‘no’ sei un seguace dell’America o di Baradei, se voti ‘sì’ sei un seguace di Allah”.
Scrive Avvenire che la vittoria del sì apre la strada ad elezioni legislative in tempi rapidi, così come desiderato dalle formazioni politiche che hanno maggiore esperienza ed organizzazione sul territorio, cioè l’uscente partito di Mubarak e la maggiore opposizione sviluppatasi nei trent’anni del suo regno, ovvero i Fratelli musulmani.
Se avessero vinto i no – spiega Il Foglio – la giunta militare sarebbe stata costretta a prolungare la scadenza di sei mesi prevista a settembra pe il passaggio di potere ad un governo civile. E ciò avrebbe aiutato il più disorganizzato fronte laico a preparare le elezioni. Scrive Il Sole 24 Ore che nel partito del no c’erano anche cristiani e copti, cui peraltro nell’Alto Egitto sarebbe stato impedito di votare. Un voto “bulgaro”, scrive il quotidiano. Le modifiche riguardano nove articoli della Costituzione, relativi alle prerogative del Capo dello Stato.

E poi

Uno degli editoriali de Il Foglio si occupa di quella che definisce “la grande bufala De Magistris-Santoro”: “Come altre avviate con grande clamore mediatico da Luigi De Magistris, anche l’inchiesta ‘toghe lucane’ si è dimostrata una bolla di sapone”, non avendo neanche superato il primo giro di boa, quello dell’udienza preliminare, dove il castello accusatorio è stato giudicato “lacunoso, inidoneo, carente”. De Magistris, protetto dall’immunità che ha come deputato europeo, continuerà a sostenere le sue denunce infondate, “mentre gli accusati ingiustamente non hanno spazio e modo per reagire, anche se sono essi stessi magistrati”.

Da segnalare il botta e risposta tra il presidente russo Medvedev e il premier Putin. Quest’ultimo ieri aveva definito una “crociata” il clima in cui si è dato il via alla risoluzione 1973 del consiglio di sicurezza Onu. Dopo poco Medevedv ha dichiarato che trovava il paragone “inaccettabile”. Se ne occupano Il Riformista e il Corriere della Sera.

(Fonte: La Rassegna italiana di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)