La Cgil rompe con il governo. Camusso: tratti autoritari, Fornero aggredisce i lavoratori

Pubblicato il 19 Dicembre 2011 in da redazione grey-panthers

Le aperture

Il Corriere della Sera: “La Cgil rompe con il governo. Camusso: tratti autoritari, Fornero aggredisce i lavoratori”. “Tremonti attacca. Passera: no alla manovra bis, sì alle liberalizzazioni, frequenze da pagare”. A centro pagina: “Alfano e Terzo Polo: sosteniamo Monti, assurdo votare ora”.

La Repubblica: “Fisco, la caccia agli evasori. Senza attività finanziarie 15 milioni di italiani, via ai controlli”. “Manovra, scontro Cgil-governo sull’articolo 18. Tremonti: nuove tasse in arrivo. La replica di Palazzo Chigi: è falso”. Di spalla la notizia della morte dello scrittore ed ex presidente Havel: “Addio a Vaclav Havel, rivoluzionario tranquillo”. A centro pagina la visita del Papa a Rebibbia, ieri: “Il Papa ai detenuti: ‘Sovraffollamento doppia pena”.

Anche su La Stampa una fotonotizia a centro pagina dà conto della visita del Papa nel carcere romano. “Il Papa tra i detenuti: c’è anche l’ex politico”. E’ Salvatore Cuffaro, ex governatore della Sicilia, “condannato per mafia”. Il titolo di apertura è dedicato ad una intervista al ministro della Salute Balduzzi: “Sanità, ticket ‘su misura’. Il ministro Balduzzi: dovranno essere proporzionati a redditi e famiglie”.

Il Giornale: “Monti, basta con gli amici. Dalla Trilateral al Bilderberg, è ora che il premier chiuda i suoi rapporti con le lobby dei poteri forti”. “Passera: venderò le mie azioni Intesa’. Veleni di Tremonti sui suoi ex colleghi”. In evidenza a centro pagina una intervista al segretario del Pdl Angelino Alfano: ‘”Vi racconto come sarà il nuovo Pdl”.

Lavoro, pensioni, salute 

Il Corriere della Sera intervista Susanna Camusso, che parla della manovra del governo: “Vedo che si autoattribuiscono il ruolo di salvatori della Patria. La realtà è che la situazione era ed è grave, ma la ricetta giusta non è quella di Monti”, che “grava sui soliti noti”, “punta a far cassa rapidamente su chi  non  può sottrarsi e non si è mai sottratto al fisco”, “determina recessione”. Al posto di Monti “avremmo introdotto forme serie di prelievo sulle grandi ricchezze e non misure così leggere che rasentano la trasparenza”, e “un sano tetto alle retribuzioni più alte e alla pluralità di incarichi pubblici e comuli multipli tra stipendi e pensioni d’oro”. Sulla riforma delle pensioni”, tra i lavoratori e i pensionati che frequento io non c’è nessuno che trovi la riforma Fornero ragionevole”, che invece “rappresenta un intervento brutale sui prossimi 6-7 anni per tante persone che non potranno accedere alla pensione e non avranno un sussidio”. La Camusso aggiunge che “nella riforma c’è una norma programmatica che affida a una commissione di studiare la possibilità che i lavoratori spostino una parte dei contributi previdenziali dal sistema pubblico alle assicurazioni private. Questa è una riforma per smontare il pilastro delle pensioni pubbliche. Quindi Fornero non tiri in ballo a sproposito Lama perché lei ha fatto esattamente una riforma contro i suoi figli, anzi i suoi nipoti”. Più avanti: “Sta dicendo che Fornero lavora per le assicurazioni private?” “Se guardo alla manovra sì. Ma un governo di tecnici non può pensare di trasformare il Welfare senza discuterne con nessuno”. E ancora: “Questo governo è nato per affrontare una emergenza. Trovo che ci sia un tratto autoritario nel voler dire che sarà il grande riformatore del Paese, perché questo spetta alla politica”.

La Repubblica intervista la presidente del Pd Rosi Bind, che ribadisce il sostegno del Pd al governo, ma chiede che la fase 2 sia articolata su liberalizzazioni, crescita, e che non si pretenda o non ci si illuda che la crescita venga dalla libertà di licenziamento. Sulle detrazioni fiscali che rischiano di esser tagliate ricorda che “significa andare a toccare le famiglie”. Ma anche che possono danneggiare la lotta all’evasione fiscale: “se si può avere una detrazione per la ristrutturazione della casa, questo è vantaggioso per la famiglia, è crescita e lotta all’evasione”. E complessivamente per la Bindi un governo tecnico che non si limita a intervenire sull’emergenza, ma fa riforme strutturali, deve per prima cosa “confrontarsi con sindacati e forze politiche, e non per un pomeriggio”: la flessibilità in uscita non si fa in tempi di recessione, prima ci vogliono gli ammortizzatori, che rendano la flessibilità sopportabile. “Per tutto ciò occorrono risorse. Il governo le ha?”.

In una intervista a La Stampa il ministro della Salute del governo Monti, Renato Balduzzi, spiega che intende rimodulare i ticket “sulla base di tre criteri: equità, trasparenza ed omogeneità, considerazione del nucleo familiare”. Sulle esenzioni, “non è detto ad esempio che l’esezione per patologia debba essere svincolata dal reddito”, e “stessa cosa per le esenzioni in base all’età”.
Sullo stesso quotidiano una intervista al ministro della Coesione, Fabrizio Barca. Il ministro è titolare del ministero incaricato di ridurre il divario tra le regioni italiane. Si parte dai fondi europei per le regioni del sud, e si parla poi di liberalizzazioni e lavoro. “Sul tema delicato dell’articolo 18 matureremo un convincimento e arriveremo sicuramente a delle posizioni che ci consentiranno di andare in giro a spiegare la riforma con lo stesso orgoglio con il quale abbiamo spiegato ai cittadini quella, dirompente, sulle pensioni”.

Sul Corriere della Sera da segnalare una lettera di Roberto Maroni, richiamata in prima pagina: “La Lega e quei cartelli in aula. Il diritto a una protesta ‘vivace'”. Maroni contesta i resoconti dati dai media sulle proteste del Carroccio contro la manovra, che considera “un urlo liberatorio, contro una manovra iniqua che si abbatte come una mannaia sul ceto produttivo padano e sui più deboli”, ricorda che la Lega non si è limitata a protestare, ma ha anche presentato molti emendamenti alla manovra. E sottolinea come questo atteggiamento sia “tutt’altro che regressivo” perché svolge “l’insostituibile funzione democratica di trattenere nell’alveo delle istituzioni quel ‘ribellismo delle classi popolari’ verso le ingiustizie di cui parlava già Antonio Gramsci”. Rivendica insomma al Carroccio di interpretare le aspettative e gli umori della società moderna e complessa che vive e opera in Padania. E sottolinea come sia necessario elaborare “una rinnovata strategia nordista e neo-europeista”, poiché, a vent’anni esatti dalla pubblicazione dello studio della Fondazione Agnelli dedicato a “La Padania, una regione italiana in Europa”, sia necessario aggiornare i dati socio-economici relativi alle regioni del nord: comunità territoriali, “che sognano una Europa dei popoli, contro lo Stato di Stati – il superstato autoritario, moderno leviatano di Hobbes, che è espressione dei poteri burocratici, finanziari e tecnocratici”. Insomma, il futuro della politica sta in una inedita dinamica tra “i processi di globalizzazione e le comunità territoriali”.

Su Il Giornale una intervista al segretario del Pdl Angelino Alfano: “Nel nostro partito non ci saranno più nominati dall’alto, anche perché io non voglio nominare nessuno, voglio solo ricevere i fax e le email dei congressi che mi comunicano chi ha vinto”. Alfano vorrebbe celebrare il congresso nazionale a giugno, e il cronista gli chiede se colui che vincerà il congresso sarà automaticamente il candidato premier. Alfano: “Il congresso si farà, ma non è affatto detto che il segretario diventi il candidato premier”. Alfano dice anche di non essere affatto contrario alla prospettiva di “primarie di coalizione”.

Havel

Sul Corriere è lo scrittore bosniaco Predrag Matveevic a ricordare l’ex presidente ceco Havel: ricorda come abbia guidato ed accettato la divisione pacifica della Cecoslovacchia, “pur essendo contrario”. Ricorda quanto fosse profondamente europeo, quanto non abbia mai ceduto al richiamo del nazionalismo: “Ha rispettato la volontà del popolo slovacco, non ha assunto un atteggiamento aggressivo ed ha garantito un passaggio indolore”, evitando al Paese “gli orrori dei Balcani”. Maria Serena Natale, sul Corriere della Sera, ne ripercorre la vita: nasce nel 35 in una famiglia borghese della Praga colta e imprenditoriale, destinata a subire le persecuzioni del Partito comunista. A teatro fa il tecnico di scena, studia drammaturgia per corrispondenza, difende pubblicamente autori discriminati per posizioni anticomuniste. Nella “lettera al segretario generale del Partito comunista” denuncia la “crisi dell’identità umana”, in un sistema fondato sul terrore che annienta l’individuo”. Arrestato nel 1977, dopo il crollo del muro diventa Presidente e sale al Castello.
Su La Stampa è Enzo Bettiza a ricordarlo. Racconta che nel lontano 1965, tre anni prima che Dubcek salisse ai vertici del Partito comunista, a Praga si recitava una commedia satirica in un teatro di nicchia. Bettiza ricorda di esser stato in quella platea insieme allo storico Fejto. E la commedia “Garden party” era piena di esilaranti doppi sensi, e l’autore praghese, ingnoto in Europa, si chiamava Havel. Bettiza: “Non si colgono le radici del fondatore della Charta 77, del combattente per i diritti umani dopo il naufragio della primavera dubcekiana, se non si risale alla chiave e alla sferza della sua prima spigliata opera teatrale dove nulla è inventato”. Dove la principale accusata è la dissenata “lingua di legno marxleninista” dove tutto – gli sproloqui estatici dei comunisti in carriera, il loro terrificante perfezionismo semantico, il loro folle burocratismo espressivo – era più vero del vero, o più morto del morto, perché tratto letteralmente dagli editoriali dell’organo del Partito Rude Pravo e dalle verbose ricostruzioni del Comitato centrale. Quando uno spregiudicato carrierista di partito preannunciava dal palcoscenico la creazione di un ‘Ufficio delle Inaugurazioni’ strutturato, su rigorosa base scientifica, per inaugurare la graduale liquidazione dell’Ufficio centrale delle Liquidazioni’ l’applausometro saliva di colpo alle stelle”. Bettiza ricorda anche che Havel non ha avuto dubbi sul primo gesto dal compiere nella veste di capo di una democrazia vera e finalmente sovrana: richiamare dall’ombra lo scomparso Alexandr Dubcek e offrirgli la carica di presidente del Parlamento: “gesto che ha restituito al simbolo ancora vivente della ‘primavera’ il perduto certificato di identità politica e di rispettabilità storica”.
Anche Timothy Garton Ash su La Repubblica ha ricordi di prima mano da raccontare ai lettori: lo incontrò per la prima volta all’inizio degli anni 80, dopo lunghi anni di prigionia: benché la polizia segreta comunista quantificasse il nucleo del movimento Charta 77 in qualche centinaio di attivisti, una stima probabilmente realistica, Havel sosteneva con sicurezza che il sostegno popolare silenzioso era in crescita”. Ed è stato “l’epitome del dissidente”, perché “ha proseguito la sua lotta con pazienza, in maniera nonviolenta, con dignità e arguzia, senza sapere se e quando la vittoria esterna sarebbe giunta”. E ancora: “Con l’emblematico verduraio de “Il potere dei senza potere” che decide un bel giorno il cartello ‘Proletari di tutto il mondo unitevi’, Havel coglie la tesi fondante di ogni movimento di resistenza civile, ossia che anche i regimi più oppressivi dipendono in qualche misura dalla remissività dei loro sudditi”.
Su La Repubblica anche il lungo racconto di Sandro Viola, che ricorda come Havel fosse innanzitutto “un moralista”: “un intellettuale che si era levato contro il comunismo non con un progetto politico alternativo, non con una critica radicale del sistema leninista, ma col rifiuto morale di quel sistema”. Faceva parte di quella pattuglia dei “filosofi” che dall’89 in poi guidò il ritorno dell’Europa centrale in seno all’Occidente, da Varsavia a Budapest a Praga. Mazowiecki, Geremeck, Kis, Konrad e Havel. Sullo stesso quotidiano viene presentato come “il testamento politico” di Havel un testo pubblicato su Repubblica nel 2004. Sono riflessioni in occasione del quindicesimo anniversario della rivoluzione di velluto, che riflettono la preoccupazione per il destino della democrazia, alle prese con corporation globali e cartelli dei media, che rischiavano di trasformare i partiti in organizzazioni il cui compito è la protezione di interessi particolari. “Sempre più spesso – scriveva Havel – la democrazia è ritenuta un puro e semplice rituale. In linea generale, tutte le società occidentali stanno sperimentando – così pare, almeno – una certa seria mancanza di ethos democratico e di partecipazione attiva della cittadinanza”.
Paolo Guzzanti, su Il Giornale, ricorda il suo incontro con Havel nel 1990, anni in cui i due si erano ripromessi di fare un libro-intervista che poi non si realizzò. Spiega Guzzanti che il timore dell’ex presidente ceco era che “dopo la caduta del comunismo sovietico, e dunque della ingombrante impalcatura della guerra fredda, sarebbe poi venuta l’era della menzogna globale, del politicamente corretto, della finta etica e della finta estetica dei giornali manipolatori ed egemoni, dell’anestesia diffusa e perbenista”.

E poi 

Il Giornale recensisce l’antologia dedicata alle lettere che 12 condannati a morte indirizzarono a Stalin: l’ha realizzata Maurizia Calusio, ricercatrice della Cattolica. Tra loro, due agenti segreti, un diplomatico, due tra i più importanti leader del partito come Bucharin e Rjutin, il commissario del popolo agli affari interni Ezov, e gli scrittori Marina Cvetaeva e Mikhail Sholokhov.
L’inserto R2 de La Repubblica è dedicato all’antieuropeismo britannico e alla situazione di Londra, città multietnica per eccellenza, che non ha mai avuto un rapporto idilliaco con l’Ue. Con intervista molto critica di Anthony Giddens, sociologo e teorico degli anni del blairismo: “Isolarsi dall’Europa danneggia l’Inghilterra”. In cui ricorda come l’euroscetticismo inglese sia profondamente radicato nel passato, sottolinea come l’ex premier Blair avesse capito che “in un mondo globalizzato, una piccola nazione deve appartenere a un grande blocco per far sentire meglio la propria voce”, e anche per Washington “contiamo di più se siamo dentro all’Europa, non fuori o quasi fuori”. Peraltro la decisione di star fuori dal nuovo Patto dell’Unione Europea, secondo Giddens, non garantisce affatto la difesa degli interessi economici britannici. E’ possibile che prima o poi la destra più eurofoba imponga al premier un referendum sull’UE, ma Giddens si mostra ottimista, convinto che alla fine la maggioranza dei compatrioti sceglierebbe l’Europa: “Dubito che a Londra e nelle maggiori città la gente non veda i vantaggi di un mercato, un passaporto e una politica comune”. E per finire, più la Gran bretagna si allontana dall’Europa, più Scozia e Galles saranno tentati di allontanarsi dalla Gran Bretagna, votare l’indipendenza e avere un rapporto diverso con l’Ue”.

DA RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini