Active ageing, una conquista possibile, di Licia Riva e Gualtiero Castelli

Pubblicato il 6 Ottobre 2016 in

Se vivere significa cambiare continuamente, la vecchiaia è solo una delle diverse stagioni della vita al pari di altre, che possono anche averla contaminata. Ad esempio, possiamo riconoscere nelle epoche della vita definite come “adulte” o addirittura “anziane” i tratti dell’adolescenza, con i suoi turbamenti e le sue insicurezze. Se proviamo a considerare l’invecchiamento in questa prospettiva dobbiamo ammettere che, pur cominciando a invecchiare dal momento del nostro primo vagito, è con l’avanzare dell’età che ci si interroga maggiormente sul miglior modo di invecchiare. E sta a noi farlo divenire un’arte.

Invecchiare è un’arte

Da tempo gli studiosi ci raccontano dell’importanza che ha per la nostra specie la capacità di adattarsi, intendendo con ciò anche la possibilità di modificare radicalmente il nostro modo di stare nel mondo.

È certamente grazie a ciò che nel corso del tempo la nostra specie, nel suo complesso e in quanto singoli individui, ha saputo usare al meglio le proprie risorse e quelle ambientali con modalità e forme non ripetitive, ma elaborate in relazione alle specifiche situazioni offerte dal contesto. L’adattamento è quindi legato non solo alla capacità di adeguarsi, ma anche all’abilità di inventare.

Senza perciò negare la rilevanza degli aspetti fisiologici e biologici e la loro influenza sul processo di invecchiamento, si può affermare che è possibile affrontare la vecchiaia in modo creativo a patto di rompere con i pregiudizi che la accompagnano.

Non solo giovinezza

Oggi pare che ci sia una sola età che attraversa tutta l’esistenza: la giovinezza; e una sola dimensione: la pienezza (come se questa potesse esistere senza il vuoto). Entrambe dilatate per l’intero arco della vita. Sembra quasi che tutti i dispositivi di adattamento inventati dalla specie umana nel corso della sua lunga storia sul pianeta siano diventati obsoleti. Le doti evolutive e le capacità di exaptation sembrano essere state compresse in una sorta di rigidità che ne limita la varietà e la molteplicità.

 “Exaptation”, la biologia dell’imprevedibile Gli studi più recenti, legati al neo darwinismo, hanno constatato che, se l’evoluzione è intesa in maniera troppo deterministica e meccanica non riesce a spiegare la varietà biologica. Mantenendo però valida quest’ipotesi e approfondendo la ricerca si è scoperto che esistono alcuni paradigmi di lettura che rendono il modello evolutivo flessibile e funzionale. Questi sono: la trasformazione del possibile; l’asimmetria tra utilità attuale e origine storica; la sopravvivenza del più flessibile; gli effetti collaterali della struttura. L’exaptation è l’insieme di questi paradigmi e, in sintesi, si può considerare come una sorta di “bricolage evolutivo”.( “Exaptation: la biologia dell’imprevedibile”, di Telmo Pievani, in “Sotto il velo della normalità”, a cura di Pietro Barbetta, Michele Capraro, Telmo Pievani, Meltemi Editore)

Il desiderio di mantenere a lungo, se non per sempre, la vigoria e la freschezza della gioventù è sempre stato presente nell’umanità, pensiamo ai miti della fontana dell’eterna giovinezza, ma erano appunto miti, fantasie, desideri e sogni che non negavano la realtà.

Esistono autorevoli testimonianze del passato, talune anche del presente, che ci raccontano di come vivere, e quindi anche invecchiare, sia sempre il risultato di un’attitudine a scegliere e a comprendere ciò che siamo e come collocarci nell’universo. (Per tutti basti ricordare due grandi dell’antichità: Cicerone e Seneca, mentre nel presente riteniamo James Hillman un punto di riferimento ineludibile)

La curiosità, lo stupore, la duttilità, la capacità di meravigliarsi, la contraddittorietà, l’ambiguità (e l’elenco potrebbe essere ancora più lungo), spesso considerati modi di sentire poco consoni, in realtà sono le chiavi stesse della sopravvivenza, in qualunque età della vita.

La vecchiaia

“Le ricerche condotte negli ultimi decenni in psicogerontologia e le recenti scoperte neuro-scientifiche hanno consentito di superare il preconcetto che definiva il processo di invecchiamento caratterizzato unicamente da irreversibile declino, perdite, deprivazioni e rinunce. I pregiudizi connotano persone e situazioni e rischiano di condizionare, di inibire le capacità dell’anziano che diventa inconsapevolmente come il contesto lo vuole” (James Hillman, 2000, “La forza del carattere”, Adelphi Editore) 

In base a quanto delineato sopra, ci vogliamo ora domandare che cosa renda la vecchiaia, o per meglio dire il processo di invecchiamento, un’esperienza vitale creativa e originale perché l’aspetto creativo coesiste e deve convivere con la consapevolezza della perdita.

Partendo dall’assunto che il problema principale della vecchiaia è l’idea che ne abbiamo, è necessario trasformare la nostra idea di vecchiaia, come dice James Hillman:  ”Alla mente piacciono le idee. Ne chiede di fresche (…) La mente si tiene occupata rigirando le idee (…) Le nostre idee sulla vecchiaia hanno bisogno di essere sostituite”.

Un’ipotesi di lavoro: il lifting delle idee

Partendo da questa convinzione è nata un’attività rivolta ai ‘giovani anziani’, ovvero a persone fra i 60 e i 75 anni, per consentire loro di affrontare il disagio che l’invecchiamento genera, legittimarlo e avviare una sorta di “lifting delle idee”.

Le domande attorno a cui ruota la realizzazione di questo “lifting” sono:

– che cosa può rendere la vecchiaia, o per meglio dire, il processo di invecchiamento un’esperienza vitale, creativa e originale?

– in che modo l’aspetto creativo coesiste con la consapevolezza della perdita?

L’essere anziani e l’invecchiare diventa, per certi versi, una scelta, quanto al modo in cui avviene.

Prova ne sia che la nostra epoca cerca di annullarla con diverse pratiche e comportamenti:

– la negazione: “Sono ancora giovane!”;

– il mascheramento: “Mi difendo meglio dei giovani.”;

– la distrazione: “Finché posso sono quello di sempre.” …e così via.

Essi danno vita a scelte quali il ricorso alla chirurgia plastica e/o la ricerca esasperata di stili a dir poco inopportuni.

Ma vi è un’alternativa: vivere il processo d’invecchiamento nella consapevolezza che è una stagione della vita, variegata e multiforme e, come tale, può essere affrontata anche con allegria.

L’Età S/terza, un progetto DOC

In linea con la sopra-citata alternativa, l’associazione Nestore propone “L’Età S/terza”.

Un’attività di gruppo, al massimo 10/12 persone, che risponde al bisogno di legittimazione del possibile disorientamento legato a una fase di vita “inedita”: la prospettiva di venti e più anni di vita senza obblighi di lavoro. I destinatari sono persone nella fascia 60/75 anni, con propensione all’ascolto e/o alla comunicazione verbale. L’Età Sterza offre uno spazio di riflessione sulla fase di transizione individuale, sia legata al passaggio dal lavoro al non-lavoro, sia ad altri sopravvenuti cambiamenti. Viene dato respiro all’eventuale disagio vissuto a livello personale attraverso il rispecchiamento con altri che vivono la medesima esperienza.

L’attività dell’Età Sterza si struttura in 10 incontri, di 2 ore ciascuno, con cadenza settimanale.

Due counsellor professionisti, Licia Riva e Gualtiero Castelli, accompagnano i partecipanti in un percorso che li aiuti a individuare proprie ipotesi, strategie e prospettive per vivere con benessere

Per saperne di più Associazione Nestore- Via Francesco Daverio 7- 20122 Milano

Tel. 02.57968.324 – .359- e.mail: nestore@associazionenestore.eu

web: www.associazionenestore.eu

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