La Rassegna Stampa:”Le dimissioni di Fini? Una scelta sbagliata”

Pubblicato il 8 Settembre 2010 in , da Vitalba Paesano

Le aperture

Il Corriere della Sera: “Via Fini? Perché Napolitano dirà no. L’orientamento del Quirinale sulle dimissioni chieste da Pdl e Lega. Bossi: è un pantano, voto subito. Il Presidente della Camera: resto al mio posto. E prefigura un partito”. La possibile visita al Quirinale di Bossi e Berlusconi (che poi ieri non c’è stata) e la richiesta di dimissioni di Fini sono al centro dell’editoriale del quotidiano milanese, firmato oggi da Sergio Romano: “Una scelta sbagliata”. A centro pagina – accanto ad una grande foto sul film in corcorso a Venezia sul Risorgimento (“Noi credevamo”) – la notizia della decisione della federazione degli industriali metalmeccanici di disdettare il contratto nazionale di lavoro 2008, l’ultimo firmato dai tre principali sindacati. “Lo strappo degli industriali. Contratto delle tute blu disdetto. Passa la linea Marchionne. Fiom: grave e illegittimo”. Commento di Dario Di Vico: “Il rischio Aventino per la Cgil”.

La Repubblica: “Fini al premier: non mi dimetto. ‘Dal Pdl analfabetismo istituzionale’. Bossi insiste: elezioni subito”. E poi: “Il presidente della Camera: mai stato nella casa di Montecarlo. Aut aut ai ministri di Fli: con noi o fuori dal governo. Tg1, bufera su Minzolini”. “Le regole calpestate” è il titolo dell’editoriale firmato da Stefano Rodotà. Un retroscena si sofferma sulla situazione nella maggioranza e la tendenza verso il voto anticipato: “E il Cavaliere disse: lo vuole Umberto”.  Di spalla l’appello dei premi Nobel per Sakineh: “Salvate Sakineh. Fermiamo l’orrore sul corpo di quella donna. La lapidazione è medievale, una punizione che non esiste nel Corano”, dicono Shirin Ebadi, Luc Montagnier, Rita Levi Montalcini, Harald Sur-Hausen, Claude Cohen-Tannoudji, Gerhard Ertl. A centro pagina: “Contratti, lo strappo di Federmeccanica. Disdetta dell’accordo del 2008, vale solo quello firmato senza Fiom. La replica: atto irresponsabile”. Commento di Luciano Gallino: “Il pugno di ferro”.

Il Fatto quotidiano: “B. minaccia Napolitano. Al Tg1 il vero portavoce del caimano chiede il voto anticipato e dice no ai ‘governicchi’. Poi attacca Fini”.

La Stampa: “Fini: ‘Non mi dimetterò’. Intervistato da Mentana su L7: ‘Andare da Napolitano a chiedere la mia testa è da analfabeti costituzionali’. ‘Resterò presidente per tutta la legislatura. Una follia il voto anticipato’. Berlusconi si prepara alle elezioni e progetta una manifestazione a Milano”. Il commento è firmato dal costituzionalista Michele Ainis: “Inamovibile per liberarlo dai ricatti”. A centro pagina: “Disdetto il contratto dei metalmeccanici. Fiom: irresponsabili. Fim, Cisl e Uilm: un tavolo per l’auto. Federmeccanica: più competitività”.

 Il Giornale: “Gli imbarazzi di Fini in tv. Il presidente inciampa davanti a Mentana. Intervistato al Tg1 di La7, l’ex leader di An va in bambola sulla casa di Montecarlo. Arrossisce, si nasconde, insulta, non spiega. E dire che lo hanno graziato, non chiedendogli del contratto Rai alla suocera”. E poi: “Il premier e Bossi pronti allo scontro finale. Berlusconi scenderà in piazza”. A centro pagina: “Confindustria segue il modello Fiat. Disdetto il contratto con le tute blu: nuove regole sulla base dell’accordo di Pomigliano”.

