A Palazzo Zabarella (Pd), il volto dell’Ottocentro in mostra

Pubblicato il 28 Settembre 2010 in , da Vitalba Paesano

Da Canova a Modigliani- Il volto dell’Ottocento
Padova, Palazzo Zabarella, 2 ottobre 2010 – 27 febbraio 2011

È la mostra delle “grandi novità” quella che Fondazione Bano e Fondazione Antonveneta propongono per la stagione autunnale di Palazzo Zabarella.

“Da Canova a Modigliani. Il volto dell’800”, che si potrà ammirare dal 2 ottobre 2010 al 27 febbraio 2010, è, innanzitutto, la prima rassegna a prendere in considerazione il ritratto lungo tutto il corso dell’Ottocento italiano. Sono state proposte diverse mostre sul ritratto per altri secoli, ma per quanto riguarda l’Ottocento l’impresa, sino a questa esposizione, non era mai stata tentata. Ancora: è la prima volta che vengono messi a confronto ritratti dipinti e ritratti in scultura, mettendo in rilievo le affinità e le profonde differenze tra le due tecniche. Ed è ancora la prima volta che viene offerta l’opportunità di ammirare molti dipinti inediti, o mai visti, di pittori importanti, come Appiani, Hayez, Piccio, Signorini, Corcos, Modigliani. Ma anche le tante sorprese che vengono da artisti meno noti e che nel ritratto hanno raggiunto risultati eccezionali.
Tra i dipinti inediti c’è una nuova versione, che sarà messa in confronto con quella nota, di un capolavoro del Piccio Il ritratto del conte Giuseppe Manara con il suo servitore nero, dimostrazione come uno stesso soggetto può essere trattato in maniera completamente diversa. Quest’opera fondamentale, eseguita nel 1842, rappresenta per l’Ottocento italiano quello che la celeberrima Olympia di Manet, del 1863, dove la donna è raffigurata insieme con la serva nera, significherà vent’anni dopo per l’Ottocento francese

Oscar Wilde, nel celebre romanzo Il ritratto di Dorian Gray, affermò che: “.ogni ritratto dipinto con passione è il ritratto dell’artista, non del modello. Il modello non è che il pretesto, l’occasione. Non è lui che viene rivelato dal pittore, ma piuttosto il pittore che sulla tela dipinta rivela se stesso”. “Questo credo sia vero, afferma Fernando Mazzocca, che con Carlo Sisi, Francesco Leone e Maria Vittoria Marini Clarelli cura la grande esposizione padovana. Ed è vero quanto più il pittore è grande e in questa mostra ci sono solo capolavori scelti all’interno della vasta produzione degli artisti considerati”.
“Questo genere artistico, il ritratto, è stato scelto come un punto di osservazione particolare che permette di verificare tutta una serie di cambiamenti avvenuti nel corso del secolo: nel gusto, nei canoni della bellezza, nel modo di rappresentare la figura umana, di dare al ritratto il valore di uno status simbol, di proporre una vasta gamma di soluzioni iconografiche una diversa dall’altra. Ci sono autoritratti e ritratti degli artisti nei loro studi, ritratti di giovani e ritratti di vecchi, ritratti singoli e ritratti in gruppo, ritratti in vesti mitologiche e ritratti in abiti contemporanei, ritratti di personaggi celebri, come Napoleone, Cimarosa, Canova, Manzoni, Verdi, ritratti di famiglie, che rappresentano una caratteristica del secolo, ritratti di persone note e di persone sconosciute, ma rese immortali per il modo con cui sono state rappresentate, ritratti che isolano la figura e ritratti che la rappresentano sullo sfondo di un ambiente, ritratti dove il pittore si concentra sul volto e ritratti dove l’attenzione è invece catturata dagli abiti, ritratti di fumatori e di fumatrici, ritratti con i cani, moltissimi”.

La mostra è un’occasione unica per poter confrontare i movimenti che si sono succeduti nel corso del secolo e hanno inaugurato il Novecento: ai ritratti neoclassici seguono quelli romantici, i ritratti macchiaioli, i ritratti veristi, quelli scapigliati, quelli simbolisti, sino ai ritratti futuristi di Balla, Boccioni, Severini e quelli unici per l’originalità del loro stile, di Boldini e di Modigliani.

Ma l’Ottocento è stato anche il secolo in cui, un nuovo mezzo, la fotografia, irrompe nel ritratto, esercitato anche una influenza decisiva sulla pittura. Addirittura il pittore bolognese Alessandro Guardassoni si è fatto un Autoritratto con accanto la macchina fotografica. Spesso i pittori non facevano più posare il modello come prima, per sedute che potevano essere molto lunghe e estenuanti per la loro frequenza (per realizzare il celebre Ritratto di Manzoni Hayez dovette sottoporlo a ben 15 sedute in 15 giorni diversi). I saggi del catalogo Marsilio sono illustrati da fotografie d’epoca e uno è riservato proprio al ritratto fotografico.
Prima della fotografia i ritratti che per il loro formato potevano essere portati con sé, erano quelli in miniatura, una tecnica preziosa e complicatissima, e la mostra ne offre, in una stanza apposita, una sorta di scrigno, una campionatura davvero straordinaria.Cento ritratti, cento storie, cent’anni di straordinaria arte, da Canova a Modigliani.

