La battaglia su Bankitalia. Via Nazionale e Quirinale resistono alle indicazioni del premier.

Pubblicato il 20 Ottobre 2011 in da redazione grey-panthers

Le aperture

Il Corriere della Sera: “Tensione su Bini Smaghi. Il premier indica oggi il Governatore. Voci di dimissioni di Saccomanni”.

La Repubblica: “La battaglia su Bankitalia. Via Nazionale e Quirinale resistono alle indicazioni del premier. Tra gli altri candidati, oltre a Grilli e Saccomanni, anche Anna Maria Tarantola”. “Berlusconi punta su Bini Smaghi”. E poi: “Crisi, aumenta il Fondo salva Stati”.
In taglio basso su La Repubblica una foto che ritrae il ministro Frattini con Valter Lavitola, nel corso di un vertice con il Ministro degli Esteri albanese. Per il quotidiano sarebbe la prova che il ministro degli Esteri e il faccendiere erano insieme in Albania (mentre Frattini ribadisce che non si trattava di un incontro ufficiale, né istituzionale, e che nessuno all’epoca sapeva chi fosse Lavitola per quel che riguarda affari illeciti).

Il Giornale: “Toh, un altro pompiere. Continua la caccia ai ‘black bloc’: ecco il teppista che getta benzina sui blindati. Spegneva l’incendio come Er pelliccia? E un lettore offre una taglia per il vandalo della Madonnina”. Il titolo di apertura, più piccolo, è. “Banca d’Italia. Oggi la nomina (con giallo)”.

Il Sole 24 Ore: “Napolitano: essenziale il massimo della coesione, fare presto sulla crescita. Piano per le aree di crisi. Lite Tremonti-Romani”. Il titolo più grande è: “Vertice di emergenza per l’euro. Divergenze sul fondo salva Stati, incontro ieri sera tra Merkel e Sarkozy, Draghi, Trichet e FMI”. A centro pagina: “Berlusconi punta su Bini Smaghi. Attesa oggi la lettera per il Governatore. Malumori in Bankitalia, Saccomanni resta in corsa. I dubbi del Quirinale: prioritarie continuità e serenità”. Un articolo dedicato al Consiglio della Banca d’Italia, che si dovrà esprimere sul Governatore, ipotizza: “La tentazione del voto contrario”.

Bankitalia

Scrive Ferruccio de Bortoli, sulla prima pagina del Corriere della Sera (“Come pasticcio un capolavoro”), che la nomina del Governatore della Banca d’Italia “non solo non è stata sottratta a un vergognoso gioco di veti incrociati della politica italiana, ma rischia di concludersi con l’indicazione di un candidato agevolata da un ultimatum del presidente francese”. L’ultimatum riguarda Lorenzo Bini Smaghi, membro della Bce che – secondo gli accordi tra Italia e Francia – avrebbe dovuto dimettersi prima dell’arrivo di Draghi a Francoforte. Se non se ne andasse, dicono i francesi, ci sarebbero due membri italiani nell’Esecutivo della Banca centrale europea. “Ma qualcuno forse potrebbe far notare che fra l’uscita di Noyer dalla Bce nel giugno del 2002 e l’arrivo di Trichet trascorse quasi un anno e mezzo”. E mentre il Presidente della Repubblica ha assistito al “dualismo” tra Tremonti e Berlusconi sui nomi di Grilli e di Saccomanni, sollecitando più volte una “decisione velose”, la conclusione “pasticciata” sarà probabilmente la nomina di Bini Smaghi, anche per “l’impossibilità di trovargli una collocazione di pari dignità”. “Chiunque sarà il nuovo Governatore, dovrà rimontare uno spiacevole vulnus di immagine derivato della tempestosa e farraginosa procedura di nomina. Il timore è anche quello di una serie di dimissioni (da Saccomanni a Visco) da via Nazionale, gesto estremo, sconsigliabile a funzionari dello Stato, che farebbe precipitare la farsa della nomina del nuovo Governatore della Banca d’Italia in un dramma istituzionale di difficile ricomposizione”.
Secondo un articolo del Sole 24 Ore il Consiglio Superiore della Banca d’Italia (“tredici signori chiamati dai principali capoluoghi di regione a rappresentare il tessuto del Paese all’interno della Banca Centrale”), che deve dare un parere non vincolante sul nome indicato dal presidente del Consiglio, potrebbe dare parere negativo. Bini Smaghi – pur vantando di un curriculum all’altezza del ruolo – non riscuterebbe il pieno consenso. La qualità – dice Paolo Blasi, consigliere anziano, è “soltanto uno degli aspetti di cui saremo chiamati a tener conto nel nostro parere, motivato e meditato. Mi vengono in mente la garanzia che il candidato può dare dell’autonomia della Banca o la sua esperienza nell’attività dell’Istituto che oggi ha soprattutto compiti ispettivi sulle banche in un momento di grande turbolenza”.
Un articolo de Il Giornale racconta “le mosse del Governo” racconta che il Quirinale pare “non abbia gradito” il nome di Bini Smaghi , e non solo perché “non sarebbe una soluzione condivisa”. Non ha gradito le modalità di una candidatura in qualche modo forzata. Secondo il quotidiano sarebbero dunque “in salita le quotazioni dell’attuale direttore generale di Bankitalia Saccomanni, gradito a Napolitano e Draghi ma sgradito a Tremonti”. E vista la situazione di impasse notturna, emergono  i nomi degli “outsider” Ignazio Visco e Anna Maria Tarantola, entrambi vicedirettori generali della Banca d’Italia.
Eugenio Scalfari su La Repubblica parla del “handicap” non trascurabile della candidatura di Grilli: Tremonti ha più volte motivato la propensione a suo favore perché ritiene che la Banca debba essere una propaggine del Ministero del Tesoro, soprattutto nel campo della politica bancaria, in quella importantissima della Vigilanza, e infine nelle valutazioni della politica economica del Governo che il Governatore formula almeno due volte l’anno, il 31 maggio all’assemblea generale e a ottobre, alla giornata del Risparmio. Sarebbe un capovolgimento totale dello spirito della tradizione e del ruolo assegnato a Bankitalia, ventennio fascista a parte: la legge che disciplina la nomina del governatore non fa affatto menzione del Ministro del Tesoro. Quindi, quella di Tremonti è una interferenza che il Presidente del Consiglio subisce per la strutturale debolezza del governo. Scalfari sottolinea che oggi Berlusconi farà la proposta al Consiglio Superiore di Bankitalia, e pare orientato a proporre Bini Smaghi, invocando la forza maggiore di evitare un conflitto con la Francia e soprattutto sottraendosi alla scelta imposta da Tremonti. Per quel che riguarda il Capo dello Stato, la sua – scrive Scalfari – “non è una controfirma ‘dovuta’ su un atto del Governo, ma una firma apposta ad un decreto di sua diretta emanazione. Il diritto di proposta spetta a Berlusconi, ma Napolitano ha il pieno diritto di rifiutarlo se lo ritiene inopportuno e chiedere una proposta alternativa.

