LE RIFLESSIONI DI GINO, UNO DI NOI: “Rottamare il pilota automatico” (15)

Pubblicato il 7 Agosto 2021 in Letture Ideas

E’ notte inoltrata. Fuori il vento e la pioggia martellano ferocemente infissi e tapparelle e io sono sveglio. Il tempaccio è innocente. Il colpevole è Lina, e la sua idea di matrimonio. Cerco di raccogliere le idee per immaginare il da farsi, per non apparire impreparato. Voglio che intenda che l’idea ha danzato prima nella mia testa che nella sua. E che questa idea sarebbe stato il mio regalo di Natale per lei. Troppe volte mi ha “colto di sorpresa”. E se poi si stancasse della mia ingenuità?

Mi faccio mentalmente un tabellino delle priorità: Viene prima la data o il dove ci sistemeremo? Già il sistemarci. Da me è impossibile: nei miei 80 mq scarsi (che adoro) ogni alternativa non sussiste. Magari ognuno rimane a casa sua. No, mi dico, sarebbe una stupidata.

Sussulto: cambiare casa? Adesso? Qui ci sto da quasi 40 anni, ci sto benissimo. Un trasloco, le scatole, sistemare, una casa nuova, arredarla, sistemarla…..non ho voglia. Vivere da baraccato per qualche mese….da qui non mi muovo. Ognuno ha diritto ai suoi spazi.

E la mia testa procede tutta la notte, mescolando ansia e ragione, dubbi e fantasmi. Al sorgere della pallidissima luce sono teso, preoccupato. E assonnato. Quell’evento nella mia mente si è improvvisamente spogliato di ogni emozione positiva.

Vado sotto la doccia, sperando di lavare via ogni pensiero.

Lei, dal canto suo, non perde tempo. Sono le 8 e mezza, sto trafficando per il mio caffè, scaldando la mia brioche, squilla il telefono. Ciao Gino. Non hai cambiato idea vero? Ho pensato che la prima cosa da fare sia decidere insieme il nostro dove. Cerco di interromperla, di dirle quel che penso, che anch’io ho riflettuto. Non riesco. Sul “io voglio stare con te, saperti in ogni momento vicino” inciampo sul “sì, però” che vorrei dirle. E ancora: la tua casa è troppo piccola. Nella mia si può. Decidiamo quali mobili vuoi portare. Io voglio cambiare il letto, ne ho visto uno all’Ikea….quando andiamo?

Provo a ripartire: Lina, a proposito di questo, volevo dirti che…e lei: si, si ne parliamo, ma non al telefono. Ci vediamo oggi e ti ascolto. Non sai quanto sono contenta di quel che sta accadendo. Lo sai Gino, tu sei la ragion d’essere di ogni mio gesto….e fa una pausa. Un senso di vergogna mi ha frenato dal condividere i miei pensieri notturni. Forse ho ancora da imparare.

Tappa all’Ikea. Unico conforto le mitiche polpette. Lo ammetto. E null’altro. Mi sono aggirato fra quella orgia di mobili con un sottile senso di terrore. Lei era come un bambino in un mare di giocattoli. Tutto toccava, provava, misurava. Un diluvio di “che cosa ne pensi? Secondo te potrebbe andare bene?” e nient’altro. Impresa impossibile sintonizzarmi con la sua esuberante e nativa effervescenza. Più procedevo nel contorto camminamento più sentivo lontana la sua felice agitazione. Perché? All’uscita lei era pimpante con la sua lista di “cose da comperare” io perduto con la mia di punti interrogativi. Non se n’è accorta. Forse meglio così.

Da un lato ero arrabbiato con me stesso. Ho fatto del cambiamento la mia bandiera, il guardare avanti e pensare a un futuro possibile e diverso con coraggio il guadagno migliore della mia vita, e poi mi rintano alla prima folata (e che folata!). Il profumo dell’osare è la cifra migliore di questa età di vita. Non devi rendere conto a nessuno, se non a te stesso, alla tua salute e alle tue possibilità economiche. Durante lo slalom mobiliare mi chiedevo: perché preoccupato? Passo troppo lungo? Cambiamento troppo radicale? Che cosa mi trattiene? C’è forse qualcosa di inaspettato in Lina che non depone per il futuro? No, mi dicevo: e allora?

Dall’altra sentivo come totalmente giustificabile quel turbamento. Perché un passo del genere? Non basta lasciare le cose così, ognuno a casa sua, due vite parallele, solo contaminazione dei reciproci spazi? E mi spunta lo sgradevole incipit: ma a questa età ha senso farlo?

Quel suo attivismo, quel suo turbinar di azioni ha da essere davvero oggetto di ammirazione e parimenti di apprendimento (Gino, impara come si fa!)?

Risultato: oltre l’apprezzamento per le polpette, una gran confusione. L’ennesima. Pensavo con il corso di aver trovato l’antivirus perfetto e invece..Sento il bisogno di parlarne con qualcuno. Non con Lina. Il problema è mio, non voglio intaccare al momento il suo entusiasmo, commettendo magari un incredibile errore. Si, ma con chi ne parlo? Qualche amico fidato? Mi immagino già le risposte: ma dai Gino, goditi la tua pensione, lascia perdere, diglielo chiaramente. Stai bene così. Perché impegolarsi (dalle mie parti si dice così)? Oppure: ma cercatene una più giovane, se proprio…oppure: fai un investimento sulla badante, pensaci…oppure ancora: vuoi stare veramente con lei? Sotto sotto non è la paura di restare da solo che ti muove?

Si, all’Ikea ho masticato dubbi e polpette.

Parlarne con qualcuno appena possibile: “tenersi dentro” fa solo godere il nostro malessere. Ecco quel che ho in testa. E mentre sillabo il nome del papabile, squilla il telefono. Era lui, il silenzioso del gruppo, l’uomo commosso dei bigliettini durante il corso. Il destino bussa alla porta.

“Ciao Gino, come stai? Pensa che ho ricevuto le ultime dall’associazione Nestore e volevo chiederti un parere. Ci sono delle iniziative interessanti, senz’altro le avrai lette anche tu. Potremmo andarci insieme!” Giuro che ricordo di non aver ricevuto nulla. Ma sto al gioco. Lui me ne accenna e poi aggiunge: “perché non ci vediamo? Ti offro un caffè e ne parliamo”. Non ho opposto resistenza. Proverò con lui.

L’indomani mattina siamo da Taveggia, cappuccino e brioches in una atmosfera da pasticceria d’altri tempi. Avrei preferito qualcosa di high tech, ma va bene anche così. Lui sta bene, lo trovo sereno, aperto, spiritoso. Il corso gli ha fatto bene, altro che le diavolerie dei centri benessere. E oltretutto ha speso solo l’equivalente di una buona cena. Mi racconta di tutti i suoi impegni, e poi improvvisamente tira il freno e cambia tono. Mi scruta come un entomologo: “Gino, mi sembri pensieroso, preoccupato. Sensazione sbagliata?”

breakfastMordicchio l’ultimo brandello di brioches, con la marmellata che cerca, con la fuga dalla pasta frolla, di eludere il suo inesorabile destino. E ci riesce, finendo sui miei pantaloni. Scappo anch’io o gli rispondo? “Sì, carissimo, la sensazione è giusta. In questi giorni sono pensieroso”. Mi guarda un po’ stupito, sorseggia quel che resta del suo cappuccino. Il mio sguardo incontra il suo: lo abbiamo imparato entrambi, condividere aiuta, hai voglia di parlarne?

Gioco nervosamente con il cucchiaino e gli racconto tutto. Polpette comprese. Non mi interrompe un solo momento. Mi guarda appoggiando la testa al tavolo con il braccio. Immobile. Quando intende concluso il mio fiume di confusioni, recita questa semplice frase: “per fortuna che tu tentenni e lei ha già deciso. Meglio di così!”

Sul momento ho come una reazione di stizza su una frase così insensata. Intuisce e riprende. “Il suo entusiasmo ti ha travolto e spiazzato, non è così?” “Si”, gli rispondo,” l’entusiasmo, la novità, non sono tutto. Forse la fretta di Lina non va presa con tutta la fiducia che le ripongo”. Mi ripenso nella sua fretta, in quel suo “prendermi alla sprovvista”. Come intendere quel disagio che ne esce? Paura di far brutta figura? O non voglio confessarmi che le do “troppo spago”, che mi fido troppo di lei? E se fosse il timore di “perdere tutto”, di chiudere questa bella favola?

E lui: “la parola gradualità ti piace? Ti suona bene? E’ quello che forse vorresti?” E abbassa lo sguardo, come già sapendo che ne sarebbe seguita da parte mia una lunga pausa. Quella parola come un sughero nel mare dei pensieri resta lì, ondeggiando fra i gorghi delle ritrosie, senza cedere. “Si, gli rispondo: non sono “resistente”, solo ho bisogno di esplorare. Ecco tutto”.

Rialza lo sguardo: “Gino, immagina un attimo una Lina più attendista, più “pensiamoci un attimo”. Sarebbe meglio secondo te? Io credo di no. E ti dico perché. Credo che finireste col rinforzarvi l’un l’altro sul rimandare, con il risultato di restare ancorati alle intenzioni, di abbandonare la realtà”.

Sto per rispondergli che non è così, che prudenza sarebbe auspicabile da entrambi. Forse così risolverei il mio disagio, mi godrei di più le polpette dell’Ikea..

E lui: “Gino, secondo te ha un senso mettere insieme il Gino del “pensiamoci un attimo” e Lina la “centometrista” dei desideri?”

Closeup of an elderly man looking away in deep thought , depression
Closeup of an elderly man looking away in deep thought , depression

Il cuore mi dice sì, ma la testa risponde forse, qualcosa non funziona. Ma che cosa, che cosa secondo te stona in tutto questo?

Lui mi fissa negli occhi, un lungo respiro, come di chi sta per dire qualcosa di solenne. “Non c’è qualcosa che non funziona in te o in lei. Semplicemente smettila di contrapporre”.

“Contrapporre che cosa”, incalzo. “Chi sei tu  e chi è lei. Siete o non siete innamorati uno dell’altro? Il suo correre ha bisogno del tuo passo più lento. Il tuo “prendere tempo” ha bisogno del suo acceleratore. La relazione fra voi ha questa natura, e da qui trae alimento per tenervi uniti. Ecco dove uno ha bisogno dell’altro. Quello che cogli come limite, o difetto, in realtà è risorsa. Mi comprendi? Lascia che la tua vita si inzuppi di contraddizioni, perché quello è il sale che ti fa sentire coinvolto, impegnato, emozionato”.

Mi stai dicendo che non devo vergognarmi della mia prudenza, né dubitare della fretta di Lina. La mia prudenza ha valore e senso in cui esiste la fretta di Lina, e viceversa.

“Si, Gino, è proprio così. E ora questo devi dirglielo, forse anche a lei non è chiaro. Rischiate di non capirvi”.

Improvvisamente provo un gran senso di pace, sento le mie inquietudini scivolare giù, come se annegassero nel pavimento. Sono rilassato.

Chiedo un altro caffè, e un bicchiere d’acqua. Stavo dimenticando la macchia di marmellata, che nel frattempo è diventata una chiazza più grande, proprio lì davanti.. Combatto con la macchia e mi vien da ridere. E ride anche lui. “Gino, adesso come fai ad uscire da qui? Ora è più vistosa di prima!” “Devo pensarci un attimo” gli rispondo, e lui ride ancora di più. Solo il tempo di un caffè per decidere, aggiungo. Ho imparato.

Difficile dire che cosa sia meglio. Credo che una nota distintiva di questa età sia proprio la gradualità, il rispetto del tempo. Il saper aspettare, forse. Passiamo la vita a correre, ad anticipare, a fare in fretta, a precorrere. E questo ci obbliga a pensare meno, ad affidarci ad un “pilota automatico” che ci porta alle decisioni “prima che”.

Il tempo. L’ascolto richiede tempo, sentire no. Pensare richiede tempo, reagire no. E dare tempo è rispetto e attenzione per il tempo altrui. Forse la saggezza di questa età non vaga da queste parti?

E sorrido. Penso a una Lina “Così è divertente”, così la vita scorre, si colora di contraddizioni che ti fanno sentire. Capisco, ora tocca a me. Ora tocca a me. Ma come dirglielo? Come valorizzare la sua fretta? E’ paradossale, ma è così.

Tempo. Ecco prendere tempo per pensare, calarsi in silenzio nella tua storia quel che è scritto in te, che va solo scoperto, composto e agito.

Rottamare il pilota automatico.

 

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