La grande mostra che Fondazione Bano e Fondazione Antonveneta proporranno dal 2 ottobre al 27 febbraio a Palazzo Zabarella non è una pur interessante parata di “mezzibusti”, tutt’altro: il tema del ritratto vi è analizzato nel senso più esteso, dall’immagine del volto, alla figura intera, di gruppo, familiare e non, in situazioni ufficiali, mondane o intime. Insomma tutto il caleidoscopio di una società nei vortici di una velocissima, potentissima trasformazione. L’Ottocento visse cambiamenti sociali e politici impensabili che mutarono il mondo e l’uomo. E l’arte li registrò e spesso li anticipò.

Canova e Modigliani sono stati simbolicamente posti da Fernando Mazzocca, Carlo Sisi, Francesco Leone e Maria Vittoria Marini Clarelli, curatori della grande esposizione, a perimetrare l’indagine che essa dipana. L’uno a testimoniare il grande classicismo, il secondo l’irrompere del nuovo.
A dire quanto gli artisti di questo secolo abbiano, forse più che in ogni altro, dovuto misurarsi con l’individuazione di modalità originali nell’arte del ritratto, basti un dato: l’entrata in scena di un mezzo nuovo, concorrenziale e stimolante, la fotografia.

Ciò che la mostra rappresenta è una storia tutta italiana, senza però raccontare una vicenda autarchica, anzi. Gli artisti italiani vivono in un ambiente di scambi internazionali, influenzano e sono influenzati, avvertono e si confrontano con le novità, e anche di questo la mostra da conto.

In età napoleonica, sotto le insegne del “Bello Ideale” prendeva forma l’obiettivo di coniugare la realtà psicologico-intellettuale degli effigiati con la loro rappresentazione ideale. Antonio Canova, Lorenzo Bartolini, Bertel Thorvaldsen, Jean-Auguste-Dominque Ingres, Andrea Appiani, Giuseppe Bossi, Pelagio Palagi, e i numerosi stranieri presenti in Italia si misurarono sul terreno di questa complessa sfida.

Con l’aprirsi della stagione romantica, artisti come Francesco Hayez, Pelagio Palagi o lo stesso Bartolini, ma anche figure più territoriali come Giovanni Tominz a Trieste, Gaetano Forte a Napoli, Pietro Ayres a Torino, Giuseppe Bezzuoli a Firenze, Adeodato Malatesta in Emilia, Placido Fabris a Venezia, Giuseppe De Albertis e Molteni a Milano, interpretano in chiave intimista l’arte del ritratto o, su un altro versante altrettanto emblematico, creano le effigi mondane e sfarzose della nuova classe borghese.

Saranno immagini destinate a connotare l’immaginario collettivo dell’Ottocento e sono ancora in grado di catturare passioni, stati d’animo e moti interiori. Intanto la tipologia ben codificata del ritratto d’artista rivela una grande forza introspettiva e soluzioni di assoluta originalità, se pensiamo agli autoritratti di Tominz, Giacomo Trécourt. In un ambito analogo i dipinti di Jean Alaux, Carlo Canella e Angelo Inganni hanno inserito i ritrattati nello spazio privato dei loro atelier. La stessa forza espressiva, insieme a soluzioni compositive inedite, si rivela nei ritratti di Manzoni di Hayez e Molteni, di Byron a Missolungi di Trècourt o nelle straordinarie immagini dei protagonisti delle scene teatrali, come il tenore Giovanni David di Hayez.

Poi le istanze del naturalismo rinnovano il genere, dando ascolto alla voce del Vero. Se alcuni artisti di grande valore, come Hayez hanno saputo reggere ancora il confronto con la nuova era e un grande outsider come il Piccio è stato interprete in Lombardia di una grande tradizione che scorre ininterrotta da Leonardo ad Appiani, sarà la Firenze dei Macchiaioli ad offrire in chiave verista gli esiti più significativi. Le straordinarie sperimentazioni di Giovanni Fattori o Silvestro Lega tra gli anni ’50 e ’60 si sono ricongiunte alle indagini naturalistiche di Puccinelli, Giovanni Morelli e Bernardo Celentano.

Mentre il prepotente e conflittuale rapporto che si instaura con la fotografia a partire dagli anni sessanta è ben documentato dalla presenza di Vincenzo Gemito, dagli autoritratti di Francesco Paolo Michetti o di Alessandro Guardassoni davanti alla macchina fotografica.

Dopo l’unità d’Italia il ritratto seguirà straordinari percorsi sperimentali, toccando vertici difficilmente eguagliati nel resto d’Europa. Abbandonando il principio di verosimiglianza e cercando soluzioni inedite per rappresentare il mondo interiore dei ritrattati, la grande e lunga stagione del Simbolismo produrrà capolavori assoluti.
Prima la Scapigliatura di Tranquillo Cremona, Daniele Ranzoni, poi il Divisionismo di Giuseppe Pellizza da Volpedo e Giovanni Segantini, quindi il Simbolismo che fa riferimento all’estetismo di Gabriele D’Annunzio ed elabora i nuovi miti della modernità con Giovanni Boldini, Ettore Tito, Mosé Bianchi, Giacomo Grosso, Vittorio Corcos, Cesare Tallone, porteranno a nuovi e altrettanto suggestivi esiti sia sul piano compositivo che delle soluzioni pittoriche.

Si raggiungeranno così quei confini che preludono al Novecento, rappresentato in mostra dai dipinti ancora divisionisti, e pertanto proiettati nell’Ottocento, di Giacomo Balla, di Umberto Boccioni e di Gino Severini.
Iniziava così un’altra storia che avrà come centro quella Parigi che intanto aveva accolto come protagonisti lo stesso Severini e un grande italiano come Modigliani.

Informazioni e prenotazioni: tel. 049.8753100 info@palazzozabarella.it