 Libero: “Inchiodato alla sedi. Il presidente della Camera non ritiene un peccato aver mischiato affari di cuore e affari pubblici e fa capire che non scollerà. Un modo per metterlo alle strette ci sarebbe: una pioggia di interrogazioni parlamentari che chiedano spiegazioni sulla casa di Montecarlo e gli appalti Rai”. A centro pagina: “Fini da Mentana balbetta sul cognato: datemi tempo. La difesa del numero uno di Montecitorio: fra qualche mese riderò. L’ex An in imbarazzo sui Tulliani. Ma il mezzobusto non affonda. E’ nato il terzo polo (della tv)”.

 Il Riformista: “Silvio tira il freno. Berlusconi e Bossi rinunciano (per ora) a salire al Colle. Showdown a marzo. ‘In queste condizioni non si riesce a governare’ ma niente forzature istituzionali. Fini dice che resterà ‘per tutta la legislatura’, ma tra i suoi c’è chi pensa a un appoggio esterno”. Di spalla il quotidiano di Polito – come fanno anche altri- offre notizie sull’omicidio del sindaco di Pollica: “Sulla morte di Vassallo indagherà la Dia”. A centro pagina: “L’ultimo contratto della Fiom. Federmeccanica disdetta in anticipo l’accordo valido fino al dicembre 2011”. Commento di Michele Magno: “Dal patto sociale allo scontro in fabbrica”.

 L’Unità: “Il pugno del padrone. Federmeccanica disdetta il contratto firmato due anni fa. Vuole mani libere con gli operai. La Fiom dà battaglia: ‘Una decisione irresponsabile’. Intervista a Landini: è solo l’inizio, presto toccherà ad altri lavoratori’. Il ministro Sacconi plaude alle ‘nuove relazioni industriali’. Il pd: grave la scelta di dividere”.

 Il Foglio: “Il gen Petraeus contro il pastore Jones che vuole bruciare il Corano”. Il titolo si riferisce a un pastore evangelico della Florida che ha deciso che l’11 settembre lui e i suoi fedeli bruceranno copie del testo sacro dell’islam, considerato “il diavolo”. “Il fuoco sacrilego”, scrive il quotidiano di Ferrara. Di spalla: “Ecco perché Di Pietro spara più contro Fini che contro il ‘caimano’. L’Idv cala di due punti nei sondaggi per effetto di finiani e grillini, ora anche il Fatto tifa per l’ex leader di an. Timore per l’asse Pd-Udc-Fli”.

 Il Sole 24 Ore: “Vigilanza made in Europe”. Il titolo è dedicato alla decisione dell’Ecofin che prevede dal 2011 la riforma della vigilanza sui mercati finanziari. “Da gennaio scatta la supervisione della finanza. Stess test: novi dubbi sulle banche Ue. Tremonti: nessuna emergenza per i conti pubblici italiani”. A centro pagina il titolo sulla decisione di Federmeccanica: “Federmeccanica recede dal contratto del 2008. Al via il confronto, senza la Fiom, sulle regole per l’auto”.

 Federmeccanica

  Su Il Corriere della Sera è Dario Di Vico a firmare un commento sulla decisione di Federmeccanica di non applicare il contratto firmato nel 2008, che scade il 31 dicembre 2011. Dal 1 gennaio 2012 dunque la Fiom “resterà senza contratto”, scrive il quotidiano milanese, “e senza diritti sindacali, sostanzialmente fuori dalle fabbriche”. Nulla cambierà per gli altri sindacati, che nell’ottobre 2009 hanno firmato un altro contratto separato per la categoria dei metalmeccanici. Di Vico ricorda che “è difficile spiegare a uno straniero che la Cgil accetta formule innovative e flessibili quando si tratta di lavoratori alimentarisi e invece le aborre quando devono essere applicate tra i metalmeccanici”, e si rivolge alla prossima segretaria Susanna Camusso, che “conosce bene i problemi dell’industria italiana e viene dal Nord. Speriamo che non ami l’Aventino e prediliga invece la discontinuità”:

Su Il Giornale Nicola Porro offre questa “traduzione” della notizia: “Confindustria insegue la Fiat”. Si ricorda infatti che il rischio che correva l’organizzazione degli industriali era l’uscita della Fiat: “In un colpo solo si sarebbe distrutta la credibilità dell’associazione, ma sopratuttto si sarebbe messo in evidenza come le relazioni industriali in Italia si dividono in due campi: quelle dei servizi e delle imprese non concorrenziali, che trovano una grande e calorosa accoglienza nel palazzone romano oggi guidato da Emma Margecaglia, e le imprese che cercano di resistere ai morsi della concorrenza, che più che ai convegni pensano ai loro conti economici”.

Il Sole 24 Ore intervista il presidente dell’Unione Industriale di Torino Gianfranco Carbonato, che spiega la decisione (arrivata all’unanimità) della Federmeccanica. “Se tutti sono d’accordo significa che questo passaggio è ritenuto indispensabile da tutti”. La Fiom rappresenta il “partito del no preventivo”, ma “va sottolineato il grande e coraggioso passo avanti fatto dalle altre organizzazioni sindacali”. Carbonato spiega che “nessuno ha ipotizzato sacrifici economici” per i lavoratori, e spiega che l’intento degli industriali non è quello di mettere in duiscussione i diritti dei lavoratori “ma neppure quelli degli imprenditori. E che investe, non solo la Fiat ma possibilmente anche imprenditori stranieri, deve avere la certezza del funzionamento regolare degli impianti, degli stabilimenti. Quattro persone in disaccordo non possono impedire il lavoro di 1800 addetti. E se l’assenteismo è inevitabile, sono intollerabili certi picchi di assenteismo per una partita, per le elezioni, per i motivi più disparati. In questo modo non si recupera competitività, non si attirano investimenti, non si tutela l’occupazione”. 

Maurizio Landini, segretario della Fiom Cgil, intervistato da L’Unità, spiega che quella di Federmeccanica è “una dichiarazione di guerra a tutti i lavoratori metalmeccanici, perché si vuol far saltare il loro contratto nazionale lasciandoli privi di qualsiasi strumento di contrattazione”. Dal punto di vista pratico cosa succederà? “Per quanto ci riguarda resta in vigore il contratto del 2008, firmato da tutte le organizzazioni sindacali e approvato dai lavoratori metalmeccanici con un referendum”.

 Landini viene intervistato anche da La Repubblica, che gli ricorda che Fim, Uilm e Fismic (firmatarie dell’accordo separato del 2009) hanno la maggioranza degli incritti e dunque possono trattare a nome di tutti, Landini risponde. “Il fatto è che i contratti non valgono solo per gli iscritti ma per tutti i lavoratori. Se sono così sicuri di avere la maggioranza perché l’anno scorso non hanno voluto sottoporre il loro accordo separato al referendum?”.

Michele Magno, sul Riformista, critica l’idea della partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese, strumento che penalizzerebbe i lavoratori in base all’andamento congiunturale della domanda, e che affiderebbe i compensi non tanto al merito quanto alla sorte.

Unicredit

Il Corriere della Sera ricorda che oggi pomeriggio si riunisce il Comitato di governance di Unicredit, per parlare del blitz nel capitale degli investitori libici, dopo l’aumento della partecipazione di Tripoli al 7 per cento (lo statuto stabilisce un limite del 5 per cento al diritto di voto). Al presidente Dieter Rampl non sarebbe stato comunicato il rafforzamento dei libici, del quale sarebbe stato invece informato l’Ad Profumo. Quest’ultimo aveva detto nei giorni scorsi che non era stato lui a sollecitare il rafforzamento dei libici. Il Riformista dedica una analisi ad Alessandro Profumo, che compare sotto il titolo: “Nemesi di un banchiere cui l’Italia andava stretta. L’ad di Unicredit ha proiettato la sua banca all’estero per tenersi fuori dalle tipiche beghe del nostro sistema creditizio. Oggi è stretto tra gli appetiti della Lega e le manovre dell’asse Cav-Geronzi”. L’autodifesa di Profumo dei giorni scorsi (“I libici hanno deciso in autonomia di aumentare le loro quote, non sono stato io a sollecitarle”) è per Il Sole 24 Ore una autodifesa pubblica che sembra aver contribuito a smorzare i toni della polemica degli altri azionisti, che temono la creazione di un asse tra Profumo e gli investitori arabi (oltre ai libici c’è il fondo Aabar Investment, di Abu Dhabi) “potenzialmente in grando di annacquare il peso strategico delle quote delle maggiori Fondazioni, che insieme hanno il 12-13 per cento. Anche Il Riformista sottolinea che per Profumo è in atto una “nemesi politica”: lui che, pur andando a votare le primarie che elessero Romano Prodi, ha sempre rifiutato la commistione tra politica e banche, si trova a combattere una battaglia per evitare la colonizzazione leghista (ma non l’influenza del Pdl). In compagni di lotta contro l’avanzata degli uomini del sindaco veronese Tosi sono perlmeno variegati: si va da Cesare Geronzi, da sempre vicino o non ostile al Cavaliere, ai miglioristi Pd, ai fautori del ritorno dell’Ulivo, con in testa Giovanni Bazoli. Il minimo comune denominatore di queste forze è l’antagonismo alle forze leghiste.

Polemico Il Fatto: “Unicredit, tutto in famiglia”, “non solo Gheddafi”, “i conflitti di interesse dietro alla battaglia sulle strategie”: per il quotidiano Profumo ha deciso di soccorrere con decine di milioni l’azienda in difficoltà di Paolo Biasi, presidente e primo azionista di CariVerona. La Lega vuole la Fondazione (che ha il 5 per cento di Unicredit) contro Gheddafi, ma il presidente ha troppi debiti per strillare.

Europa-Usa

 Ieri la riunione dell’Ecofin, dei ministri finanziari dell’Ue, ha dato il via a quella che Il Sole 24 Ore definisce “la nuova architettura europea per la vigilanza e supervisione dei mercati finanziari”. Il prossimo 20 settembre l’Europarlamento apporrà il proprio sigillo finale perché la riforma divenga effettiva all’inizio del prossimo anno. Nessuna intesa sulla tassazione per banche e rendite finanziarie, ma il Commissario agli affari economici Olli Rehn considera un grande passo avanti l’approdo al “monitoraggio ex ante, con il coordinamento europeo, delle politiche di bilancio” che “ci aiuterà a correggere e prevenire gli squilibri sia nella stesura delle manovre di bilancio dei singoli Stati, sia nel programma delle riforme nazionali”. Il punto essenziale delle decisioni prese ieri sta nell’effettivo potere che verrà trasferito ai nuovi regulators comunitari che, dal prossimo anno, prenderanno il posto dei precedenti comitati settoriali, ovvero EBA (banche) e EIOPA (assicurazioni) ed ESMA (mercati industria mobiliare) ai quali si aggiungerà l’European Systemic Risk Board (ESRB) con il compito di monitorare i rischi sistemici nel continente. Il Sole si sofferma sui difetti sottolineati dai detrattori del nuovo sistema: l’attività di vigilanza continuerà ad essere esercitata a livello nazionale, mentre le nuove Authority avranno solo limitati poteri di intervento. Il quotidiano sottolinea anche l’impossibilità per questi nuovi poteri regolatori di redigere standard tecnici vincolanti per tutta l’Ue: “Il fatto è che i trattati europei non contemplano l’ipotesi di autorità indipendenti fornite di autonomi poteri come è, per fare un esempio, per la Sec Usa”.

Per La Repubblica l’Ue non è riuscita a trovare una intesa sulle questioni più cruciali come la tassazione delle transazioni finanziarie proposta dalla Commissione e appoggiata da Francia e Germania. Né vi è stato accordo sulla tassazione delle banche. In sospeso rimane anche la proposta della Commissione di lanciare sul mercato Eurobond per finanziare le opere pubbliche. Quel che invece è stato deciso è il varo del semestre europeo, che il quotidiano spiega così: “A partire dall’anno prossimo ogni governo dovrà concordare in primavera i propri progetti di bilancio e di riforme economiche prima di sottoporli alla ratifica dei parlamenti nazionali”. Una intera pagina di analisi è dedicata alla decisione della “grande finanza” di affondare ancora la Tobin tax, definita “l’imposta che aiuta i poveri e il clima”: raccoglierebbe oltre 1000 miliardi di dollari all’anno, frenerebbe la speculazione e renderebbe più trasparenti i mercati finanziari, ma dovrebbe essere realizzata contemporaneamente in tutto il mondo. La ministra francese dell’economia Lagarde ne è una grande sostenitrice, ma dice “politicamente è desiderabile, finanziariamente imprevedibile”. Se ne riparlerà al G20 di novembre.

Sul Sole 24 Ore si preannuncia che oggi il Presidente Obama annuncerà altri 200 miliardi di stimoli per l’economia, questa volta sotto forma di agevolazioni fiscali: sarà possibile dedurre come spesa corrente il 100 per cento degli investimenti aziendali. Misura molto importante per il business, caldeggiata dai Repubblicani ma ostacolata da sempre dall’Amministrazione. Forse si è ad una svolta politica? La certezza o quasi certezza è che i progetti non avranno alcuna possibilità di essere ratificati o discussi in Parlamento prima delle elezioni del primo novembre.

Israele

Lo scrittore ebreo David Grossman, intervistato da La Repubblica, smentisce di avere intenzione di lasciare il proprio Paese. “E’ preoccupato per il futuro di Israele?”. “Sono sempre preoccupato per il futuro del mio Paese. Israele viene sempre più isolato e io credo che invece il futuro sia di essere integrato e di essere il Paese che deve essere, cioé uno Stato che esplora, che espande le sue capacità, e che realizza il suo grande potenziale. Tutto questo dipende dalla capacità di vivere in pace con i Paesi vicini, ma certo non sappiamo se la pace sia garanzia che ciò accada veramente. Viviamo in una regione molto imprevedibile e tanti elementi estremi stanno provando a fare di tutto per assassinare questa pace”.

Avraham Yehoshua, su La Stampa, parla della rivolta degli attori di Ariel, città eretta dagli israeliani nel cuore dei Territori palestinesi, dove è stato costruito un nuovo centro culturale. I suoi dirigenti hanno invitato i maggiori teatri di Israele ad allestirvi rappresentazioni di successo, ma un piccolo gruppo di attori fra i più in vista del Paese ha dichiarato di non voler varcare la linea Verde che separa Israele dai Territori destinati al futuro Stato palestinese per recitare in un insediamento illegittimo ai loro occhi. Yehoshua ricorda che essendo i teatri parzialmente sovvenzionati dallo Stato, il premier Netanyahu e il ministro della Cultura considerano gli attori dei dipendenti pubblici, il cui rifiuto di recitare è visto come una violazione del contratto di lavoro che potrebbe comportare tagli alle sovvenzioni: una reazione “estremista” per lo scrittore, che ricorda: “Io, che da più di 40 anni sono coinvolto nella lotta contro gli insediamenti illegali”, “ho notato che negli ultimi tempi si è instaurato in molti miei connazionali un nuovo e insolito legame tra la tendenza al pacifismo intellettuale e quella all’estremismo emotivo”. Per Yehoshua “quanto più i palestinesi danno prova di controllare il territorio, di migliorare la propria economia e di tenere a freno gli attentati terroristici, tanto più si accresce il rancore di molti israeliani nei loro confronti”.

 E poi

Su La Stampa due pagine sono dedicate all’Islam in Italia: “Musulmani d’Italia. Un milione in cerca di moschee”. E poi tre casi controversi: Torino (avranno un edificio ma senza minareto), Milano (la loro preghiera divide la città), Genova (sfrattati da 18 anni, chiedono la sede).

  Il Foglio torna ad occuparsi della proposta dell’arcivescovo di Milano Tettamanzi di costruire una moschea a Milano, raccogliendo pareri di chi vive e opera nella città. L’unica novità quest’anno – sottolinea il quotidiano – è la proposta del vicesindaco De Corato di un referendum. Il Foglio comincia con il chiarire che a Milano di moschea ce n’è solo una, in via Meda, in cui si radunano gli islamici moderati della Coreis. Un’altra è nel comune di Segrate. Per il resto, “i nomi noti di viale Jenner, via Quaranta o via Padova, corrispondono ufficialmente a centri islamici nei cui locali – capannoni o scantinati malandati o insufficienti, in precarie condizioni igieniche – si ritrova per la preghiera del venerdì’ parte della popolazione musulmana cittadina (centomila persone). Una parte sola: il 3 per cento secondo De Corato, il 10 o 20 secondo altre fonti, perché non tutti gli islamici, a partire dalle donne, li frequentano”. Il problema dell’insufficienza dei luoghi di culto è però concreta e si manifesta ogni venerdì, tant’è che anche quest’anno la grande preghiera di fine ramadan si svolgerà nel tendone del teatro Ciak. Interpellato, Paolo Branca, docente di arabo alla Cattolica, boccia l’idea del referendum, poiché si tratta di un diritto costituzionale. Il Foglio non manca però di sottolineare che il motivo vero per cui né il comune né il ministro dell’interno intervengono è che i gruppi dirigenti delle comunità islamiche a Milano non rappresentano un interlocutore affidabile in materia di legalità, sicurezza, messaggi veicolati ed eventuali infiltrazioni fondamentaliste. Insomma, per il quotidiano, la question non è solo se esiste il diritto di culto, ma di avere una controparte “con cui stabilire le regole”: “Anche questo dovrebbe essere ricordato dalla Chiesa, quando muove le sue critiche”. A riconoscerlo è per esempio persino Martino Pillitteri, coordinatore di Yalla Italia, la rivista dei giovani islamici di seconda generazione, che al Foglio dice: “In via Quaranta non vanno i giovani perché hanno tagliato con l’islam tradizionale ed etnico che vedono e sentono lì. E non ci va nemmeno quella fascia di musulmani moderati, integrati, che non ama mescolarsi in ambienti, pure brutti e mal tenuti”. Per questo sarebbe bello avere una moschea, che “potrebbe contribuire a rompere quel mondo chiuso”. Con una serie di prerequisiti, però, per Pillitteri, tra cui che “le prediche del venerdì siano riprese, trasmesse e sottotitolate in Internet”. 

      Il Foglio scrive anche che la Casa Bianca sta chiedendo poteri straordinari per fare ciò che vuole della rete, e così i Liberal muovono guerra al nuovo Patriot Act: se il Congresso darà il via libera al pacchetto di norme voluto da Obama, l’FBI potrà avere il pieno controllo su Internet, potrà accedere ai tabulati di traffico internet di chiunque, senza richiedere un mandato. E’ l’Electronic communication transactional records.

      Ieri l’Ocse ha diffuso i dati sulla spesa per istruzione nei Paesi membri, e l’Italia è al penultimo posto prima della Slovacchia. Attenzione anche alla spesa corrente, che in Italia è assorbita soprattutto dai salari agli insegnanti per l’80 per cento, contro il 70 per cento medio dei Paesi Ocse. Ne scrive La Stampa.

      Beppe Grillo viene intervistato da Il Fatto quotidiano, e critica tutti: “Parlano soltanto di strategie, alleanze, percentuali… vivono in un mondo virtuale. Se ti cacci in queste cose non ne esci più, come in una mosca in una ragnatela”. Il titolo è: “Terremoteremo il Parlamento”.