La Rassegna Stampa:Pomigliano, una svolta vera?

Pubblicato il 14 Giugno 2010 in , da Vitalba Paesano

Le Aperture

Corriere della Sera “Belgio, il voto scuote lo Stato. Successo dei separatisti fiamminghi: ‘ Ora si cambia’. Il Paese esce spaccato dalle urne allla vigilia dell’ assunzione della presidenza europea”. “Scelte Irrazionali” commenta Sergio Romano, mentre l’editoriale di Francesco Giavazzi parla dedica il suo editoriale a “Le barriere alla crescita”. A centro pagina “’Pomigliano non può chiudere’. Epifani detta le condizioni. Il leader Cgil di fronte al piano Fiat. Mediazione di Bonannni”. Di fianco la notizia della visita di Berlusconi a Tripoli e l’incontro con Gheddafi. L’intervento di Berlusconi sembra essere stato decisivo per la liberazione dello svizzero Max Goeldi “La pax (italiana) tra Libia e Svizzera”.

La Repubblica: “Niente inno, bufera su Zaia. Gheddafi libera imprenditore svizzero: Berlusconi decisivo. In una cerimonia il governatore veneto sostitisce Mameli con Va’ Pensiero. La Russa e Ronchi: oltraggio alla nazione”. In prima “Tremonti: Pomigliano un esempio per tutti, basta conflitti sul lavoro. Manovra, le Regioni sfidano il governo: sacrifici enormi,pagheranno i cittadini”. Su Pomigliano Segue L’analisi firmato da Luciano Gallino “La globalizzazione dell’operaio” e un sondaggio Demos-Coop “Il cattivo umore di un Paese” di Ilvo Diamanti. A centro pagina “Casini: ‘Fini non ceda alla legge-bavaglio’. Il leader Udc: va totalmente riscritta. Cresce la protesta”.

La Stampa titola in apertura: “Tremonti sfida le Regioni. ‘Tagli? Hanno già avuto tanto, ora tocca a loro’. Governatori in rivolta. Il Ministro: troppe regole frenano la nostra economia. Epifani avverte: c’è il rischio che serva un’altra manovra”. Al centro pagina lo svolgimento delle elezioni in Belgio “In Belgio trionfa il separatista. Elezioni, ma al governo potrebbero andare i socialisti”. In prima “Berlusconi da Gheddafi, la diplomazia nella tenda. Il colonnello libera l’ostaggio svizzero ‘Decisiva la mediazione italiana’. Intesa sulla restituzione di 3 pescherecci”.

Il Giornale apre con “L’inno di Zaia e le battute del Cavaliere. La sinistra s’indigna su Mameli, Verdi e le gag di Silvio. Che però fa sul serio: vola a Tripoli e libera tre nostri pescherecci più l’ostaggio svizzero”. L’editoriale di Salvatore Tramontano parla de “Gli applausi a Tremonti a la verità sul fisco”. Ancora in prima “Così le intercettazioni moltiplicano i reati. Ecco perchè vanno regolamentate. Il paradosso delle spiate: per incastrare gli indagati li si lascia agire a lungo indisturbati”.

Il Foglio dedica l’apertura al debutto dell’Italia ai Mondiali. In prima anche “La grande guerra contro il bavaglio è solo fuffa per lettori gonzi”.

Il Sole 24 Ore “Pensioni: una riforma continua. Da qui al 2015 la vita lavorativa si allungherà nei fatti anche fino a 18 mesi” “Welfare. Finestre, coefficenti, aumento dell’età: i prossimi cinque anni cambieranno volto al pianeta-previdenza”. Di Elsa Fornero “Giusta la via ma occorre più flessibilità”. A centro pagina “Meno vincoli locali sull’impresa” “Semplificazioni. Il piano del governo punta al riordino delle competenze regionali”. Lavoro, mercato, Fiat. Francesco Giavazzi, nell’editoriale che apre la prima pagina del Corriere scrive: “L’Italia non cresce più da quindici anni”, le liberalizzazioni del ministro Bersani avevano predisposto un punto di partenza. Invece nulla è successo e le corporazioni hanno avuto buon gioco nel riportare la barra verso la difesa delle rendite”. E sulla situazione delle imprese italiane: “i provvedimenti a favore delle piccole e medie imprese, pur importanti, non centrano il problema. I confronti internazionali mostrano che in Italia non nascono meno imprese che altrove. Il problema è che poi non crescono. Più che barriere all’entrata, bisogna interrogarsi sulle barriere alla crescita perché un Paese non cresce senza aziende medie e grandi che investono in ricerca e sviluppo”. Luciano Gallino, in un’analisi su La Repubblica si occupa della “globalizzazione dell’operaio”: davanti alla prospettiva di restare senza lavoro la maggioranza dei lavoratori di Pomigliano (ben 15mila se si conta l’indotto) è probabilmente orientata ad accettare le proposte Fiat in tema di organizzazione della produzione. Una volta riconosciuto che forse l’azienda non han alternative e non ce l’hanno nemmeno i lavoratori di Pomigliano, “occorre pure trovare il modo e la forza di dire innanzitutto che le condizioni di lavoro che Fiat propone loro sono durissime. E, in secondo luogo, che esse sono figlie di una globalizzazione ormai senza veli, alle quali molte altre aziende italiane non macheranno di rifarsi per imporle pure ai loro dipendenti”. Si descrivono dunque dettagliatamente le condizioni imposte e si sostiene che si spingono in basso i salari e le condizioni di lavoro stesse per allinearli ai Paesi emergenti: “tutti dovranno lavorare a rotazione su tre turni giornalieri di otto ore; la settimana lavorativa sarà alternativamente di sei e quattro giorni, mentre l’azienda potrà richiedere 80 ore di straordinario annuale a persona senza bisogno di preventivo accordo sindacale e un minimo di preavviso”. Ancora “Sarà usato il computer per calcolare, verificare, controllare i tempi e i movimenti che gli operai devono compiere per ogni loro operazione; è prevista la punibilità per chi decida di proclamere scioperi in occasione del turno di lavoro straordinario del sabato notte; non verrà pagata l’indennità di malattia se il tasso di assenteismo nella fabbrica dovesse superare una certa soglia prefissata”. Dal Corriere della Sera sembra che l’accordo sia stato raggiunto tra i vari sindacati di categoria. L’appuntamento con i vertici della Fiat è per domani. Tutti i sindacati ( Fim-Cisl, Uilm-Fiom) più Fismic e metalmeccanici Ugl sono pronte a firmare tranne la Fiom-Cgil, guidata da Maurizio Landini e che ha respinto ‘in toto la bozza di accordo’. A questo punto l’intervento di Epifani, segretario generale della Cgil che spiega il suo disaccordo su due punti. Il primo “La Fiat vuole sanzionare gli assenteisti, prendendo come parametri anche la presenza media nelle linee di produzione”; altro no è sul diritto di sciopero che “viene messo in discussione nella ‘nuova’ Pomigliano”. Ieri a Levico Terme alla Festa Nazionale della Cisl si è tenuto l’incontro fra il ministro dell’economia Giulio Tremonti e Raffaele Bonanni, leader della Cisl. Da La Stampa il ministro Tremonti interviene con parole decise “Basta, ‘è finita’ l’epoca del conflitto tra capitale e lavoro. Il mondo è cambiato: ‘La via giusta è quella dell’economia sociale di mercato” ossia quella di Pomigliano d’ Arco che diventa l’esempio da seguire per le relazioni tra imprese e lavoratori. Secondo il quotidiano torinese l’ accordo già firmato da Cisl e Uil ha trovato dunque il consenso anche del ministro. Il giuslavorista e senatore Pd Pietro Ichino si occupa del caso Fiat-Pomigliano D’Arco cone un intervento sul Corriere della Sera: “L’accordo possibile per lo stabilimento è un messaggio per gli investitori esteri”. Scrive Ichino sottolineando quanto questa vicenda ricordi “l’inconcludente trattativa” sul caso Alitalia Klm, con un sindacato profondamente diviso: “in un sistema ispirato al prinicipio del pluralismo sindacale, deve considerarsi normale che nella valutazione di un piano industriale a forte contenuto innovativo le associazioni sindacali si dividano. Il problema è che il nostro sistema non ha saputo dotarsi degli strumenti indispensabili per dirimere la questione. Accade così che, se non si arriva a un accordo che coinvolga tutti quanti, l’innovazione rispetto allo standard definito dal contratto collettivo nazionale è poco praticabile: i lavoratori dissenzienti potranno sempre ottenerne dal giudice la disapplicazione nei propri confronti; e i sindacati dissenzienti -anche quando rappresentino soltanto l’uno per cento dei lavoratori interessati- potranno sempre proclamare uno sciopero contro l’accordo cui potrà aderire quell’uno per cento, ma anche il cinquanta o il cento per cento dei lavoratori, ivi compresi quelli aderenti ai sindacati che l’accordo l’hanno firmato”. Berlusconi e Tripoli Ieri pomeriggio il premier Silvio Berlusconi ha raggiunto Tripoli. L’incontro tra il presidente del Consiglio e il presidente libico Gheddafi si è concluso con la liberazione dell’imprenditore svizzero Max Goedli e Rachid Hamdani accusati dalla Libia di aver violato le leggi sull’immigrazione e diventato con la Svizzera un contenzioso da risolvere. Da il Corriere della Sera la vicenda viene definita come una vera e propria crisi fra Berna e Tripoli , nato dall’arresto iniziale di uno dei figli di Gheddafi accusato di maltrattamenti nei confronti dei loro domestici filippini. Il caso è diventato un vero e proprio incidente diplomatico. “Tripoli sospende la concessione del petrolio alla Svizzera, ritira i suoi depositi dalle banche elvetiche e chiude la filiale della Swiss Air a Tripoli. Berna diffonde un elelnco di indesiderati, la Libia blocca l’ingresso dei cittadini di Schengen”. Da La Stampa il primo ministro libico Al Mahmoudi sottolinea il ruolo determinante di Berlusconi e aggiunge “un ruolo importante anche per quel che riguarda i rapporti tra Libia ed Unione europea e tra Libia ed Italia”. La Repubblica scrive:“In serata, ieri, il Dipartimento federale degli affari esteri svizzero ha ringraziato ancora una volta in un comunicato la Spagna e la Germania per la mediazione nella vicenda, senza citare affatto l’Italia”. L’Unità si occupa con un retroscena della visita di Berlusconi in Libia: “Affari e oro nero dietro il silenzio sui diritti umani. Torture e violenze sui ‘sans papier’, chiuso l’ufficio dell’Unhcr. Ma Berlusconi tace per tutelare la rete dei grandi appalti” (Impregilo, Finmeccanica, Eni, Cincons, Trevi, Ansaldo, Unicredit, tra gli altri) E poi Sergio Romano dedica il suo commento sul Corriere alle elezioni in Belgio e al rischio di secessione: “quello tra i valloni (oggi circa il 31 per cento) e i fiamminghi (58 per cento) non fu mai un matrimonio d’amore. Furono uniti all’interno di uno stesso Stato perchè i fiamminghi , a differenza dei loro fratelli olandesi, erano cattolici e perché così piacque nel 1830 alle due potenze europee, Francia e Gran Bretagna, che avevano allora il diritto di fare e disfare le frontiere del continente. Grazie all’influenza della Francia nella politica europea i lPaese fu lungamente governato ‘in francese’ da ceti dirigenti che consideravano la cultura del grande vicino occidentale, quali che fossero le loro radici etniche, una sorta di promozione sociale. Ma la piccola e la media borghesia fiamminghe ebbero spesso l’impressione di vivere in casa d’altri e dettero una dimostrazione del loro malumore quando, durante l’occupazione tedesca, dal 1940 al 1945, una parte del gruppo manifestò qualche simpatia per il Terzo Reich. Terminato il conflitto, i francofoni ebbero ancora una volta il sopravvento, ma l’economia, di lì a poco, cominciò a rovesciare i rapporti di forza tra i due gruppi”. Tuttavia Romano non manca di sottolineare che l’eventuale morte del Belgio sarà “un evento irrazionale provocato da bisticci che un mediatore di buon senso avrebbe potuto affrontare e risolvere”. La Repubblica parla di “valanga separatista nelle urne”, poiché gli scissionisti delle Fiandre sono diventati il primo partito: ai socialisti la Vallonia, mentre sono crollati i centristi. Il ledaer della sinistra Elio Di Rupo, “aperto al dialogo con i fiamminghi”, viene considerato i lpossibile premier. Il Giornale dedica un ritratto proprio ad Elio Di Rupo: “Il prossimo premier? Un gay italiano che odia gli italiani”. “Abruzzese, figlio di un minatore, sempre con il papillon e con un difetto: non ci sopporta. A parte D’Alema…”. Si spiega che “la sua italianità viene fuori quando si tratta di dare un amano all’amico D’Alema per racimolare il voto degli italiani all’estero”. 58 anni, laurea in chimica, di Rupo “non è uno che stringe la mano facilmente”: non si mischia, soprattutto quando è convinto, spesso a torto, che davanti a lui ci sia un fascista reazionario, scrive Il Giornale ricordando che quando, nel 1994, incontrò Pinuccio Tatarella, si girò dall’altra parte dicendo “Non saluto i fascisti”. “Cina, prove di libero sindacato”: questo il titolo della corrispondenza da pechino di Francesco Sisci su La Stampa, dove si spiega che dopo gli scioperi si sono avuti stipendi più alti e che il governo non ha censurato le proteste. I giornali le hanno riportate con grande risalto. “Sembra quasi che le autorità incoraggino che organizza il movimento: il paese sta cambiando faccia?”. Sulla stessa pagina, intervista al presidente del centro studi di Washington Euroasia, Ian Bremmer: “Il difficile verrà quando saliranno anche i prezzi”. Su La Stampa anche un reportage dall’India: “Gli ultimi maoisti dichiarano guerra all’India del boom”, “Scontri con i paramilitari, attentati, reclutamento forzato nei villaggi. Dilaga la rivolta dei ‘naxaliti’, si estende per quasi un terzo del Paese”. Anche oggi l’elefantino di Ferrara torna a firmare un editoriale sulle intercettazioni: “La grande guerra contro il bavaglio è solo fuffa per lettori ganzi”. “A leggere certi volantini trasformati in editoriali -si legge- sembra che la libera stampa non abbia costi, non sia fatta di capitali vocati al profitto d’impresa, non risponda a interessi commerciali puri (nel caso raro da noi di editori puri) o impuri (nel caso più diffuso di editori che hanno decisivi interessi industriali e finanziari altrove che non nell’editoria)”. Sulle polemiche scatenate dalla decisione leghista di far eseguire il ‘Va’ pensiero’ in luogo dell’Inno di Mameli, La Repubblica intervista il Maestro Riccardo Muti, che ricorda di aver detto a Umberto Bossi quanto la Lega fosse fuori strada: il ‘Va’ pensiero’ “è un canto dei perdenti. Forse non hanno ascoltato bene le parole”, “per il Nabucco, da cui ‘Va’ pensiero’ è tratta, verdi si ispirò alla Bibbia, a un episodio carico di dramma in cui gli ebrei piangono la loro sconfitta”. Sullo stesso quotidiano, il presidente della Regione Veneto, il leghista Zaia, intervistato, risponde alle accuse: “Balla colossale, amo il Tricolore, certi miei alleati riposino il cervello”. E puntualizza: l’Inno di Mameli è stato eseguito alla fine dell acerimonia, forse c’è stato qualche problema logistico. Le pagine di R2 de La Repubblica aprono con un’inchiesta realizzatoda Demos in collaborazione con Coop, associazione nazionale cooperative di consumatori “Italia sfida alla crisi” firmato da Ilvo Diamanti. Dall’inchiesta compare come “L’emergenza numero uno diventa quella economica per sei italiani su dieci, surclassando la sicurezza”; per più della metà il governo ha mentito sulla crisi, mentre il 18% degli italiani dichiara che, nelle sua famiglia, qualcuno ha perso il lavoro (5 punti in più di due anni fa). Sempre dal quotidiano romano le pagine dedicate alla cultura mostrano l’immagine di “Maometto fra gli angeli. La visione celeste del divino”.

(fonte RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)