Fotografia n. 6- Composizione fotografica: prospettiva, punto di fuga e regola dei terzi

Pubblicato il 24 Ottobre 2016 in , da Cesare Guerreri

Lo scatto di una fotografia appare spesso complesso: non è così. In prima battuta basta tenere presente che un soggetto, per essere notato, non deve essere collocato al centro del fotogramma

 

Abbiamo approfondito fino ad ora gli aspetti ottici e fotografici della fotografia, nello spazio che una serie di articoli consente. In questo articolo affronteremo un altro aspetto, tutt’altro che secondario: la composizione fotografica. Anche su questo argomento, naturalmente, molto si è scritto e quindi non resta che affrontarlo in forma di suggerimenti e di esempi concreti. Quale che sia la attrezzature fotografica a disposizione, il fotografo dovrà decidere cosa – il soggetto – fotografare e impostare come la fotografia dovrà essere vista – la composizione.

La fotografia potrà essere vista, semplificando, in più modi:

1) la rappresentazione oggettiva di una realtà: un orologio astronomico

2) l’espressione delle sensazioni del fotografo: la tristezza

3) un veicolo per suscitare sensazioni in chi osserverà l’immagine: … la sua sensazione

Va da sé che nessuno di questi modi di vedere una immagine fotografica sia “migliore” di un altro, come pure si possono sovrapporre: l’orologio astronomico è anche un’opera d’arte, l’uomo è anche un artigiano sul posto di lavoro. Quello che va tenuto presente è che quando si scatta una fotografia è opportuno scegliere prima un dato punto di vista.

La prospettiva e il “punto di fuga”

Il primo aspetto sul quale porre attenzione è senza dubbi la prospettiva: argomento che interessa il disegno tecnico – si pensi alla rappresentazione tecnica di oggetti -, la pittura – si pensi alle prospettive del Mantegna o del Canaletto e la scultura – si pensi al Romano o al Bramante.

La prospettiva è una sorta di “grammatica” delle immagini della realtà che ci circonda, ed è soggetta ad alcune regole che ormai si possono ritenere consolidate. Eccole:

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Un pittore e un architetto possono intervenire per alterare l’effetto di una di queste “regole” poiché creano la realtà, cioè l’opera d’arte e la componente di architettura; il fotografo rappresenta la realtà – con le varie finalità indicate sopra – e le sue possibilità di alterarla si riducono all’uso basculaggio e il decentramento, tramite appositi obiettivi decisamente costosi, ampiamente sopra i 1.000 Euro.

In questo articolo ci occuperemo degli effetti che si possono ottenere nello scatto senza alterare la fotografia con basculaggio, decentramento o software di post produzione.

Il nostro pittore può, ad esempio, modificare le proporzioni del soggetto che dipinge in modo tale che l’osservatore lo percepisca secondo determinati canoni.

immagine-9-camera-sposiRitorniamo a Mantova, nel Castello di San Giorgio

Nella Camera degli Sposi il Mantegna voleva dipingere una immagine celestiale su una volta non piana; i corpi umani – gli angeli -, visti dal basso cioè dalla posizione dell’osservatore, dovevano risultare ben proporzionati.

Poiché era lui a creare la realtà – come venivano dipinti i soggetti – la ha alterata in modo tale che chi la osservasse dal basso avesse la percezione di vedere i corpi umani dalle proporzioni ideali e non deformati dalla forma della volta.

E’ un esempio di “pittura illusionistica”.

Nella Camera degli Sposi poi non è presente alcun punto di fuga: il genio del Mantegna è stato quello di dare l’illusione che fossero gli angeli a sporgersi verso il basso, dal paradiso alla terra.

 

Veniamo alla quarta regola della prospettiva, la più usata: un esempio è la Loggia d’Onore di Palazzo Te a Mantova.

Dalla seconda fotografia si nota che i bordi del viale convergono in un punto, il “punto di fuga”, che il Romano ha fatto coincidere con due archi, l’ultimo dei quali è l’arco centrale del Emiciclo dell’Esedra che si apre alla città.

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Un esempio eclatante è l’altare e il coro della Chiesa di Santa Maria presso San Satiro a Milano (“San Satiro”).

Gian Galeazzo Sforza voleva che San Satiro fosse un edificio monumentale nel pieno centro di Milano. I lavori iniziarono nel 1474 e sei anni dopo furono affidati al Bramante. Il quale dovette subito affrontare uno scoglio: lo spazio era molto ridotto, troppo perché San Satiro fosse davvero monumentale.

Nei disegni originali di San Satiro l’abside aveva una profondità di poco meno di dieci metri, ma al Bramante furono lasciati 97 centimetri: un decimo. Chi dice che fosse stato perché mancavano i permessi necessari, chi perché il terreno fosse di proprietà di altri proprietari che non avevano alcuna intenzione di dare qualche disponibilità. Sta di fatto che da quasi dieci metri si passò a 97 centimetri. Il risultato fu egregio: per chi entra in San Satiro la sensazione è subito quella di una profondità notevole, sia della chiesa che dell’abside, accentuata dalla larghezza ridotta.

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Come si può notare dalle linee verdi nella seconda fotografia le linee dell’abside convergono su un punto, il tabernacolo: scelta non casuale.

Il Bramante era aiutato dalla posizione “versus deum” del celebrante, con le spalle ai fedeli e l’altare di fronte a sé: questo faceva risparmiare spazio tra l’altare e il fondo, molto prezioso per i 97 centimetri che aveva a disposizione.

Il Bramante ha piegato a sé la quarta regola della prospettiva creando un punto di fuga immaginario sul tabernacolo.

Quando ci si avvicina all’abside dal fianco – la terza fotografia – si nota che l’altare in realtà occupa quasi tutta la profondità.Per quanto sia fedele l’ultima immagine non rende l’impressione che si prova osservandolo dal vivo. In fase di ripresa un effetto simile non sarebbe riproducibileimmagine-14-san-satiro-3

La “regola dei terzi”

Bene.

Vediamo alcuni – più modesti – esempi di utilizzo del punto di fuga in fotografia, combinato ad una altra tecnica: la cosiddetta “regola dei terzi”.

Innanzitutto dobbiamo sempre tenere presente che una immagine non è la realtà che ci circonda: ha due dimensioni non tre. Siamo immersi nella realtà ma osserviamo una fotografia.

La presenza di un punto di fuga su una superficie piana – una fotografia – può “invitare” lo sguardo verso un punto, ma non è di per sé il modo per rendere quel punto dell’immagine “cruciale”.

Alcuni studi hanno verificato che, quando l’occhio umano osserva una immagine, vaga in modo disordinato: è attratto dai colori, dalla luminosità di alcune zone ed anche dal significato convenzionale di parti di una immagine. Ad esempio se viene ripresa la figura di una persona, soprattutto se una persona cara, questa diverrebbe il soggetto principale, anche in presenza un punto di fuga ben congegnato.

Nelle fotografie che seguono è ripresa una fabbrica dismessa: volutamente in bianco e nero e senza persone, per non introdurre variabili di disturbo.

E’ facile notare che è una immagine reticolare: il soggetto sono le linee.

Il soffitto e la parte di destra potrebbero attrarre maggiore attenzione di altri punti: sono più luminosi, più contrastati e più “organizzati” del suolo, della parete di sinistra o del fondo.

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L’occhio dell’osservatore è forse già andato sulla terza immagine, nell’idea di poter trarre qualche significato ulteriore da tutte le linee che si incrociano.

Questo è un errore cognitivo che ci fa ritenere che a maggior informazioni disponibili – le linee aggiunte – si possano trarre conclusioni più attendibili: è la euristica della disponibilità per costruzione. Senza spiegazioni aggiuntive è un errore. Vediamole.

Stiamo sulla seconda immagine: tutte le linee convergono su un punto indicato dall’incontro delle linee verdi. Fino a qui niente di nuovo: è il punto di fuga. Il fotografo, per dare maggiore enfasi a questo punto di fuga – un fenomeno “naturale”, la convergenza – ha utilizzato anche una tecnica di composizione ben nota, la c.d. “regola dei terzi”.

