La Rassegna Stampa: euro sotto quota 1,30 sul dollaro

Pubblicato il 5 Maggio 2010 in , da Vitalba Paesano

Le aperture

Il Corriere della Sera: “Scajola si dimette: mi difenderò”. “Se l’appartamento è stato in parte pagato da altri, io non lo sapevo”. “Il ministro lascia dopo giorni di accuse. Il premier: alto il senso dello Stato. Ed è polemica su una frase sulla libertà di stampa”. L’editoriale di Pierluigi Battista è titolato “Fuori la verità”. A centro pagina le Borse: “Atene e Madrid, poi crolli a catena: l’Europa brucia 140 miliardi. Sindrome da contagio, le Borse affondano”.
Il Sole 24 Ore: “Effetto contagio sulle Borse. La speculazione attacca la Spagna. Zapatero: è pura follia. Timori che il piano da 110 miliardi per Atene non basti: Piazza Affari -4,7 per cento. Wall Street -2,4, euro sotto 1,30”. A centro pagina una grande foto di Scajola e le sue parole: “Devo difendermi”. Secondo Stefano Folli si tratta di “un caso che lascia un’ombra sul governo”.
Il quotidiano di Confindustria dà spazio in prima al rlievo del Presidente del Consiglio sulla libertà di stampa in Italia, in occasione della notizia della “classifica” sull’argomento diffusa da Freedom House: “Berlusconi: libertà di stampa? Da noi ce n’è fin troppa”.
La Repubblica: “Scajola lascia, scossa nel governo. Il ministro si dimette per la seconda volta: ‘Rinuncio a quella casa se è pagata da altri’. Berlusconi verso l’interim. Bersani: esecutivo ormai in una palude”. E poi: “Appalti a Roma, un’altra inchiesta su Verdini: perquisita la sua banca”. L’editoriale, firmato da Ezio Mauro, è titolato: “Lo scudo sbrecciato”. A centro pagina: “Paura in Europa, la Grecia affonda le Borse. Un altro martedì nero, trema la Spagna. Bruciati 140 miliardi, l’euro sotto quota 1,30 sul dollaro. Giù Wall Street, Milano perde quasi il 5 per cento”. In prima anche la notizia dell’arresto del presunto attentatore di Times Square: “Cittadino Usa nato a Peshawar il proprietario del Suv”. Accanto, un contributo dello scrittore Mohsin Hamid, autore de “Il fondamentalista riluttante”: “Il fondamentalista della porta accanto”.
Il Giornale: “Scajola lascia, è l’ora degli avvoltoi. Il ministro si dimette (cosa rara in Italia) ma alla sinistra non basta. E una battuta del premier sulla stampa scatena un putiferio. Ora le Procure tentano la spallata: nel mirino altri dieci parlamentari”. In prima anche un richiamo per lo scontro ieri alla trasmissione televisiva Ballarò: “E sulla sua casa D’Alema in tv perde la testa”. “Insulti al Giornale”. A centro pagina le Borse, e un richiamo per Times Square, con commento di Ida Magli: “Perché un pachistano non sarà mai americano”.
Libero rivela (e pubblica) una lettera anonima che avrebbe incastrato il ministro dimissionario: “Una lettera ha bruciato Scajola. Ecco la denuncia anonima alla Procura che ha costretto il ministro a dimettersi”. Editoriale di Maurizio Belpietro: “Non voleva mollare, proverà a tornare”. E poi le sorti della maggioranza: “Lo scenario. Il Cavaliere teme un’ondata di guai. Fini lucida la colt”. In prima anche la notizia di una indagine aperta su Ciarrapico, indagato per truffa, per aver percepito indebitamente venti milioni di euro di contributi per i suoi giornali. I fatti contestati dal Pm fanno riferimento ad un periodo che va dal 2002 al 2007. Secondo La Stampa l’accusa di truffa ai danni dello Stato deriva dal fatto che Ciarrapico, detentore di 12 quotidiani, avrebbe incassato i contributi per l’editoria truccando le carte e facendo risultare le testate di proprietà di cooperative, ottenendo sovvenzioni per 20 milioni di Euro.
Il Riformista, oltre alla notizia delle dimissioni (“Se la destra ruba”, con articolo firmato dal direttore Polito), si sofferma sul futuro: “Un interim per arginare Tremoti. La Lega chiede, ma il premier pensa a un fedelissimo. Un interim per arginare Tremonti”. Un altro articolo racconta: “E Giulio disse: non può restare”. Di spalla un ritratto di David Cameron, “un Fini inglese orfano di Maggie”.
Il Foglio: “Cameron assedia i seggi in bilico per non dover fare i conti con Clegg. Le ultime ore del candidato dei Tory tra Scozia e roccaforti dei Lib-Dem. L’endorsment del Financial Times. ‘L’operazione dei 14’”.
La Stampa: “Via Scajola, voci di altri blitz. A Perugia è caccia all’agenda con mille nomi: lo rivela l’esposto ‘anonimo’ che ha fatto partire l’indagine. Il ministro lascia e ammette: forse qualcuno ha pagato la mia casa. Berlusconi non lo ferma e ironizza: in Italia fin troppa libertà di stampa”. A centro pagina una grande foto di Nizza: “Mareggiate in Liguria, devastata Alassio, allarme valanghe in montagna. Maltempo, onde alte sei metri a Nizza”. In prima anche le Borse. “I mercati bruciano 140 miliardi, vola il prezzo dell’oro”.

Scajola e dintorni

La Repubblica, con Carlo Bonini, è andata a spulciare le carte custodite negli archivi dell’ufficio tecnico del Comune di Roma, dove ha trovato la “denuncia di inizio di attività” con cui il Comune viene informato, nel settembre del 2004, dell’inizio delle ristrutturazioni dei nove vani e mezzo catastali da parte di Scajola stesso. Nel cantiere lavorano in due: progettista e direttore dei lavori è l’architetto Angelo Zampolini, mentre l’impresa esecutrice è la AM.P. Srl di Roma, di cui è proprietario Daniele Anemone, fratello di Diego, il costruttore che ha messo a disposizione, proprio attraverso Zampolini, la provvista di novecento mila euro in nero necessari all’acquisto dell’appartamento. Nei giorni scorsi Scajola aveva liquidato così Anemone: “Ho conosciuto Anemone da ministro dell’Interno, perché una sua impresa stava effettuando dei lavori di messa in sicurezza dell’alloggio di servizio del ministero (cioé nel 2001). Di Zampolini ha detto di ricordare poco: “Era la persona a cui si era rivolto Angelo Balducci, allora provveditore alle opere pubbliche del Lazio, che si era offerto di aiutarmi a cercare casa a Roma”.
Un altro articolo del quotidiano romano si sofferma sulla perquisizione avvenuta ieri nel Credito Cooperativo Fiorentino, la banca di Denis Verdini. “Un filo rosso collega i fascicoli su Carboni e i Grandi eventi”.
Il Giornale continua ad offrire ai lettori una ampia ricostruzione dei capitoli scottanti relativi alla cricca di Balducci e Anemone. Dalle carte di Perugia emerge tra l’altro che Bankitalia lanciò un allarme sul sacerdote Evandro Biasini, il religioso della congregazione del preziosissimo sangue che sarebbe stato il cassiere occulto di Anemone (“don Bancomat”).
 Secondo la “nota” di Massimo Franco, sul Corriere della Sera, dietro le dimissioni di Scajola ci sono “altri focolai di tensioni nel Pdl”: se pure si riucisse a dimostrare la ‘totale estraneità ai fatti’ di Scajola, resta l’incognita dello scandalo per i lavori de G8 alla Maddalena, le possibili “ramificazioni dei favori elargiti ai beneficiari degli appalti governativi”. E Berlusconi teme un tentativo della minoranza del Pdl di cavalcare la questione morale, convergendo con spezzoni dell’opposizione. I finiani criticano infatti la mancata accelerazione dela discussione della legge anticorruzione da parte dei vertici del partito.
Anche Il Foglio scrive che nel Pdl ci si divide sul famoso ddl anticorruzione e si sottolinea che di sicuro l’eclisse di Scajola avrà degli effetti nel partito: “Con lui, unico vero padrone di una corrente dentro la ex Forza Italia, rischia di farsi ancor più evanescente l’idea di un Pdl strutturato per come era stato un po’ confusamente immaginato da Cicchitto ma anche da Bondi, Fitto ed altri giovani ministri. C’è chi preme sul Cav affinché venga nominato un uomo altrettanto forte, chiamato dal mondo dell’imprenditoria, ovvero, dicono gli antipatizzanti, ‘uno capace di tenere testa a Giulio Tremonti’. Il trasversale partito antileghista, che comprende pezzi di Forza Italia e finiani, tifa infatti per una soluzione che sparigli”.
Il Riformista insiste sul ruolo che avrebbe avuto Tremonti nella vicenda Scajola: “Silvio, non puoi coprirlo”, avrebbe detto il ministro dell’Economia. E Bossi avrebbe sottolineato che “lasciarlo al suo posto significherebbe alimentare la battaglia sulla legalità di Fini”.
Su Il Giornale si riassume così la situazione: “I finiani come Di Pietro: assalto al governo nel giorno della bufera. La testa di Scajola non basta ai seguaci di Gianfranco. Ora la legge anticorruzione. Plauso dell’Idv. Il Pdl: ‘no alle strumentalizzazioni’”. Ieri, dopo un animato dibattito nel direttivo del gruppo alla Camera, la maggioranza del Pdl ha respinto la richiesta di accelerazione del Ddl avanzata ufficialmente da Carmelo Briguglio, che ha chiesto una “moratoria parlamentare” da decidere insieme all’opposizione per accantonare tutti gli altri provvedimenti ed approvare subito quello relativo alla corruzione. Dopo la bocciatura, Briguglio ha smorzato le polemiche, pur considerandola un errore politico: “Non si tratta di una iniziativa finiana ma di un atto del governo, opportuno ieri e ancor più oggi, per impedire al centrosinistra un uso generalizzato del caso Scajola.

E poi

Su Il Riformista ci si occupa del “appello alla ragionevolezza” del cartello Jcall, sponsorizzato, tra gli altri, da Bernard-Henri Levy. SI scrive che sta creando in Francia un grande polverone, poiché è stato criticato da Richard Pasquier, Presidente della Crif, la commissione che rappresenta le organizzazioni ebraiche d’oltralpe. In Italia si schiera contro il documento il semiologo torinese Ugo Volli, editorialista di “Pagine ebraiche” e di “Informazione corretta”. Il Riformista lo intervista e Volli afferma: “Un documento intempestivo, sbagliato e antidemocratico. Arriva nel momento peggiore, dice quello che fino a poco tempo fa diceva Jstreet (il gruppo di pressione filoisraeliano vicino a Obama) proprio mentre Jstreet ha smesso di dirlo. Proprio adesso, invece, con la minaccia iraniana e mentre Hezbollah ed Hamas si stanno riarmando, Israele avrebbe bisogno di sostegno”. Per Volli è antidemocratico perché “i firmatari si assumono una rappresentatività che non ha alcun corrispettivo nei dati elettorali, in Europa e in Italia”, inoltre “mi preoccupa il passaggio in cui si chiede a Usa e Ue di influenzare la politica di Israele. Mi chiedo come si reagirebbe in Italia se qualcuno volesse fondare un gruppo di pressione che chiede agli americani di rovesciare Berlusconi”. Bipartisan? “A me sembra che i firmatari siano prevalentemente personaggi legati in modo più o meno lasco a una sinistra più o meno moderata”. Per Volli l’appello di Jcall rappresenta per l’ebraismo europeo quello che i vari Yehoshua e gli intellettuali che ruotano attorno ad Haaretz rappresentano nella società italiana: rispecchiano sì e no il cinque per cento dell’elettorato”.
Il Foglio fa sapere che invece da Parigi arriva un altro appello, “Salviamo la ragione”, con il quale a Jcall hanno risposto altri pezzi da novanta della cultura ebraica europea: Pierre-André Taguieff, la studiosa svizzera Bat Ye’or, il professor Shmuel Trigano, secondo cui è inaccettabile l’idea di una “pace imposta a Israele sotto attacco”, sotto la minaccia di sterminio pronunciata dall’Iran e suoi satelliti, Hezbollah ed Hamas.
Il Foglio ha sentito Bat Ye’or: “Il significato di Jcall è quello di porre la diaspora contro Israele”, “di delegittimare Israele e di sollevare il mondo contro questo Stato minuscolo che più di altri ha il diritto di vivere nella sua patria ancestrale”. Anche in Italia è stato lanciato un appello contro Jcall, firmato al momento da Fiamma Nirenstein, Giuliano Ferrara, Paolo Mieli, dal presidente della comunità ebraica di Roma Pacifici, e dall’ex presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane Leone Paserman. Su Jcall si raccolgono anche i pareri di Vittorio Dan Segre, Benny Morris, e Claudia Rosett.
La Stampa ha una inviata a Novara, dove è stata applicata l’ordinanza del sindaco, multando una donna che indossava il velo. La giovane tunisina esce una volta alla settimana per andare in moschea e dice: “La solutidine non mi pesa. Ho la casa a cui pensare. Mio marito”.
Per chiudere, segnaliamo su Il Foglio una intervista all’antropologo Maurice Godelier, considerato l’erede di Lévi-Strauss. Secondo il quotidiano Godelier spiega che “non sono le religioni a creare i conflitti”. Dice Godelier che “sempre si più spesso si confondono società e comunità”. Ma “gli ebrei della diaspora, per esempio, formano all’estero comunità all’interno delle società. E coesistono con altre comunità (turche, pakistane, musulmane, eccetera). Al contrario gli ebrei della diaspora che sono in Israele vivono in una società che hanno fatto nascere, e che è rappresentata da uno Stato di cui vogliono vedere riconosciuti i confini. Il criterio fondante di una società è la sovranità su un territorio. In Francia la comunità musulmana è costituitia da sei milioni di persone, ma rimane una comunità, non una società, su cui vigila e controlla la sovranità nazionale”.

(fonte: RASSEGNA ITALIANA, di Ada Pagliarulo, Paolo Martini)