La decrescita serena, un’idea che ci piace

Pubblicato il 29 Giugno 2008 in , , da Vitalba Paesano

E’ uscito di recente, pubblicato da Bollati Boringhieri, un volumetto di circa 135 pagine (e soli 9 euro), dal titolo invitante e curioso: “Breve trattato sulla decrescita serena“. Ne è autore Serge Latouche, professore di scienze economiche all’Università di Paris-Sud, Specialista dei rapporti economici e culturali Nord-Sud e dell’epistemologia delle scienze sociali. Suo anche “Come sopravvivere allo sviluppo”, del 2005.

Cosa dice Serge Latouche? “Se ormai è riconosciuto che il perseguimento indefinito della crescita è incompatibile con un pianeta finito, le conseguenze (e cioè produrre meno e consumare meno) sono invece ben lontane dall’essere accettate. ma se non vi sarà un’inversione di rotta, ci attende una catastrofe ecologica e umana. Siamo ancora in tempo per immaginare, serenamente, un sistema basato su un’altra logica, quella di una società in decrescita. La decrescita non è una crescita negativa; sarebbe meglio parlare di acrescita come si parla di ateismo. D’altra parte, si tratta proprio dell’abbandono di una fede o di una religione (quella dell’economia, del progresso e dello sviluppo)”.

Una filosofia che dovrebbe piacere ai grey-panthers, disposti a rallentare per capire meglio, per godere con maggiore consapevolezza, disponibili a contenere sprechi ed eccessi, per valorizzare di più il bastevole e il gratificante. Ma cosa pensate di questo argomento, che qui proponiamo cone lettura e come pensiero?

Vi riporiamo alcuni passi del libro, per stimolare la riflessione. E per consentire, a chi vorrà seguirci nel forum, di meglio articolare l’argomento…

….” innanzitutto si tratta di disintossicarsi dalla ‘dipendenza da lavoro’, che è un elemento importante del dramma produttivista. Non sarà possibile costruire una società serena della decrescita senza ritrovare le dimensioni della vita che sono state rimosse: il tempo per fare il proprio dovere di cittadino, il piacere della produzione libera, artistica e artigianale, la sensazione del tempo ritrovato per il gioco, la contemplazione, la meditazione, la conversazione o semplicemente la gioia di vivere…”

“…Il viaggio caricaturale dei gamberetti danesi sfortunatamente non è un’eccezione; vanno a farsi pulire in Marocco e poi ritornano in Danimarca per ripartire verso i luoghi di commercializzazzione. Ancora più aberrante è il caso delle aragoste scozzesi: espatriano in Thailandia per farsi pulire a mano in un impianto specializzato, e poi riguadagnano la Scozia per farsi cuocere prima di essere vendute nei supermercati… Invertire questa tendenza permetterebbe di ridurre gli sprechi e di rendere il nostro approvvigionamento, soprattutto alimentare, meno vulnerabile ai prezzi crescenti dell’energia e, in futuro, alla penuria di idrocarburi. Come scrive Cochet, un’alimentazione più economa di energia seguirebbe tre orientamenti contrari a quelli attuali:sarebbe più locale, più stagionale e più vegetariana…”

“… Senza recuperare ‘l’incanto della vita’, la decrescita sarebbe votata al fallimento. E’ necessario ridare un senso al tempo liberato. Finchè il lavoro salariato non sarà stato trasformato, le classi lavoratrici non avranno ‘l’attitudine al tempo libero’ e cioè ‘ i mezzi soggettivi e oggettivi per occupare il tempo liberato con attività autonome’. il tempo libero oggi si professionalizza e si industrializza sempre più. Fondamentalmente è in gioco la riconquista del tempo personale. un tempo qualitativo, un tempo che coltiva la lentezza e la contemplazione, in quanto liberato dal pensiero del prodotto…”