La “regola dei terzi” è in realtà la semplificazione della “sezione aurea”.

Supponiamo di dividere un segmento, ad esempio l’altezza di una persona, in due parti non uguali tra loro. Supponiamo anche che queste due parti abbiano una caratteristica particolare: che il rapporto tra la lunghezza totale e la parte più lunga sia uguale al rapporto che esiste tra la parte più lunga e quella più corta. Quel rapporto, quel numero – il numero di Fibonacci, 1,618034 -, è la “sezione aurea” (“Divina Proportione”), largamente usata in pittura e scultura poiché stabilisce proporzioni che troviamo particolarmente gradevoli.

La Nascita di Venere, Botticelli

Nella Nascita di Venere del Bottimmagine-18-venere-1immagine-19-venere-2icelli, la proporzione tra l’altezza (la lunghezza totale) e la parte che va dai piedi all’ombelico (la parte più lunga) è pari al rapporto tra la parte che va dai piedi all’ombelico (la parte più lunga) e la parte che va dall’ombelico ai capelli (la parte più breve): il numero di Fibonacci.

Applicato alla costruzione di una immagine fotografica significa suddividerla in modo tale che, per le colonne, il rapporto AB/AC sia uguale al rapporto AC/AD e, per le righe, ab/ac = ac/ad.

Sempre il numero di Fibonacci. Il risultato è che la colonna e la riga centrale abbiano una larghezza inferiore rispetto alle loro corrispondenti.

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Ma fotografare richiede normalmente tempi più brevi che dipingere: la “sezione aurea” è stata quindi approssimata nella “regola dei terzi”. Tutte le righe hanno pari dimensioni tra loro e tutte le colonne hanno pari dimensioni tra loro.Con la suddivisione orizzontale e verticale dell’immagine in tre secondo la “regola dei terzi” – tramite le linee rosse nella terza immagine della fabbrica dismessa – si ottengono quattro punti centrali – dati dalla la loro intersezione.Le linee di divisione sono dette “linee di forza”: quelle orizzontali vengono utilizzate per posizionare l’orizzonte e i piani di prospettiva.

Con una certa attenzione: posizionare un orizzonte sulla linea orizzontale superiore darà maggiore risalto a ciò che sotto, cioè ciò che occuperà la maggior parte della immagine, che di norma è più vicino; posizionarlo sulla linea orizzontale inferiore l’immagine si “concentrerebbe” ad esempio sul cielo, che dovrà essere in sé stesso interessante.

Ciascuno dei quattro punti di intersezione è un “punto forte”, cioè un punto dove maggiormente viene attratta l’attenzione dell’osservatore.Molte reflex digitali oggi individuano “linee di forza” e “punti forti” direttamente sul monitor posteriore.Posizionare il “punto di fuga” su un “punto forte” attrae ancor più l’attenzione: è la terza fotografia della fabbrica dismessa.

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Osserviamo la fotografia dei due piloni sul lago: a differenza della fabbrica dismessa il soggetto è semplice, non esiste un punto di fuga visibile ed è quasi in bianco e nero.

Uno dei due piloni è di dimensioni ridotte: la prima regola della prospettiva ci dice che è quello che apparirà più lontano dal fotografo. Sembra che sia proprio così.

Anche in questo caso il fotografo ha lavorato utilizzando al meglio la “regola dei terzi”: analizziamola.

Orizzonte come punto di riferimento

Innanzitutto l’orizzonte. E’ posizionato sulla linea di forza orizzontale superiore: l’osservatore concentrerà l’attenzione sul lago, senza perdere di vista le aperture nel cielo due piloni: sono collocati sulle due “linee di forza” verticali ed anche su “punti forti”.

Con l’effetto del lago che sembra “salire” – occupa la maggior parte del fotogramma -, la profondità – da destra a sinistra e dal basso all’alto, cioè in direzione di una maggiore luminosità – assume una importanza decisiva.

Tuttavia è il caso di tenere presente la distinzione tra soggetti fermi – la nostra fabbrica dismessa o i piloni sul lago – e soggetti in movimento.

Mentre in un film il movimento è insito, in una fotografia è solo rappresentato in un istante: ciò non di meno è una componente essenziale.

Ritorniamo all’immagine della corsa al galoppo usata nel quarto articolo per affrontare la priorità di tempi.

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La prima particolarità è la posizione del fotografo: dietro al traguardo.

La scelta è stata quella di non realizzare un “fotofinish”, in linea con il traguardo e stazionario, dove un cavallo avrebbe coperto l’altro.

Se viceversa il fotografo si fosse posizionato dopo il traguardo avrebbe tolto l’idea di un “cosa sta accadendo” trasformandola in un “cosa è già accaduto”. Ha invece deciso di accentuare l’idea del movimento: il traguardo (lo specchio verticale) e i due cavalli sono tutti in posizione diversa.

L’altra particolarità è il gesto di vittoria del fantino: strano gesto visto che è superato da un cavallo senza fantino, cioè “scosso” per usare un termine da Palio di Siena. Ma se a Siena vincerebbe il cavallo “scosso”, a Merano (lo si vede scritto sul traguardo) vince il fantino.

Al fantino il merito di aver vinto e di dare l’idea di aver vinto; al fotografo quello di aver scattato una sequenza rapida di fotografie, tra cui quella interessante.

La terza particolarità è la posizione di entrambe i cavalli: sulla linea di forza inferiore. La linea di forza orizzontale non poteva essere posizionata sul fantino: il cavallo “scosso” non lo ha.

Questa scelta lascia anche spazio all’ambiente in cui si svolge la scena, un ippodromo (che dovrà essere ben a fuoco): un effetto che sarebbe stato perso se si fosse usata la linea di forza superiore.

Ultima particolarità è la posizione del cavallo vincente: sul “punto forte” di destra. Ma perché il punto forte di destra e non quello di sinistra? La ragione è, appunto, il movimento: quando osserviamo un oggetto di cui intuiamo il movimento siamo portati più a guardare dove andrà che ad osservare da dove viene: ci domandiamo cosa lo attende non perché è in quella posizione. In altri termini non è importante da dove arriva un’auto se l’osservatore vede nella stessa immagine che sta per avere un incidente con un’altra auto.

Per rendere l’idea del movimento in una sola immagine il soggetto dovrà avere davanti a sé uno spazio più ampio di quello che ha dietro di sé: il movimento è un “divenire” un “andare”, non un “essere” o un “provenire”.

Se il fotografo avesse scelto di posizionare cavallo e fantino vincenti sul “punto forte” inferiore di sinistra la fotografia sarebbe terminata con l’altro cavallo e alle loro spalle si sarebbe aperto uno spazio vuoto e inutile.

Se però fosse stata una fotografia ad aerei di Frecce Tricolori, con la loro scia tricolore, probabilmente sarebbe stata una scelta azzeccata: i il vero soggetto è la scia non il velivolo, che solitamente appare di dimensioni ridotte.

Quindi, pur essendo statica, una fotografia deve sempre considerare un movimento in atto: attenzione, non il movimento effettivamente in atto, ma quello che l’osservatore suppone che vi sia.

Infine, la fotocamera metterà a fuoco un punto prima di scattare: il punto selezionato dovrà essere quel punto.

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Dopo tutto questo può apparire che lo scatto di una fotografia sia complesso: non è così. Nel caso della fotografia del lago è sufficiente posizionare l’orizzonte e poi, con lo zoom in dotazione a pressoché tutte le fotocamere, modificare l’inquadratura per avere i due piloni sulle due linee di forza verticali.

Più semplicemente, in prima battuta basta tenere presente che un soggetto, per essere notato, non deve essere collocato nel centro del fotogramma: il resto verrà da sé.

Tutto quanto si è illustrato in modo analitico in questo articolo diventerà spontaneo con il fotografare, e poi fotografare e ancora fotografare.