DEBITO PUBBLICO: STANDARD & POOR’S BOCCIA L’AMERICA. E a Obama manca anche il sostegno del Congresso, che deve approvare il bilancio federale

Pubblicato il 19 Aprile 2011 in da redazione grey-panthers

Le aperture

Il Corriere della Sera apre con le parole del Presidente Napolitano: “‘Ignobili i manifesti anti-pm’. Duro monito di Napolitano: sulla giustizia siamo al limite. Il Presidente teme esasperazioni e degenerazioni. La Moratti: via il responsabile degli insulti”. A centro pagina la grande foto di Jamila, la diciannovenne pakistana che da due settimana non andava più a scuola perché “troppo bella”, e “promessa sposa ad un parente in Pakistan”, secondo la denuncia di un docente. “Il mio sogno, diventare stilista”. Accanto, i dubbi di Standard e Poor’s sul debito degli Stati Uniti, che “fanno cadere le Borse”. “Il volto debole della Casa Bianca” è il titolo del commento di Alberto Alesina.

La Repubblica: “Napolitano difende i giudici”, “Lettera al Csm: ‘Il 9 maggio dedicato ai magistrati vittime del terrorismo’. Indagato il candidato pdl autore del poster: non lascio”. E si sintetizzano le parole del Capo dello Stato: “Ignobili quei manifesti sulle Br in procura, stiamo toccando il limite”.
Poi, a centro pagina, “Standard & Poor’s boccia l’America”, “Il debito Usa fa cadere le Borse”.
In taglio basso: “Parmalat, assolte le banche straniere”, “Non ci fu aggiotaggio. La delusione dei risparmiatori”.

La Stampa: “Napolitano: basta esasperazioni. Lettera al Csm: sulla giustizia si è toccato il limite, serve responsabilità. Il Presidente condanna i manifesti Br di Milano: ignobile provocazione. Berlusconi: il Quirinale è una fabbrica di stop. Fini: il premier vaneggia. Caso Ruby, la Minetti scarica Fede e Mora”. A centro pagina: “Gli Usa indebitati fanno paura”. In alto: “Un malore a 47 anni. Muore l’erede del gruppo Ferrero”. Pietro Ferrero è stato colto da un infarto mentre si allenava in bicicletta in Sudafrica. Era, insieme al fratello, l’amministratore delegato della azienda dolciaria di famiglia.
Il Sole 24 Ore: “Allarme per i conti Usa. Borse in forte calo, l’oro sfiora i 1500 dollari. Alle stelle i tassi greci, male anche Spagna e Portogallo”. Sugli Usa: “Debito eccessivo: per la prima volta da S&P’s outlook negativo”. “La fine di una lunga illusione” è il titolo del commento di prima pagina. A centro pagina, con una grande foto, la scomparsa di Pietro Ferrero. Un richiamo per lo “stop di Napolitano sulla giustizia”, un titolo più grande per la sentenza ieri a Milano nei confronti di quattro grandi banche estere: Morgan Stanley, Bank of America, Citigroup e Deutsche Bank erano accusate di aggiotaggio nella vicenda Parmalat. Sono state assolte.

Il Giornale: “Dopo Montecarlo, Montezemolo. Il vizietto della Casa. Il presidente Ferrari imputato per abuso edilizio e falso: ieri l’udienza. E’ il ‘nuovo che avanza’”. E poi: “Fini flirta con le toghe, ma non si presenta al suo processo”. Il titolo di apertura è per le polemiche sulla giustizia: “Manifesti anti procure, Napolitano va alla guerra ma l’autore non molla”.

Libero: “L’Europa è una truffa. I popoli si ribellano. L’incapacità di gestire l’emergenza immigrazione è lo scoglio su cui si schianta la Ue. Dall’Italia alla Finlandia, dalla Francia all’Olanda cresce la protesta”. A centro pagina, con vignetta che raffigura il Presidente della Camera, si scrive: “Fini contumace”. Il titolo trova spiegazione alle pagine interne, dove si legge: “Il Presidente della Camera incontra l’Anm mentre per legge dovrebbe essere al processo sulla casa di Montecarlo per cercare un accordo con la Destra di Storace. E ora dovrà presentarsi a maggio”. Ieri infatti, scrive il quotidiano, era fissato il tentativo obbligatorio di conciliazione sulla abitazione eredità di An.
In taglio basso “ai Pm non si può dire terroristi, a Silvio invece sì”, “Napolitano a testa bassa: offese ignobili”.

Il Riformista: “Il Colle è infuriato”. “Duro intervento di Napolitano contro Berlusconi a ruota libera sui giudici”. E si spiega: “Altolà al Cavaliere. ‘Nelle polemiche sulla giustizia si sta toccando il limite’. E sul paragone tra Pm e Br: ‘Ignobile offesa alle vittime’. Il Presidente della Camera incontra l’Anm e attacca a sua volta: ‘Toghe pilastro della legalità’. Il premier: ‘Vado avanti per la mia strada. Il Quirinale è una fabbrica di no'”.

Emanuele Macaluso, sulla prima pagina de Il Riformista, invita la Camera ad istituire una commissione sulle accuse a Fini da parte di Berlusconi, secondo cui esisterebbe un “pactum sceleris” tra il Presidente della Camera e i magistrati: “Non è la disputa privata tra due candidati, ma tra due persone che rappresentano le istituzioni”, dice Macaluso. A centro pagina: “La Ue dà ragione alla Francia”. Sulla questione migranti il Commissario Malmstrom giustifica la chiusura della frontiera di Ventimiglia.

Il Foglio: “Roma e Parigi trovano una tregua sugli immigrati alla frontiera”. Sulle tensioni legate alla giustizia: “Napolitano redarguisce i litiganti sulla giustizia, ma tira aria di elezioni”, “il Quirinale censura le esasperazioni nello scontro tra il Cav e i giudici, il voto di maggio non giova alla pace”. Ma il titolo rosso del quotidiano è dedicato ad Habemus Papam: “Teologia di Nanni Moretti”, “al cinema con un monaco benedettino che conosce bene Freud” (si tratta di Elmar Salmann). “Le osservazioni di un critico molto speciale che trova nel racconto del Papa riluttante ‘uno sguardo curioso e misericordioso'”.

Europa: “Moratti da sola non ce la fa, Berlusconi può fare peggio”. “Napolitano durissimo sui manifesti. Milano si fa rischiosa per la destra”.

Debito Usa

Spiega Alberto Alesina sul Corriere della Sera che il dibattito sul bilancio pubblico Usa “va ben al di là del problema specifico di come ridurre il debito, e si sta trasformando in una battaglia storica sul carattere degli Stati Uniti”. Il presidente della commissione Bilancio del Congresso, il Repubblicano Ryan, vorrebbe “riportare l’America verso il suo ‘eccezionalismo’ basato sulla responsabilità individuale, molto diverso dal paternalismo dello Stato sociale europeo”; Obama vuole invece “muovere gli Stati Uniti verso il modello sociale europeo, ma non sa spiegare come farlo con una imposizione fiscale di modello americano”. La proposta Ryan si basa su una riforma della sanità diversa da quella di Obama: Medicare, il programma di assistenza medica gratuita per anziani ricchi e poveri è una bomba ad orologeria per il debito pubblico. Ryan propone che i più poveri continuino a ricevere una assistenza finanziata tramite un aumento dei contributi per le classi medie e alte. Medicaid, il programma di assistenza pubblica per i più poveri, indipendentemente dall’età, verrebbe invece delegato ai singoli Stati, sostenuti da sussidi federali. Spiega Alesina che il programma di Obama, basato su un aumento delle imposte sui più ricchi ma anche su un irrealistico piano di risparmi sulla spesa per interessi sul debito (perché i tassi oggi possono solo salire), rischia di ridurre il deficit per qualche anno, aumentando le imposte, “ma poi farebbe salire il debito a livelli non sostenibili”. Quindi, secondo Alesina, in questo momento “il problema maggiore non è la riduzione della spesa, ma l’incertezza sulla evoluzione del debito pubblico. Proprio ieri Standard e Poor’s ha confermato il voto sulla affidabilità degli Stati Uniti nella restituzione del proprio debito, ma si è mostrato pessimista sul futuro dei conti pubblici americani. Le imprese americane accumulano profitti ma non investono, e questo è proprio indice della preoccupazione sul futuro, spiega l’economista.
Sulla prima de Il Sole 24 Ore si occupa della stessa questione Mario Margiocco. Ricorda che dopo il fallimento della Lehman Brothers, il salvataggio dei colossi immobiliari Fannie e Freddie ha segnato l’inizio della deriva dei conti pubblici americani. Negli Usa “la corsa del debito anticipa la crisi” finanziaria del 2008: Reagan trovò il debito al 32% del Pil e lo lasciò al 53%; con George Bush padre si passò dal 53 al 66 per cento; Clinton lo riportò al 56 per cento, poi ci furono due grandi balzi con Bush figlio, fino all’83 per cento, per arrivare all’attuale 98 per cento circa di Obama, che entro il 2011 arriverà al 100 per cento. Gli Usa hanno possibilità di rimediare, se trovano la leadership politica all’altezza, ma i conti americani sono pesanti anche perché le percentuali sul Pil citate riguardano l’intero debito federale, di oltre 14 mila miliardi di dollari. Resta fuori infatti il debito di Stati ed enti locali e restano fuori le garanzie per i salvataggi. 
Al Congresso Usa si riferisce il corrispondente del quotidiano di Confindustria, perché tocca al Congresso votare il bilancio federale. Si ricorda che Peter Orszag, ex capo del Bilancio americano, qualche tempo fa ha dato un quadro molto realistico della situazione, concludendo che l’unica soluzione è aumentare le tasse: non solo per coloro che hanno redditi al di sopra dei 200 mila dollari all’anno, come suggerisce Obama, ma per tutti. Il guaio è che sarebbe un suicidio politico alla vigilia di un anno elettorale. Ma in molti a Washington hanno già capito che i tagli alla spesa da soli non basteranno, poiché incideranno al massimo per un punto sul Pil. Persino i Repubblicani sanno che l’idea di Ryan per una privatizzazione di Medicare non andrà da nessuna parte, visto che il piano provocherebbe una diminuzione dei costi per lo Stato, aumentando il carico sui privati.
Su La Stampa si intervista il premio Nobel per l’economia Solow, che non si dice preoccupato “per il debito Usa nel medio termine”. Come spiega la decisione di Standard e Poor’s? Per Solow è una scelta motivata da “un timore di breve termine”, poiché “i mercati ritengono che a metà maggio possa esservi una fase di stallo fra l’Amministrazione Obama e Washington sull’aumento del tetto del debito”. Il piano di Obama secondo Solow contiene una giusta miscela di aumento delle tasse, tagli alla spesa pubblica e investimenti: “Il problema è che per essere credibile, il Presidente ha bisogno del sostegno del Congresso, e in questo momento i Repubblicani non sembrano disposti a darglielo”. La Stampa scrive anche che nelle prossime 72 ore Obama farà un tour nel Paese impegnandosi in tre discorsi pubblici per riconquistare il consenso degli americani, lanciandosi all’offensiva sulla battaglia sul debito. Lo farà approfittando delle due settimane di sospensione del Congresso di Washington, in occasione delle festività pasquali. Non c’è solo l’opposizione, tra gli ostacoli di Obama, ma anche lo scontento dei Democratici, che hanno mal digerito i 33 miliardi di spesa o lo stop ai fondi per gli aborti per le donne povere.

Libia, Medio Oriente

Il ministro della Difesa La Russa, in visita a Washington, ha incontrato il suo omologo Usa Bob Gates: “come prevedevo, non c’è stata nessuna particolare insistenza sull’opportunità che l’Italia fornisca assetti ulteriori, in particolare nell’azione aria-terra, nelle operazioni in Libia” ha detto.

Sulla prima pagina di Libero si confrontano sulla guerra in Libia Mauro Suttora che, rivolgendosi a Vittorio Feltri, dice: “Vittorio, non fare il pacifista. Bisogna aiutare gli insorti”. E Feltri risponde: “Macché pacifista: è un conflitto sbagliato, ti spiego perché”.

Agli interventi militari degli Stati Uniti all’estero, con particolare attenzione alla Libia, ma comunque concentrata sulle rivolte nel mondo arabo, è dedicata la riflessione di due ex Segretari di Stato Usa, Henry Kissinger e James Baker, sul Sole 24 Ore. Le preoccupazione su quanto accadrà in Libia, nel caso di una successione al potere dopo Gheddafi, non mancano, ma i due concludono la loro analisi sottolineando che gli Usa devono sviluppare “una comprensione approfondita e differenziata dei loro interessi nazionali fondamentali”. E tuttavia “la primavera araba ha tutte le potenzialità di diventare una grande occasione di cui beneficieranno i popoli della regione e del mondo intero”, con il passare del tempo promuovere la democrazia potrebbe dimostrarsi una valida alternativa all’estremismo islamico e potrebbe anche – a breve termine – conferire maggiori poteri ai suoi sostenitori: “Dobbiamo pertanto sviluppare una idea realistica di ciò che effettivamente è raggiungibile, e capire in quale arco di tempo lo sarà”.

Sulla prima de Il Foglio si torna in qualche modo sulla morte di Vittorio Arrigoni: “L’Intifada dei mari”, “nuova flottiglia contro l’assedio israeliano di Gaza in nome di Vittorio Arrigoni. Berlusconi in aiuto di Gerusalemme. Gli islamisti a capo della spedizione attaccano il ‘virus sionista’. C’è anche la mano di Qaradawi (lo sceicco da poco rientrato in Egitto come guida spirituale dei Fratelli Musulmani). Spiega il quotidiano che il governo israeliano di Netanyahu ha chiesto a tutti i Paesi europei, dalla Grecia alla Germania, di mettere in guardia i propri cittadini dal partecipare alla spedizione. All’appello ha risposto il premier Berlusconi: “Faremo in modo di impedire la partenza della Freedom flottilla per Gaza, sono convinto che non stia lavorando per sostenere la pace nella nostra regione”. Dall’Italia dovrebbe infatti salpare la “Stefano Chiarini”, imbarcazione dedicata al giornalista de Il Manifesto prematuramente scomparso. Anche questa seconda flottiglia è organizzata dall’IHH, uno dei più potenti, estesi e influenti movimenti islamisti presenti in Turchia. Ma, secondo Il Foglio, dietro la seconda spedizione c’è anche la potente rete della Federation of islamic organizations in Europe, legata ad Al Qaradawi, oltre che i britannici di “Viva Palestina”, i cui fondi sono finiti nelle tasche delle Brigate Ezzedim Al Qassam, il braccio armato di Hamas.

Alla “Turchia, modello per il mondo arabo”, è dedicata una analisi del Sole 24 Ore, in cui l’inviato Alberto Negri spiega i toni della campagna elettorale in corso. Viene apprezzato della Turchia il ruolo di mediatore nelle crisi, l’economia è considerata la più importante della regione, il modello di partito del premier Erdogan ispira i Fratelli Musulmani nel mondo arabo in rivolta.

“Hillary loda Al Jazeera, ‘una tv che dice la verità'”, titola La Stampa descrivendo il “ribaltone di 180 gradi” degli Usa rispetto a quando Rumsfeld definì il network “perverso, scorretto, imperdonabile”. Obama, ricevendo il padrone della rete, ovvero l’Emiro del Qatar, ha detto che “è un tipo piuttosto influente, un grande promotore di democrazia”.

Al Qatar  e a Doha, “capitale di un altro Medio Oriente”, è dedicata una intervista di Europa a Youcef Bouandel, professore di relazioni internazionali alla Qatar University. Dice che il suo Paese è considerato da tutti un “honest broker”, che riesce ad avere buoni rapporti con tutti, dagli Usa all’Arabia Saudita, dal Libano all’Iran. Dovendo scegliere però chi è il miglior amico del Paese, risponde: forse gli Usa. Spiega perché Doha ha deciso di sostenere apertamente la rivolta in Libia e risponde anche al cronista che gli fa osservare che non è comunque una democrazia: “Non c’è un Parlamento, ma negli ultimi 15-10 anni abbiamo assistito a dei cambiamenti. Era un Paese chiuso ed autoritario ed ha cominciato ad aprirsi al mondo a a svolgere le prime elezioni locali. Si è assistito ad una emancipazione delle donne, molte delle quali sono state anche elette.

Su La Repubblica le ultime rivelazioni di Wikileaks, riferite dal Washington Post: E’ la corrispondenza segreta indirizzata nel 2009 al Segretario di Stato, alla Cia, alle sedi di Parigi e Londra, con preghiera di riesaminare l’approccio verso la Siria. Il funzionario del Dipartimento di Stato raccomanda di scartare la politica del regime change, incoraggiando invece le riforme. Dal 2006 al 2009 l’Amministrazione Bush aveva autorizzato il finanziamento segreto di “fazioni antigovernative all’interno e all’esterno del Paese”, primo fra tutti il movimento per la giustizia e lo sviluppo che ha sede a Londra: un gruppo di “Islamisti moderati” legati ai Fratelli Musulmani, oltre ad una tv satellitare, il cui nome è Barada Tv. Quest’ultimo è legato all’ex vicepresidente Khaddam, fuoriuscito dalla Siria dopo la rottura con Bashar El Assad.

E poi

Sul Sole 24 Ore ci si occupa del via libera alla nuova Costituzione ungherese, oggetto di critiche in ambiente europeo ed internazionale, ora che persino il Segretario dell’Onu Ban Ki Moon aveva sollevato dubbi e invitato a verificare la conformita del testo con gli impegni che il Paese ha assunto in termini di diritti umani e libertà civili. Costanti sono i riferimenti a Dio e al cristianesimo come elementi unificanti, non mancano sottolineature della “unità spirituale e intellettuale” dell’Ungheria, senza mancare di sovrapporre “nazione politica” e “nazione etnica”. Oltre alle critiche alla legge sui media, la Costituzione riduce i poteri della Corte Costituzionale.

Sulle pagine della cultura del Corriere della Sera Paolo Mieli recensice un saggio di Philippe Chenaux, dal titolo “L’ultima eresia. La chiesa cattolica e il comunismo in Europa da Lenin a Giovanni Paolo II”, in cui si ripercorrono i rapporti tra Santa Sede e Cremlino. I Papi evitarono la tentazione della crociata, e non prevalse la tendenza ad identificare comunismo ed ebrei. Nonostante ripetute pressioni, Pio XII si astenne dall’appoggiare l’invasione tedesca dell’Urss”.

Su La Repubblica e su Europa si racconta che il premier turco Erdogan, in occasione dei 100 anni della fondazione della Turchia, intende dividere Istanbul in due diverse città indipendenti: una sulla sponda europea, l’altra sulla sponda asiatica, per facilitare la vita ai suoi 17 milioni di abitanti. La proposta fa parte del programma elettorale del partito. Il Chp, principale partito di opposizione, ha reclamato la paternità del piano.

(Fonte: Rassegna Italiana di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)