La Rassegna Stampa: “In Gran Bretagna il welfare cerca una quarta via”

Pubblicato il 24 Settembre 2010 in , da Vitalba Paesano

Le aperture

Il Fatto quotidiano: “La guerra della patacca. Il ministro di Santa Lucia al Fatto: ‘Il documento sulla casa di Tulliani è vero’. Ma i finiani accusano: ‘E’ un falso di ambienti vicini al premier’. Di certo è una storia sporca”.
Il quotidiano ha raggiunto Lorenzo Rudolph Francis, ministro della giustizia dell’Isola di Santa Lucia, alle otto e mezzo di ieri sera, in Svizzera, dove si trovava. Il ministro dice che la prossima settimana rilascerà un comunicato ufficiale su questa materia. “Quel documento è vero o falso?”. “E’ vero”. Il ministro in questione, di professione fiscalista, è stato nominato ministro il 16 luglio scorso.
Il quotidiano spiega che “gli uomini di Fini tirano in ballo Valter Lavitola, un piccolo editore che ha accompagnato B. nel suo recente viaggio in Brasile. La stamperia dello stato caraibico a ilfattoquotidiano.it: quella lettera non è passata da qui. Lo scontro investe anche i servizi segreti”.

Il Giornale: “I documento è vero. In una intervista al Fatto il ministro di Santa Lucia conferma l’autenticità della sua lettera che indica in Tulliani il vero proprietario dell’appartamento. E lunedì spiegherà tutto pubblicamente. Servizi segreti, velebi, e verità: scontro istituzionale tra Fini e Berlusconi”. A centro pagina: “La superpatacca del duo Santoro-Bocchino. Tacciono su Corriere e Stampa, raccontano balle e ci processano senza difesa”, dice Alessandro Sallusti.

La Repubblica: “‘Dossier su Fini, ecco l’autore’. Bocchino: il falso costruito da Lavitola, un uomo vicino a Berlusconi. Palazzo Chigi: ‘Illazioni diffamatorie’. Il pd Zanda: il governo chiarisca in Parlamento. Annozero: Masi all’attacco di Santoro”. Giuseppe D’Avanzo firma un articolo dal titolo: “Quella verità che accusa il Cavaliere”. A centro pagina: “L’iran sfida gli Usa. E’ scontro all’Onu. Ahmadinejad: l’11 settembre organizzato da loro”:

Il Corriere della Sera: “‘Dossier contro Fini, ecco l’autore’. Bocchino accusa in tv: Palazzo Chigi: basta illazioni sui servizi. Gli uomini del presidente della Camera: falso il documento su Tulliani e la casa di Montecarlo”. A centro pagina: “A Napoli sono tornati i rifiuti. Due anni dopo è di nuovo emergenza”. E poi: “la disoccupazione sale. Non ha un lavoro più di un giovane su quattro”. Il dato complessivo è 8,5 per cento. “Sacconi: meglio della media Ue”.

Libero: “I servizietti di Fini. Futuro e libertà ci prova: le carte contro il nostro leader create da uomini del Cav. Ma l’accusa va ribaltata: il dossieraggio falso è futurista. E Bocchino ce lo conferma vantandosi in tv delle relazioni speciali tra Usa e presidente della Camera.

La Stampa: “Dossier, i finiani all’attacco. Bocchino fa i nomi di Lavitola e Mangiavillani. Palazzo Chigi: illazioni diffamatorie sul coinvolgimento degli 007. ‘Uomin vicini al premier fabbricano le patacche sulla casa di Montecarlo'”. A centro pagina, con foto: “All’Onu sedie vuote contro Ahmadinejad. Obama apre al dialogo, ma l’Iran accusa gli Usa sull’11 settembre. I delegati europei e americani lasciano la sala”.

Il Foglio: “Obama apre al dialogo con l’Iran e si prende il rischio dell’appeasement. La chiarezza sul programma nucleare è la condizione necessaria per passare dalla ‘mano tesa’ alla ‘porta aperta’. Le sanzioni funzionano?”. Di spalla il quotidiano si occupa invece del Pd (“Pax democratica”), dopo la Direzione di ieri. “Così la conta di Bersani ha disinnescato i piani dei ribelli veltroniani. Le parole del segretario in Direzione, le critiche al documento dei 76 e le nuove divisioni fra i cattolici del Pd”.

Il Riformista: “Walter in ritirata. La scossa al partito finisce con 32 astenuti. La bussola ritrovata? Il ribelle abbassa i toni, cerca di evitare la conta, passa dal voto contrario all’astensione. Bersani vince, ma deve prendersi Franceschini e Fassino”. In prima pagina sul quotidiano anche un articolo firmato da Emma Bonino, dedicato alla campagna contro le mutilazioni genitali femminili: “Lo sviluppo mutilato delle donne”.

Il Sole 24 Ore: “Dieci miliardi per le Pmi. Marcegaglia chede un piano per la competitivtà entro dicembre. Accordo tra Confindustriaa e Intesa. Passera: ‘Insieme per la crisi”. Si tatta di un accordo siglato ieri tra le piccole industrie di Confindustria e la banca IntesaSanPaolo, in cui la presidente Marcegaglia e l’ad Passera hanno fissato un plafond di risorse per aiutare la competitività e l’internazionalizzazione delle imprese. Intanto “la disoccupazione sale all’8,5 per cento”. A centro pagina la notizia negativa dall’Irlanda, con il Pil in calo netto (“A rischio i bond Anglo Irish”) e le pene richieste per Tanzi al processo Tanzi: “Venti anni per Tanzi: la richiesta al processo per il crack Parmalat”.

Fini

Il Giornale citando Il Fatto, spiega, con un articolo scritto dall’inviato a Santo Domingo: “Nella notte il colpo di scena che sbugiarda i complottisti. Ad AnnoZero Travaglio ha glissato sull’argomento. Ma i suoi colleghi avevano già la prova che non esiste una macchinazione anti-Fini”. L’inviato del quotidiano di Feltri parla con i giornalisti del quotidiano El Nacional di Santo Domingo che ha pubblicato il documento che attribuiva a Tulliani la proprietà dell’appartamento di Montecarlo. Dice José Antonio Torres, redattore del quotidiano, che non ha avuto motivo di ritenere falsa la carta, che gli era stata fornita per email da un collega, Mario Sanchez, responsabile per le comunicazioni del Parlacen, il parlamento centroamericano, organismo transnazionale senza poteri decisionali. “Io conoscevo un po’ la storia di questa casa contesa a Montecarlo, di questa vendita poco chiara, e sapevo che c’erano dietro delle società”, dice il giornalista.
Un retroscena del Corriere della Sera si sofferma sulle “ombre sugli 007” e sul ruolo di Walter Lavitola, imprenditore che il premier ha nominato delegato in Brasile e a Panama, che “era sull’areo che alla fine degl scorso giugno portò a San Paolo del Brasile la delegazione guidata da Berlusconi. E proprio lui avrebbe allestito la festa con sei ballerine per allietare la serata del premier, il 28 giugno. ‘Professioniste di lapdance portate iun un suite di lusso dell’Hotel Tivoli” di San Paolo. Lavitola fu anche candidati alle europee nel 2004, ma non fu eletto. Insieme a Lavitola, a confezionare quella che i finiani considerano una “patacca”, sarebbe stato anche Vittorugo Mangiavillani, giornalista della agenzia Il Velino, conosce bene il centroamerica per averci vissuto alla fine degli anni 80, quando era consiglire per l’informazione della signora Donatella Dini”.
Secondo un retroscena de La Stampa, persino il Cavaliere è agitato dal dubbio che il documento sia una clamorosa patacca. Nemmeno dai canali diplomatici ufficiali sono arrivate conferme tanto desiderate. Ecco perché ieri avrebbe detto: “Io sono un garantista vero, pure rispetto a Fini. Dunque, crederò alle accuse che lo riguardano solo quando arriveranno, semmai arriveranno, le conferme ufficiali”. Il quotidiano sottolinea anche che con il riferimento ai servizi si è rotto il filo di dialogo tra Fini e Gianni Letta.

Pd

Dopo sei ore di dibattito in Direzione il Pd è approdato ad un voto sulla relazione del segretario Bersani: i 32 membri componenti l’area Veltroni-Fioroni-Gentiloni si sono astenuti. Sintetizza il Corriere: “Ribaltone nel Pd, Franceschini con Bersani”. E il quotidiano intervista lo stesso Franceschini. Come mai lei, che è leader della minoranza, ha votato a favore di Bersani? “Avevo fatto un patto: che, se avessi perso le primarie, avrei sostenuto lealmente il segretario”. Secondo un dietro le quinte firmato da Maria Teresa Meli, gli uomini di Bersani vorrebbero liberare il leader del Pd dal peso di Massimo D’Alema, di Veltroni: “La direzione di ieri ha l’obiettivo di far fuori D’Alema e Veltroni, ossia superare la dialettica su cui è rimasto sempre appeso il centrosinistra”.
La Repubblica: “Pd, armistizio Bersani-Veltroni. L’area dei 75 cede e si astiene”. Secondo La Repubblica tanto Veltroni che Bersani hanno scelto di evitare una soluzione traumatica dopo il confronto. Bersani ne è uscito confermando però la linea disegnata alla festa di Torino: Nuovo ulivo con Di Pietro e Vendola, e ricerca di una alleanza con l’Udc. Linea contestata dal documento dei 75. Si è tolto però qualche sassolino, quando ha detto: “Quel testo è stato un errore. Ha creato sgomento nella base. Non si dovevano raccogliere le firme ma parlare negli organismi. Riflettiamo, discutiamo. Ma non facciamo il gioco dell’oca tornando sempre al punto di partenza”. Franceschini: “Il disagio c’è, ma di fronte alla crisi di governo che arriva dobbiamo stare uniti”. E chiede una gestione collegiale più forte e più potere dentro al partito.
Lo stesso quotidiano si occupa anche di quella che definisce “una operazione politica partita sotto traccia ma dai contorni sempre più definiti”: il leader Cisl Bonanni avrebbe telefonato personalmente a sei senatori democratici ex Ppi per invitarli a firmare il documento dei 75. Sarebbe sua intenzione far leva sul disagio dei moderati, dando una mano alla nascita del terzo polo dominato da Casini. Il pacchetto di voti Cisl fa gola a molti, e una scissioni corroborata da quel bacino elettorale sarebbe un problema gigantesco per Bersani. Non è un mistero che Bonanni ha un alleato fedele nel Pd, ed è Beppe Fioroni, promotore del documento di 75. Ecco perché il quotidiano titola: “L’ombra della scissione tra i democratici. Bonanni organizza l’uscita degli ex Ppi”. Si muove parallelamente l’ex PPI Marini, che insiste: “I veri popolari restano qui”, rassicurando gli amici che hanno la stessa provenienza (“non vi preoccupate, io continuo a parlare con la Cisl, ad avere rapporti con loro”). Poi ha messo nel cassetto la bandiera scudocrociata del PPI, in modo che nessuno possa sbandierarla in un luogo diverso dal Partito Democratico.
Per Il Foglio di sicuro nel bilancio finale della riunione di direzione Pd c’è un Veltroni debole che non ha voluto nemmeno votare dopo aver sferrato l’attacco alla leadership. Veltroni, così come Fioroni, potrà partecipare al tavolo delle candidature, scrive Il Foglio riferendo le voci raccolte tra i dirigenti del Pd, e sottolineando che è questa la vera posta in gioco, specie se le elezioni dovessero avvicinarsi. E gli ex PPI escono divisi: si dice che qualcosa otterrà anche Franco Marini, altro accusatore di Veltroni, ovvero un posto per Sergio D’Antoni.
Beppe Fioroni, uno degli ispiratori del documento dei 75, intervistato da La Stampa, nega: “Quale marcia indietro? Nessuno giochi con i numeri”. Anche perché “alla fine molta gente se n’era andata, non eravamo duecento a votare”. Alla Bindi, che presiedeva, contesta che abbia svolto un ruolo di garanzia: “Con lealtà avrebbe dovuto far votare anche i voti a favore”.
Il Riformista, parlando dell’esito della Direzione, scrive che c’è “il coraggio del Labour” insieme ai “tarallucci democratici”: le parole di Veltroni, che ha detto “non sta succedendo niente”, sono diventate “la fotografia della sua ritirata strategica e, forse, della incapacità del Pd tutto di discutere di tattica e strategia senza avvitarsi in isterismi e revanscismi di carattere prettamente personale”. Mentre Ed e David Miliband si contendono la leadership sulla stessa faglia che divide Bersani-D’Alema da Veltroni, ovvero neolaburismo versus neocentrismo, dei contenuti del dibattito inglese a noi restano solo furbizie e la finta unità dei dibattiti ufficiali.

Esteri

Domani inizia il congresso Labour a Manchester e si saprà chi tra Ed e David Miliband guiderà il partito verso la rinascita. Se ne occupa Il Riformista, intervistando Chris Bryant, del Guardian, che si è occupato della “Tidy Britain”, la “Gran Bretagna ordinata” da riconquistare: è rappresentata da una nuova classe sociale che alle scorse elezioni ha rappresentato il voto antilabour e si è formata attraverso “la collisione del senso di ingiustizia e risentimento di due classi sociali, la working working class, ovvero il ‘proletariato che lavora’ e che non campa di sussidi,  e la working middle class, entrambe accomunate dall’odio per i vicini scrocconi, ovvero per coloro che sfruttano il welfare state in una nazione già di per sé il benessere cresce in maniera sproporzionata”. Secondo Bryant “questa gente non vuole che lo Stato sia una balia”, ma il Labour li ha abbandonati e per questo servirebbe superare tanto il new che l’old labour.
E’ Giuseppe Berta ad occuparsi della competizione per la leadership del Labour sul Sole 24 Ore, in una analisi dal titolo “il welfare cerca una quarta via”. Elezione dopo elezione – scrive Berta – l’Europa assiste allo sgretolamento della sua socialdemocrazia. I labour scontano la perdita della identità storica e le scelte antimercato. Dei due fratelli Miliband scrive che David è l’espressione della continuità blairiana, mentre Ed ha il sostegno della Fabian Society e della rivista New Statesman. Ed ha come slogan “Change to win”, per segnare uno stacco dall’età di Blair e fare del Labour un partito capace di ridurre la disuguaglianza sociale.
La Repubblica scrive che è stato presentato dai Repubblicani il programma per le elezioni di Medio Termine. E il programma prevede il ritorno allo Stato minimo (cento miliardi di tagli alla spesa pubblica, blocco delle assunzioni statali), stop alle opere infrastrutturali promesse dall’Amministrazione Obama, e l’abrogazione della riforma sanitaria. Poi numerosi atti di continuità con l’era Bush: rinnovo permanente degli sgravi fiscali sui contribuenti più ricchi, divieto di finanziamenti federali per qualsiasi ospedale che pratichi l’aborto, un secco no all’idea di giudicare i prigionieri di Guantanamo in tribunali civili. Manca un forte leader, anche se esiste un combattivo movimento populista come il Tea party, capace di riempire le piazze proprio all’insegna della rivolta antideficit, antitasse, antistato.
Lo hanno presentato come “a pledge to America”, un impegno con l’America, facendo il verso al celebre “contratto con l’America” che il repubblicano Newt Gingritch presentò nel 1994, portandoli al trionfo elettorale, due anni dopo l’elezione di Clinton. La Stampa sottolinea che c’è anche l’impegno a rafforzare la sicurezza nazionale con la difesa antimissile e maggiore protezione dei confini. E che alla conferma dei tagli fiscali dell’era Bush intendono aggiungere nuove deduzioni per le piccole imprese. Dovrà inoltre essere abolito una volta per tutte il programma Tarp, ovvero il ricorso a fondi pubblici per salvare le istituzioni finanziarie in difficoltà, varato da Bush e poi continuato da Obama.
Il Sole 24 Ore sottolinea che l’annuncio repubblicano è arrivato “da una falegnameria di periferia in provincia, lontana dalla sede di un governo ‘rrogante ed elitario'”.: in maniche di camicia, hanno presentato un manifesto i cui toni ricalcano quello dei Tea Party, la cui rabbia contro Washington ha mobilitato la destra estrema.
Sullo stesso quotidiano segnaliamo un articolo sulle elezioni legislative che si terranno domenica in Venezuela, che potrebbero intaccare il dominio assoluto di Chavez in Parlamento. Si racconta della esibizione del Presidente, impegnato a reclamizzare in tv una “lavatrice socialista”: l’economia arranca e il presidente ha pensato di calare l’asso della distribuzione di un bene durevole. Ed ha scelto la lavatrice, cinese, perdipiù. Dicendo: “E’ un elettrodomestico eccellente che costa solo 1000 bolivares (200 euro) di qualità superiore ai prodotti capitalisti, che costano più del doppio e si rompono subito. Chavez irrompe sugli schermi nelle ore di massima audience e brandisce un tesserino con cui le classi meno abbienti possono acquistare beni di prima necessità a prezzi calmierati. L’opposizione ha deciso di prender parte alle elezioni, abbandonando la linea del boicottaggio scelta nel 2005. Basterà che conquisti 67 seggi su 165 per bloccare i provvedimenti straordinari con cui Chavez ha sinora legiferato.
Sintetizza Il Foglio: “Lavatrice o tette nuove? Così a Caracas si comprano le elezioni”, “l’opposizione offre interventi al seno e il Presidente svende elettrodomestici”.

(Fonte: RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)