Titola Il Sole 24 Ore: “Berlusconi apre al concordato. Possibile riedizione della sanatoria che nel 1994 portò 20 mila miliardi di lire”. Il quotidiano scrive che il Governo a caccia di risorse tira fuori dai cassetti una proposta ingiallita, ma capace di assicurare nuova linfa alle casse dello Stato. Si tratta del concordato di massa, per recuperare non meno di cinque miliardi. La sanatoria del 1994 fu un vero successo per il governo Dini. Si tratterebbe di una proposta articolata su più sanatorie, che vanno dalla riapertura dei termini di presentazione delle dichiarazioni del passato alla rottamazione dei ruoli o alla definizione delle liti pendenti. Finora le ipotesi di sanatoria non hanno fatto breccia presso il ministro Tremonti, che le considera fuori linea rispetto alle indicazioni di Bruxelles, e i rischi di una nuova bocciatura della Ue sono più che concreti, secondo il quotidiano. Spiega La Repubblica che per l’Agenzia delle entrate si tratterebbe di fare uno screening dei contribuenti, individuare gli evasori ed inviare una montagna di inviti ad aderire al concordato: l’operazione di massa non prevederebbe singole contrattazioni con l’Agenzia, ma sarebbe del tipo “prendere o lasciare”, o accetti o l’accertamento va avanti e sono guai peggiori. Tecnicamente non è un vero e proprio condono, perché l’evasore viene individuato e l’adesione al concordato non chiude la strada ad ulteriori accertamenti né sana i reati. Si parla anche di una addizionale Irpef del 5 per mille sull’aliquota più alta, quella del 43 per cento, cioé sopra i 75 mila euro. E dell’emissione di titoli di Stato a tassi più bassi di quelli di mercato.

Indignados 

I giornali discutono ancora delle violenze alla manifestazione degli indignados sabato scorso a Roma. Oggi La Repubblica intervista il leader dei disobbedienti Casarini. Dice: “Basta ambiguità, i black bloc sono nostri nemici”. I “neri” rivendicano il diritto alla rabbia. E Casarini dice che è una operazione da falsari, e che la rabbia è una malattia. “Dobbiamo impedire che la rabbia annulli il progetto di cambiamento di una società, a maggior ragione se la rabbia viene declinata cinicamente in gesto narcisista e autosufficiente. Roba da D’Annunzio, più che da Che Guevara”. Di fianco, intervista a Luigi de Magistris, sindaco di Napoli, Idv: dice che “serve un partito che dia voce agli indignati”, dice di aver partecipato alla manifestazione di sabato scorso per tre ore, “ero insieme alla Fiom, poi ho iniziato a muovermi, volevo capire”. Cosa ha visto? “Una grande manifestazione, un grande orgoglio politico”, “c’erano tutti quelli che hanno contestato in piazza per un anno: gli studenti, il popolo viola, le donne, gli operai, i precari”, “negli ultimi minuti ho visto venti incappucciati e ho sentito la bordata di fischi, ‘fuori, fuori'”. Secondo De Magistris i violenti “hanno cancellato il contenuto politico fortemente alternativo di quella piazza, e realizzato la saldatura di fatto tra la loro violenza e le fasce più retrive del Paese”. Tra violenti e governo Berlusconi ci sono “convergenze parallele”. E spiega che si tratta di “settori economici, pezzi di maggioranza, magistrati infedeli, servizi, faccendieri”, per terminare con “P2, P3 e P4”.
Sul Corriere della Sera, la situazione del Pd e del centrosinistra: Grillo e il suo movimento sarebbero al 5 per cento, e il Pd cerca il confronto anche con l’Udc, perché teme l’asse tra il comico e De Magistris. Senza i grillini il centrosinistra potrebbe non vincere le elezioni, con loro potrebbe non riuscire a governare: questo il timore del segretario Bersani. I grillini potrebbero allearsi con il movimento che De Magistris sembra intenzionato a mettere in piedi, operando uno strappo definitivo con Di Pietro.

Internazionale

Scrive su La Repubblica Marco Ansaldo che il “patto del diavolo”, ovvero il negoziato segreto tra l’intelligence turca a il leader del Pkk Ocalan non è riuscito: il risultato è oggi un massacro di soldati (24 in un agguato ieri, vicino al confine con l’Iraq) e l’immediata ritorsione turca, con l’inizio di quella che lo stesso presidente turco Gul ha chiamato “la grande vendetta”. Ma cosa ha fatto scattare l’attacco dei ribelli? Nei giorni scorsi il premier Erdogan aveva rivelato la trattativa in corso con il Pkk. “Certo che ci saranno incontri tra il Mit (servizi segreti) e il Pkk”, aveva detto Erdogan, aggiungendo che il Mit esiste per questo. Ma la distanza tra le due posizioni è risultata inconciliabile. Ieri il PKK ha spiegato che i bombardamenti dei turchi sui “santuari” curdi in Nord Iraq e soprattutto gli arresti di circa 300 tra sindaci e dirigenti del partito della Pace e della Democrazia (l’unica formazione politica curda in Parlamento, considerata dalle autorità braccio politico dei ribelli) sono state i motivi dell’attacco. Lo scorso anno il governo aveva varato una serie di riforme – ricorda il quotidiano – volte a concedere ai curdi maggiore autonomia e diritti di tipo linguistico e culturale. Misure che i politici curdi hanno considerato insufficienti, visto che chiedono riforme più radicali come l’uso della loro lingua nelle scuole e nella vita pubblica, oltre che la scarcerazione dei militanti, a partire da Ocalan. Su Il Giornale, una analisi di Gian Micalessin, in cui si sottolinea che il frenetico attivismo di Erdogan e del suo ministro degli esteri Davutoglu, pronti a spaziare a tutto campo in Medio Oriente e in Asia, rende difficile individuare il fuochista pronto a soffiare sul PKK e sull’incendio curdo. Al tavolo dei sospetti potrebbero accomodarsi l’Iran e la Siria, ma anche i vecchi agenti dei servizi turchi, e agenti del Mossad. Micalessin ricorda che a settembre il quotidiano Yedioth Ahronot aveva riferito che il ministro degli esteri israeliano Lieberman non escludeva di incontrare rappresentanti del PKK in Europa per cooperare con loro “in ogni possibile campo”. L’uscita del falco israeliano arrivava dopo il deterioramento delle relazioni tra Turchia e Israele, culminato nell’espulsione dell’ambasciatore israeliano. Se la difesa di Gaza e dei palestinesi presa da Erdogan infastidisce Israele, quello di gran protettore della rivolta sunnita in Siria fa letteralmente siriano il presidente siriano Assad: un minaccioso riavvicinamento tra servizi segreti di Damasco e vertici militari del PKK non sarebbe un grande azzardo. Al confine tra Iran e Turchia passano guerriglieri del PKK, entrano in Iran e i servizi segreti di Teheran giocano partite doppie e triple. Solo qualche settimana fa hanno rimesso in libertà il numero 2 del PKK, caduto nelle mani dei pasdaran, dopo la fuga dalla sua base in nord Iraq colpita dalle bombe turche. Ma Erdogan ha anche serpi in casa: i vecchi capi militari, estromessi dai vertici di forze armate e servizi segreti, sono pronti a tutto, pur di fargliela pagare. Anche a riallacciare ambigue relazioni con il nemico.

E poi

L’inserto R2 de La Repubblica si occupa della “battaglia del Kebab”. La proposta che un tempo era crociata dei leghisti, ora viene anche dalle giunte progressiste, che si difendono dicendo di voler favorire il Made in Italy. Pistoia, capofila delle iniziative, rivendica di aver ridato fiato alla iniziativa artigiana.
Tanto sul Corriere che su La Repubblica viene recensito “L’eclissi della borghesia”, di Giuseppe De Rita e Antonio Galdo. Per il Corriere la sintesi è questa: la borghesia è “arrivata al capolinea: occupazione del potere, evasione fiscale, egoismi. Così abbiamo perso il senso dello Stato”. Il saggio prova a individuare una via di uscita nella big society e al volontariato”. La Repubblica: “La fine della borghesia. Requiem per una classe uccisa dal ceto medio”. Con intervista allo stesso Giuseppe De Rita. Quando comincia il declino? “Negli anni del boom economico. Quando c’è stata la ‘cetomedizzazione’ della società italiana”. Che ha causato l’eclissi della borghesia.

DA RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini