Catricolà: “Liberalizzazioni, piegheremo le lobby”

Pubblicato il 16 Dicembre 2011 in da redazione grey-panthers

Le aperture

“Liberalizzazioni, piegheremo le lobby”: le parole dell’ex presidente dell’Antitrust e sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, intervistato da Claudio Tito, fanno oggi il titolo di apertura de La Repubblica. Catricolà si dice “arrabbiato” per la “forza delle lobby”, fanno oggi il titolo di apertura de La Repubblica. “Catricalà: andiamo avanti. Confindustria: è recessione. Berlusconi: Monti disperato. E cita Mussolini”. Oggi si voterà la fiducia alla Camera, “Lega scatenata, ancora insulti in Aula”. A centro pagina: “Detenuti in questura per svuotare le carceri”. Il ministro della Giustizia presenterà oggi in consiglio dei ministri un “pacchetto carceri” per affrontare l’emergenza del sovraffollamento delle carceri ma anche per “cercare di accelerare la giustizia civile”. Alle pagine R2 il “giorno storico” della fine della missione Usa in Iraq: “Ammainabandiera a Bagdad”, il titolo.

Il Corriere della Sera: “Monti avanti tra le ostilità. Lega in rivolta. Berlusconi: premier disperato, non so se dura. Oggi la fiducia sulla manovra. Confindustria: il Paese in recessione. Passera: misure per la crescita”. Sulla manovra, anche il titolo: “Mille euro in più l’anno solo per riempire il carrello della spesa. Rincari record per verdura, frutta, ortaggi, formaggi e caffè”. A centro pagina l’ammainabandiera a Bagdad, con due opinioni: Fareed Zakaria (definito “liberal”) e Daniel Pipes (“conservatore”).

Il Giornale: “Le paghe d’oro (statali). Tutti indignati contro i parlamentari, intanto i manager pubblici sono pronti a eludere il tetto dei 305 mila euro l’anno. Berlusconi: ‘Monti è disperato, non è detto che duri. Altro che politici, ecco la vera casta”. Sotto, un elenco di manager di aziende come Eni, Finmeccanica, Enele, Poste, con relativo trattamento economico.

Il Sole 24 Ore: “Pensioni, la guida ai blocchi e alle deroghe. Tassa sul tabacco, salve le sigarette. Monti: ora lo sviluppo, sulle liberalizzazioni una nuova offensiva. Oggi alla Camera il sì (con fiducia) al decreto. Giallo sulla norma che consente al Governo di fissare un tetto allo stipendio degli statali, edicole verso la serrata”. A centro pagina le parole di Berlusconi e le previsioni di Confindustria. Di spalla, l’intervento di Draghi ieri: “Il credito è sotto pressione, evitare la stretta”. Successo per l’asta spagnola a cinque anni”.

Manovra

Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Antonio Catricalà, già Presidente dell’Autorità per la concorrenza e il mercato, in una intervista a La Repubblica, commenta lo stop sulle liberalizzazioni. Promette battaglia e avverte: “Batteremo le lobby e da gennaio andremo avanti”, “ripresenteremo tutto”. Catricalà però ricorda: “Alcune liberalizzazioni le abbiamo fatte. I servizi pubblici locali. L’Antitrust potrà impugnare i cosiddetti servizi ‘in house’ (gestiti direttamente dagli enti locali). Ma abbiamo proceduto pure per i porti, gli aeroporti, le autostrade. Per le banche e le assicurazioni cadrà quel flusso informativo che non permetteva la concorrenza. Per gli ordini professionali abbiamo facilitato l’accesso bloccando l’abilitazione a 18 mesi e a 6 se si possono compiere dopo l’ultimo periodo di laurea”. Poi ammette che questi successi sono stati oscurati dalla sconfitta sui farmaci di fascia C, che avrebbero potuto essere venduti anche nelle parafarmacie: “Sono le famiglie ad essere danneggiate, il prezzo dei medicinali non potrà calare”. D’altra parte, “nessun privilegio cade al primo colpo”. La Stampa intervista il farmacologo Silvio Garattini, che era favorevole alle liberalizzazioni nel settore delle farmacie. A chi aveva avanzato problemi di sicurezza per la diffusione fuori dalle farmacie stesse, risponde: “E dove sarebbe questo problema? C’è un medico che mi prescrive un farmaco, e io vado a comprarlo da un farmacista. C’è una qualche differenza se questo professionista lavora in un posto che si chiama farmacia piuttosto che in un altro che si chiama parafarmacia e si trova dentro a un supermercato?”. Per Garattini la differenza non c’è, ma dice di capire le rimostranze dei farmacisti: “I medicinali a pagamento costituiscono un business complessivo di 12 milioni al giorno, contro i 45 circa che spende il servizio sanitario nazionale”. Vuol dire che la fascia C è un terzo del business: “Non solo – dice Garattini. “Ma è anche quella cui corrisponde un incasso diretto e in contanti, senza attendere i tempi dei rimborsi che le regioni fanno e che, in alcune zone d’Italia, possono essere anche lunghi”.
Sulla prima pagina del Corriere Aldo Cazzullo invita il governo a fare un passo di “vera discontinuità”, dimostrando al Paese che è possibile “operare per l’interesse comune, anziché per quello delle categorie e delle corporazioni”. Cazzullo sottolinea che il governo Monti ha la più ampia opposizione mai vista: quella palese, anzi sguaiata, della Lega, quella di Italia dei Valori, e quella sotto traccia dei Democratici (che manifestano contro la manovra poi sostenuta in Parlamento) oltre a quella di Berlusconi, che non perde occasione per dichiarare le sue perplessità. Monti ha due strade: adeguare il passo alla debolezza del sostegno parlamentare, ritraendosi quando il malumore “si fa manifesto, come nel caso delle liberalizzazioni mancate”. Oppure procedere con decisione, sulla via delle riforme, compresa quella del mercato del lavoro. Il “disimpegno dei partiti, paradossalmente, può diventare un vantaggio”, anche perché nessun partito si prenderebbe oggi la responsabilità di far cadere il governo Monti”.

Ieri, intanto, come racconta il Corriere della Sera, il Cavaliere è tornato a parlare del governo Monti, che ha definito “disperato”, sottolineando come abbia dovuto “far marcia indietro su tutto”, anche se “lui ha l’appoggio di tutti i giornali”. E poi, citando Mussolini, ricorda: “Governare gli italiani non è impossibile, è inutile”. Sullo stesso quotidiano, in una analisi, si sottolinea come la durezza del Cavaliere nei confronti del governo serva a placare il partito e gli elettori: Berlusconi avrebbe a che fare al momento con “un elettorato che ribolle”, e per l’80 per cento contrario alla manovra che il Pdl oggi voterà. I sondaggi lo darebbero al 23 per cento. Di Monti ieri ha detto: non c’è nessuna certezza che questo governo abbia di fronte a sé tutto il tempo della legislatura”. D’altra parte, è indispensabile per il Cavaliere tentare di tenere stretto l’elettorato, impedendo fughe verso la Lega.
Filippo Ceccarelli, su La Repubblica, definisce i leghisti, ora “di lotta e di caciara”: dietro le urla, anche in Parlamento, dove ieri sono stati espulsi due deputati, la loro opposizione resta “non credibile”.

La Stampa intervista l’economista (“guru di Clinton”) Robert Rubin, vicepresidente del Council on Foreign Relations, che dice: le misure del governo sono “un primo passo nella giusta direzione”, ma ora deve continuare su questa strada, del consolidamento fiscale, e varare riforme cruciali per favorire la crescita. Rubin si chiede se Monti avrà “il sostegno politico necessario” per completare il cammino. Non si può abbattere l’intero debito in una giornata, e per questo la grande incongnita è se la politica italiana “è disposta a dare a Monti la forza necessaria per lavorare in un arco di tempo adeguato a tutti gli interventi progressivi necessari”. L’altro problema è che non basta il consolidamento fiscale se non c’è crescita: occorre alleggerire le regole in modo da favorire l’attività delle imprese e rendere più flessibile il mercato del lavoro. Fino a quando non taglierete questi due nodi cruciali, il Paese non tornerà mai ad avere ritmi soddisfacenti di crescita”. Infine, l’Europa: “Io mi ero convinto che l’emergenza avrebbe unito gli europei e li avrebbe spinti a risolvere finalmente la vostra situazione. Invece i vostri vertici sono sempre più chiacchierre senza sostanza”. Occorre una “maggiore unità fiscale”.

La Stampa parla della nuova tattica leghista: “Urla a Roma, pragmatismo sul territorio”, raccontando di come l’ex ministro Maroni stia tessendo nuove alleanze ed oggi pomeriggio incontrerà gli imprenditori del Veneto, convocati con una assemblea a porte chiuse sotto lo slogan “per una nuova politica industriale: dialogo tra politica e impresa”.

La Repubblica si occupa del rischio astensioni sulla manovra, in casa Pd, e della netta presa di posizione di Bersani: “La battaglia politica la incarno io, e di fronte a questa posizione chi vota no non vota contro il governo ma contro di me”. Il timore è che alcuni deputati, che il quotidiano definisce “filo-Cgil”, si smarchino, tentati dall’astensione o semplicemente assentandosi. Tra i dissidenti possibili Antonio Boccuzzi (l’operaio della ThyssenKrupp sopravvissuto all’incendio) che, però, ieri ha assicurato: “Avevo un gran mal di pancia, ma ho preso un Maalox”, sentendosi rassicurato dall’intenzione ribadita da Bersani di portare cambiamenti alla manovra. Il Pd ha preparato due ordini del giorno sui lavoratori precoci (quelli su cui più incide la penalizzazione se non vanno in pensione con le nuove regole) e sui cosiddetti “esodati”, chi era fuori dall’azienda in attesa di pensione. Rassicurato anche dalle parole di Bersani, secondo cui le riforme del mercato del lavoro non potranno iniziare dalla riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Non è questa la questione – ha detto – la Fornero lo sa bene, bisogna approntare  un sistema di ammortizzatori sociali che tuteli chi perde il lavoro magari a 55 anni, e soprattutto pensare ai giovani.
Per Bersani, la riforma degli ammortizzatori sociali si potrebbe fare utilizzando i risparmi delle pensioni.
Secondo Il Sole 24 Ore, che riferisce la frase di Bersani sui lavoratori precoci (“L’Italia deve qualcosa a chi è entrato in fabbrica a 15 anni”), il segretario Pd penserebbe all’inserimento di una “depenalizzazione” in termini economici già nel decreto Milleproroghe.

Internazionale

Ieri in Iraq, all’aeroporto di Bagdad, si è tenuta la cerimonia dell’ammainabandiera che segna la fine della presenza militare americana in Iraq, dopo otto anni dall’attacco lanciato nel marzo 2003. Il ministro della Difesa Panetta ha reso omaggio a 4487 americani, come racconta il Corriere. E agli oltre 30 mila feriti, e alle 150 mila vittime irachene. Ha parlato davanti a 200 soldati ed alcuni funzionari di Bagdad, e i posti riservati al premier iracheno Al Maliki e al Presidente Talabani sono rimasti vuoti. Il Corriere mette a confronto l’opinione di un liberale, come il giornalista Fareed Zakaria, e quella di un neocon, come l’ex consigliere di Bush Daniel Pipes. Dice Zakaria: “L’America ha vinto questa guerra. L’unico vero dubbio è se ne valesse la pena”. Per Zakaria, il ritiro contribuirà a cambiare l’immagine degli Usa nel mondo arabo, che oggi ci vede come un invasore-aggressore che vuole conquistare le sue terre. Farà capire che non siamo andati in Iraq per il petrolio, e neppure per le basi militari. La nostra politica estera funziona quando è condotta a distanza, tramite la diplomazia e la forza superiore della nostra intelligence e tecnologia aeronautica. “Teme un aumento dell’influenza iraniana?”. Zakaria sottolinea che il premier Al Maliki e il Presidente Talabani hanno stretti rapporti con Teheran, ma “il popolo iracheno”, dice, “non ama l’Iran, con cui ha combattuto una guerra sanguinaria durata otto anni”. E’ un Paese migliore oggi l’Iraq? “E’ stato eliminato uno dei peggiori dittatori del mondo. Un intero Paese è stato liberato dando vita a un processo democratico che ha ispirato le forze dietro la primavera araba”.
Daniel Pipes dice: “La presenza americana in Iraq finisce, ma non certo la guerra”, e che tra “dieci, forse cinque anni ,tutti i nostri sacrifici saranno cancellati, e l’Iraq sarà sotto la morsa di un’altra tirannia”. Secondo Pipes sarebbe stato opportuno aiutare nella ricostruzione, citando esplicitamente il 1945 e l’impegno Usa dopo la guerra in Italia, Germania, Giappone.
E’ convinto che il ritiro non aiuterà il presidente Obama ad essere rieletto, poiché incombono due pericoli: lo scoppio di una guerra civile in Iraq e un incremento dell’influenza iraniana nel Paese”.

L’inviato de La Repubblica in Cina Giampaolo Visetti racconta come l’esercito stia assediando gli operai in rivolta nel villaggio di Wukan, nella contea di Shanwei, cuore del ricchissimo Guandong, imponendo lo stop ai viveri: da cinque giorni i ventimila abitanti del paese sono sotto assedio, da domenica le autorità hanno imposto il blocco dei viveri e nessuno può entrare né uscire dal villaggio. Mille agenti circondano la zona e continui scontri armati con la popolazione minacciano di degenerare in un drammatico conflitto. A far riesplodere la rabbia è stata la morte in carcere del capo degli insorti, Xue Jinbo, il cui cadavere non è stato reso alla famiglia. Per la prima volta dagli anni di Piazza Tien An Men, immagini rubate con il telefonino mostrano una folla inferocita con striscioni che invocano la “fine della dittatura” e la “morte dei funzionari comunisti corrotti”. La popolazione si è ribellata agli ultimi espropri forzati di terra, eseguiti da dirigenti comunisti per favorire grandi immobiliaristi privati. In poche settimane, a prezzi irrisori, oltre metà del territorio comunale è stato trasformato da agricolo in edificabile. La gente non si sarebbe opposta, poiché vive sostanzialmente di pesca, se non fosse che inquinamento e sfruttamento di fiumi e mare non consentono di sopravvivere e i prodotti delle campagne e delle risaie tornano ad essere essenziali.
Anche sul Corriere, il villaggio in rivolta e lo slogan: “Ridateci la terra”.
Dopo le contestazioni seguite alle elezioni parlamentari di due settimane fa, il primo ministro Putin è tornato in tv, per quello che La Repubblica definisce uno “show” in diretta di 4 ore, per riconquistare il Paese. Ha raccontato che durante la protesta lui giocava a hockey ed ha accusato gli Usa di sobillare la piazza. Come ricorda anche il Corriere, è tornato anche sulla morte di Gheddafi: “E’ stato ammazzato senza inchiesta e senza processo. Da chi? Alcuni droni, compresi quelli americani, hanno attaccato il convoglio; poi un commando che non doveva essere lì ha chiamato per radio la cosiddetta opposizione”. Immediata la risposta del portavoce del ministro alla Difesa Usa Panetta: “accusa ridicola. La vicenda è stata molto ben documentata pubblicamente”, “e poi gli Usa non avevano militari sul terreno”.

DA RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini