La Rassegna Stampa: Fiat non può assumere rischi non necessari in merito ai suoi progetti; colpa dell’incertezza italiana

Pubblicato il 22 Luglio 2010 in , da Vitalba Paesano
Le aperture

Corriere della Sera: “Fiat, il piano della svolta”, “i nuovi investimenti spostati da Mirafiori in Serbia”. “separazione tra auto e altre attività dal 2011. Bene i conti. Il titolo vola in Borsa”. A centro pagina: “Indagine sui conti di Verdini. La difesa: niente misfatti, sono i sacrifici di una vita”.
La Stampa: “Fiat, via allo scorporo. A gennaio nasceranno le due società, l’auto divisa dalle altre attività. Il titolo vola in Borsa: più 6,7 per cento. Il Cda a Detroit, torna l’utile nel trimestre. Marchionne: risultati eccezionali. Prodotta in Serbia la nuova monovolume. I sindacati: chiarezza su Mirafiori”. In prima anche una notizia dal rapporto Istat: “Divorzi raddoppiati. Vanno in crisi anche le coppie collaudate. Tengono meglio le unioni miste”. Ne parla Massimo Gramellini: “Invecchiare e dirsi addio”.
Il Sole 24 Ore: “Fiat raddoppia l’utile e scorpora. A settembre assemblea per il via allo spin off dell’auto. La nuova monovolume sarà prodotta in Serbia, ‘in Italia troppa incertezza’. Marchionne: ‘trimestre eccezionale’. In Borsa il titolo balza del 6,7 per cento”. L’editoriale, firmato da Paolo Bricco, è titolato “Fabbrica Globale Automobili”.
Il Giornale: “Rivoluzione in casa Agnelli. La fine di un’era. La Fiat si divide in due: da una parte l’auto, dall’altra camion e trattori. E’ la mossa per attirare nuovi soci. D’ora in poi famiglia, sindacati e politici italiani conteranno sempre meno”. Ne parla in prima pagina Nicola Porro.

La Repubblica: “Al setaccio i conti di Verdini”, “i Pm indagano, il coordinatore del Pdl si difende: ‘quei soldi sono frutto di sacrifici’. Il governo fa quadrato su Caliendo”. E poi: “Fini: la questione morale esiste, la politica sia intransigente”. A centro pagina una foto dell’Ad di Fiat Marchionne: “Fiat si divide e vola in Borsa, ‘e ora produciamo in Serbia’”. Il reportage da Detroit recita: “Noi operai Chrysler con la morte in faccia resuscitati dalla cura italiana e dall’orgoglio”.
Il Riformista: “Ombre sul Csm”. Sono parole di Nicola Mancino, vicepresidente dell’organo di autogoverno della magistratura “scosso dallo scandalo”, come scrive il quotidiano arancione. “Il vicepresidente fu contattato da Pasquale Lombardi. ‘Non potevo mai immaginare che un geometra potesse convincermi a votare Marra’. Ma, ammette, una riforma sul sistema di elezione va fatta”. A centro pagina: “Il grande bluff delle quote latte. L’emendamento del Carroccio salva solo novantasei allevatori”. Di spalla la politica estera: la Corea del Nord, perché ieri Hillary Clinton, in visita a sud del 38° parallelo, ha chiesto nuove sanzioni contro Pyongyang, e la Turchia (“Erdogan e il rompicapo curdo”).
“Cronaca di un golpe” è il titolo di apertura di Libero. “Il piano. Scatta a settembre: la Camera dice sì all’uso delle intercettazioni di Verdini e Cosentino. I due si dimettono. La Consulta boccia il legittimo impedimento. Il premier deve lasciare. Un governo tecnico cambia la legge elettorale”. Ne parla nell’editoriale di prima pagina il direttore Maurizio Belpietro.

Il Foglio: “Il colonnello Gasparri offre a Fini una pace onorevole. Ma c’è un ma. I cofondatori si incontrino subito, il Pdl faccia un congresso, discuta, si trovi la formula, e poi la si accetti tutti quanti”. “Diplomazia unica via”, insiste il quotidiano di Ferrara. Di spalla: “Ecco perché il LIbrano felicemente in mano a Hezbollah non dorme. Guerra di spie a Beirut”. L’inchiesta sull’autobomba contro Hariri punta al gruppo sciita e a Damasco, la contromossa è una retata tra i telefoni”.
Europa: “Fini sugli scudi, Lega sulla spine. Il cavolavoro del Cav”, “la ritirata sulle intercettazioni lascia Bossi scoperto e il federalismo a rischio”. “Il presidente della Camera apre nuovi fronti e taglia lo stipendio ai deputati”.

Fiat

Scrive Il Sole 24 Ore che l’Ad Fiat Marchionne ha annunciato ieri la decisione dell’azienda di produrre in Serbia una delle vetture che nel piano industriale presentato lo scorso 21 aprile era destinata a Mirafiori: si tratta della monovolume finora indicata come LO, che dovrebbe sostituire dalla fine 2011 la Lancia Musa e le Fiat Idea e Multipla. La decisione comporterà naturalmente un vuoto a Mirafiori, nel momento in cui gli attuali modelli usciranno di produzione. Marchionne ha anche detto agli analisti finanziari che “non sarebbe saggio” confermare nuovi investimenti in Italia “data l’incertezza” sull’accordo per aumentare la produttività a Pomigliano: “Fiat non può assumere rischi non necessari in merito ai suoi progetti: dobbiamo essere in grado di produrre macchine senza imporre interruzioni dell’attività”, ha spiegato l’Ad Fiat. Non si può cioè produrre con il 90 per cento dei dipendenti, ci vuole una adesione totale al progetto, come avviene con i dipendenti Chrysler, spesso citati ad esempio. Marchionne ha confermato che a Pomigliano la Fiat ha intenzione di portare avanti l’investimento di 700 milioni, ed è quindi confermato l’arrivo della Panda da fine 2011. Ma di fronte alla possibilità di una conflittualità che metta a rischio la produzione di un modello così importante, il manager tiene comunque aperta la strada del ritiro, anche a costo di perdere parte dei fondi investiti: “Dobbiamo convincere i sindacati sulla assoluta necessità di modernizzare i rapporti industriali in Italia”. In taglio basso un reportage nello stabilimento di Jefferson North, a Detroit, diventato anche un simbolo di nuove relazioni sindacali. Una fabbrica rinata venti anni fa, quando nessuno ci avrebbe più scommesso un dollaro. Efficienza e condivisione delle responsabilità, età media degli operai 40 anni.
Anche su La Stampa: “I due mondi di Marchionne. Il paradosso dell’Amministratore delegato: criticato in Italia portato ad esempio e acclamato in America”.

Governo, Pdl, Pd

Il Corriere della Sera intervista Nicola Cosentino. Risponde sulle intercettazioni che lo riguardano e che concernevano il famoso dossier per screditare il governatore della Regione Campania Caldoro. Battute sugli omosessuali e giochi di parole sul cognome di Bocchino. Cosentino risponde: “Una cosa è quello che uno dice al telefono, un’altra la realtà. A me interessa poco delle preferenze sessuali delle persone. Io ero e sono coordinatore regionale e avevo interesse a sapere cosa ci fosse di vero in quelle storie. E non c’era niente di vero: sono stato il primo a riconoscerlo e ho informato il partito a livello nazionale che quelle cose che riguardavano Caldoro erano tutte stupidaggini”. Sulle dimissioni da sottosegreterio: “Mi sono dimesso perché sono stato perseguitato, non dalla magistratura ma dal generale Fini. Ha calendarizzato per tre volte una mozione di sfiducia contro di me”.
Una intera pagina del Corriere della Sera inevitabilmente si occupa del Presidente della Camera Fini. Per dar conto delle sue dichiarazioni ieri nel corso della tradizionale cerimonia della consegna del Ventaglio (occasione nella quale ha avuto modo di esprimere l’auspicio che dopo l’estate arrivino “riforme degne di questo nome”), e per dar conto di una tendenza evidenziata da un ex An come il ministro Matteoli, secondo cui finché Fini si smarcava su questioni come bioetica, cittadinanza o voto agli immigrati, è rimasto confinato su posizioni minoritarie nel partito e nell’elettorato. Ma intestandosi la battaglia sulla legalità – avrebbe detto Matteoli a Berlusconi – Fini si sarebbe impadronito di una bandiera di destra, di un tema popolare nell’elettorato Pdl.
La Stampa: “Intransigenti sulla legalità, la nuova frontiera di Fini. Riceve il Ventaglio da simpatizzanti un tempo lontanissimi”.
“Assedio al Cavaliere sulla questione morale”, titola Libero. “Fini pressa sulla legalità. ‘Dobbiamo essere intransigenti’. Berlusconi confida ai suoi: ‘Non può darmi lezioni’. E Avvenire attacca: ‘Non sono 4 mele marce'”.

Cameron again

Su Il Foglio viene pubblicato il “manifesto” illustrato dal primo ministro conservatore britannico Cameron, che domenica scorsa ha spiegato la sua “rivoluzione” della “big society”.
Mentre il premier conservatore britannico Cameron si trovava alla Casa Bianca, il vicepremier liberaldemocratico Nick Clegg faceva il suo debutto al Question Time in casa. Alla prima questione è dedicata una intervista che Europa offre ai lettori a Steve Clemons, blogger di successo e direttore della sezione strategia alla New American Foundation, in cui si sottolinea che di gran lunga è più importante, rispetto a quella che viene sbandierata come special relationship Usa-Gb, la relazione con la Cina. Sulla esibizione di Clegg, che in campagna elettorale aveva fatto furore nei dibattiti televisivi, Europa descrive impietosamente i primi scivoloni. Un disastro per Nick Clegg: rispondendo ad una domanda sull’Iraq e sulla sua coerenza prima e dopo il voto, Clegg ha definito la più “disastrosa decisione mai presa” quella della “invasione illegale dell’Iraq”. Una gaffe senza precedenti, provocata dal corto circuito tra le posizioni dei Libdem da sempre contrari alla missione in Iraq, e quella dei Conservatori. Un portavoce di Downing Street ha dovuto precisare, sulla questione della illegalità dell’invasione, che l’Esecutivo non ha una posizione precisa. Un’altra figuraccia l’ha fatta rispondendo su un centro di detenzione nel Paese, subendo subito dopo una rettifica del ministero degli interni.

Libano

Europa riferisce di un testo pubblicato dal quotidiano libanese Al Akhbar in cui viene evocato il coinvolgimento del gruppo libanese sciita Hezbollah nell’omicidio dell’ex premier sunnita Rafik HAriri. Recitava il comunicato: un responsabile della sicurezza di Hezbollah ha consigliato di non pubblicare quel che filtra sull’inchiesta internazionale sull’assassinio dell’ex primo ministro Hariri, in particolare al riguardo di un eventuale coinvolgimento di membri del movimento. Dice che il gruppo perseguitato è in grado di raggiungere tutti e di uccidere chiunque si occupi di questo dossier. Ne parla anche Il Foglio, dove si scrive che l’inchiesta sull’autobomba contro Hariri punta al gruppo sciita. L’inchiesta del tribunale speciale sul Libano sta per arrivare alla fine. Prime accuse a settembre, poi le altre entro il 2010. Il procuratore generale canadese è ora negli Usa per chiedere a Washington i contributi necessari a finire l’inchiesta. Il Libano rifiuta di pagare il suo 49 per cento dei costi. Ma il procuratore generale avrebbe in mano i tabulati telefonici che ricondurrebbero a Hezbollah i telefonini usati dal gruppo di fuoco che uccise Hariri. E tutto questo mentre resiste la “pax siriana”, ovvero la cappa di influenza esercitata dal vicino regime di Damasco, come sottolinea il quotidiano: domenica il primo ministro libanese Hariri è andato in Siria con tredici suoi ministri per la quarta volta dal 2009, ha firmato diciassette accordi di cooperazione, e in questi giorni a Damasco si sono incontrati il leader ribelle degli sciiti iracheni Moqtada Al Sadr, con il moderato affermatosi alle elezioni irachene Allawi. Ma c’è stato anche un incontro tra il ministro degli esteri turco Davutoglu e il capo di Hamas Meshal.
Su Libero si parla di un “parco giochi di Hezbollah” a Mleeta, nel sud del Paese, dove “immagini gigantesche” del leader di Hezbollah Nasrallah e dell’ayatollah Khomeini danno il benvenuto a famiglie e bambini per un pic nic accanto ai carri armati lasciati dagli israeliani, ai loro bunker, alle loro trincee. Un parco giochi per commemorare la “resistenza islamica” ad Israele. Ha aperto i battenti a fine maggio ed avrebbe già avuto oltre 300 mila visitatori.
Alle pagine R2 de La Repubblica Francesca Caferri parla della “rinascita di Beirut”, perché “la stabilità porta in Libano milioni di visitatori ed espatriati: tutti vogliono comprare una casa, ma manca lo spazio. Gli antichi edifici vengono buttati giù per far posto ai grattacieli: un movimento nato su Facebook cerca di salvarli”.

E poi

Su La Repubblica, in prima pagina, è Tito Boeri a ricordare che oggi arriverà nell’aula del Senato il disegno di legge governativo sulla riforma dell’università. Anche questa riforma sembra destinata a svanire nel nulla, secondo Boeri, poiché nel dibattito in commissione “i pochi aspetti innovativi del provvedimento, quelli sulla governance dell’università, sono stati accuratamente disinnescati dalle lobby accademiche, ben rappresentate in Parlamento”. Sul Corriere, in prima, ne scrive Francesco Giavazzi, che invece sottolinea come il perno della riforma stia nella istituzione dell’agenzia indipendente di valutazione (Anvur) il cui compito è valutare gli atenei e lo stato della ricerca. E poiché la fine dei concorsi universitari è l’aspetto più rilevante della riforma, che permetterà, salvo il vaglio di una certificazione nazionale, che le università possano assumere chi riterranno loro più adatto, se l’Avnur non funzionerà, la nuova legge consentirebbe di assumere amici e parenti senza neppur dover truccare i concorsi.
Massimo Nava sul Corriere della Sera ricorda che oggi la Corte di Giustizia dell’Aja si pronuncerà sulla legittimità dell’indipendenza del Kosovo. Un parere non vincolante, ma, data l’autorità dell’organismo delle Nazioni Unite, potrebbe avere ripercussioni politiche rilevanti. Tanto più che potrebbe essere rimessa in discussione la risoluzione del Consiglio di sicurezza all’indomani della guerra, che prevedeva la “sostanziale autonomia” del Kosovo, ma non l’indipendenza. 
La storia raccontata da Il Sole 24 Ore è il riaccendersi della rivalità tra India e Pakistan per una guerra dell’acqua: tensioni sulla spartizione delle risorse idriche, l’ultima scintilla è stata innescata da New Delhi, che vuole alimentare una centrale idroelettrica deviando il corso del fiume, sottraendo quindi acqua ad Islamabad.

(Fonte: RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo e Paolo Martini)